2009-10-07 11:46:09

Intervento di Mons. Claude RAULT, Vescovo di Laghouat (ALGERIA)


S. E. R. Mons. Claude RAULT, M. Afr., Vescovo di Laghouat (ALGERIA)



La nostra Chiesa del Nordafrica si trova in una posizione di “crocevia” geografico e umano che ci colloca all’incrocio di Europa, Medio Oriente e Africa Sub-sahariana. La popolazione è composta da Arabi e Berberi, ma anche, cosa che spesso dimentichiamo, da una frangia di popolazioni nere nella parte meridionale di questa vasta regione. La religione dominante e quasi esclusiva è l’islam, anch’esso attraversato da molteplici correnti. È in questo universo geografico, umano e religioso che noi, cristiani e cristiane, viviamo la nostra vocazione all’Incontro e al Dialogo.

- Prima di tutto, bisogna dire quanto è difficile per noi situarci e ancorarci al cuore della Chiesa d’Africa. Eppure, il nome stesso dell’Africa ha avuto origine nel Maghreb, derivando da “Ifriqiya”, paese di sant’Agostino. Facciamo parte della Chiesa d’Africa e il nostro desiderio profondo è di consolidare la nostra appartenenza in seno a questa Chiesa.

- L’eredità coloniale pesa ancora sulle nostre spalle. La Chiesa del Maghreb ne è ancora segnata. A questo, aggiungiamo una relazione storica difficile fra il mondo arabo e il mondo africano, dovuta in parte alla schiavitù che non è stata, purtroppo, l’unico fatto degli Occidentali.

- Ma la nostra situazione è una grazia da cogliere. Siamo una Chiesa sempre più multiculturale, grazie alla marcata presenza di religiosi, religiose, sacerdoti e laici, studenti e migranti venuti da oltre il Sahara o da altri continenti.

Questi elementi danno, della Chiesa, un’immagine più universale. Ma questo fatto pone una seria sfida alla nostra Chiesa del Maghreb: quella della sua unità e della sua comunione. La partecipazione alla nostra vita ecclesiale di cristiani e cristiane di ogni condizione venuti dall’Europa, dall’America, dall’Asia, dal continente africano, dal Medio Oriente, ma anche dell’Africa del Nord, tutto questo costituisce una novità che esige da parte nostra un’apertura all’universale. È con tutte le nostre differenze e le nostre complementarità coniugate che, malgrado la nostra piccolezza, uomini e donne, costruiamo la Chiesa di Cristo, una Chiesa della Pentecoste.








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