Entra nel vivo il Sinodo dei vescovi per l'Africa: al centro di lavori oggi la teoria
del genere e i bambini come costruttori di pace
La teoria del genere, il ruolo dei bambini come costruttori di pace, l’importanza
della comunicazione della Chiesa per favorire la riconciliazione: questi i temi principali
emersi oggi pomeriggio dall’Aula del Sinodo dei Vescovi. I presuli sono riuniti in
Vaticano per la seconda Assemblea Speciale dedicata all’Africa e incentrata sui temi
della riconciliazione, la giustizia e la pace. Il servizio di Isabella Piro:
Sul dramma
degli immigrati africani, che come abbiamo detto riguarda oltre dieci milioni di persone,
ieri al Sinodo è intervenuto mons. Giovanni Innocenzo Martinelli, vescovo di Tabuda
e vicario apostolico di Tripoli, in Libia. Paolo Ondarza lo ha intervistato:
. – Noi siamo
testimoni di una presenza di immigrati che vengono da tutte le parti dell’Africa.
Non voglio entrare in merito ai respingimenti, ma ho sottolineato più volte l’importanza
di non rifiutarli, di assisterli almeno in Libia, perché rigettarli e disinteressarsi
di loro è contro i diritti dell’uomo ed è anche contro la nostra civiltà umana, cristiana
o quello che sia.
D. – Qual è l’azione di soccorso della Chiesa in Libia
verso queste persone?
R. – Noi, nel nostro piccolo, in Libia, cerchiamo
di seguire questa massa di gente nei centri di raccolta, dove i libici danno possibilità
di incontrarla, di visitarla, di assisterla spiritualmente e pastoralmente. Lo facciamo
per i cristiani, ma anche per tutti gli altri, e ce ne sono tanti. Noi cerchiamo di
assisterli sul piano materiale, offrendo da mangiare. Abbiamo assistito persone, portando
coperte e vestiti, e le abbiamo assistite soprattutto sul piano medico. Settimanalmente
le nostre suore si interessano di tante donne gestanti e devono, quindi, essere accompagnate
all’ospedale. Non hanno documenti e la suora offre il proprio passaporto, si prende
cura di loro, cercando di assisterle, affinché possano dare alla luce i loro bambini.
Hanno attraversato il deserto e sono persone veramente povere. Mi riferisco in particolare
a questa massa di eritrei che arriva in Libia, decisa a non ritornare nel proprio
Paese, ma piuttosto ad essere accolta in Occidente.
D. – Quante delle persone
respinte, da quello che lei ha potuto conoscere e sapere, sono richiedenti asilo?
R.
– Non sono in grado di capire se tutta questa gente ha diritto di avere asilo politico
o meno. Io non guardo in faccia le persone. Vedo che hanno bisogno di mangiare, hanno
bisogno di essere curate. Non vedo se hanno diritto o non hanno diritto. Io vedo gente
che ha bisogno. Non domandiamo niente: hanno bisogno e quindi diamo. Se c’è qualcuno
che riusciamo a capire che vuole ritornare al proprio Paese, lo accompagniamo agli
uffici competenti. Accompagniamo le altre persone all’ufficio delle Nazioni Unite
per avere una carta delle Nazioni Unite, la carta di rifugiato, che è un documento
di identità, che come ben si sa non è riconosciuto dalla Libia. Questo forse potrebbe
essere un appello: facciamo in modo che abbiano un documento che sia riconosciuto,
accettato anche dalle autorità libiche. Allora, mi domando, come fare, perché questa
gente possa avere un documento per farsi valere nella propria identità