Biografia di ABUNA PAULOS, Patriarca della Chiesa Ortodossa Etiope
Pubblichiamo di seguito una biografia del Patriarca della Chiesa Tewahedo Ortodossa
Etiope, Abuna Paulos, intervenuto questa mattina dinanzia all'Assemblea sinodale ABUNA
PAULOS GEBRE YOHANNES
Abuna Paulos Gebre Yohannes, nato nel 1935 ad Adoua,
provincia della regione di Tigrè nel nord dell’Etiopia, è dal 5 luglio 1992 alla guida
della Chiesa Ortodossa Etiope, una delle più antiche comunità cristiane al mondo:
la sua nascita risale addirittura al 35 d. C.. Nominato Patriarca dal Santo Sinodo,
nel 1992 Abuna Paulos tornò appositamente in patria dall’esilio forzato negli Stati
Uniti, dove si era rifugiato nel 1983 dopo essere stato perseguitato e per un decennio
detenuto nelle carceri etiopi, sotto la dittatura di Menghistu, al potere dal 1977al
1991. Membro di una Chiesa fortemente monastica e uomo di pace, il Patriarca crede
fermamente nel dialogo interreligioso e da anni è protagonista degli sforzi di riconciliazione
nel Corno d’Africa. Per il suo impegno umanitario ha ricevuto in premio dall’Alto
commissario per i rifugiati (Unhcr) la medaglia Nansen e dal 22 febbraio 2006 è, inoltre,
tra i presidenti del Consiglio Ecumenico delle Chiese. Un’istituzione, questa, che
riunisce 342 esponenti di spicco delle varie confessioni cristiane di tutti i continenti,
impegnati nel superamento delle specifiche divergenze dottrinali attraverso la realizzazione
di opere sociali comuni.
In un’intervista raccolta da Luca Attanasio e pubblicata
nel gennaio 2009 dal mensile Jesus, Abuna Paulos descrive la realtà politica e religiosa
etiopica di oggi: “Questo è un momento assolutamente positivo, forse il migliore nella
storia del paese. C’è vera democrazia e tutti si sentono liberi (…) Ma ormai il processo
è irreversibile. I nostri giovani stanno finalmente gustando cosa significa vivere
in democrazia e difficilmente torneranno indietro”. Il Patriarca parla di una Chiesa
etiope in felice crescita. Rimasta per secoli quasi isolata dal resto dell’Ecumene
cristiana e poi duramente repressa durante l’era di Menghistu, oggi questa comunità
copta vive un periodo di libertà ed espansione, all’insegna della recente apertura
al dialogo ecumenico. Con oltre 50mila Chiese e 1.500 monasteri, è la più consistente
tra le comunità “pre-calcedonesi” orientali e la sola a essere sempre stata Chiesa
maggioritaria nel proprio Paese. Una sorta di “enclave cristiana in terre islamiche”.
Dei circa 45mila fedeli, che includono i cittadini etiopi emigrati all’estero, numerosi
sono giovani, i quali seguono con devozione le celebrazioni eucaristiche e sempre
più frequentemente scelgono la vita religiosa. “Essere monaci non significa uscire
dal mondo e impigrirsi in una vita di sola contemplazione. Da noi i monaci lavorano
sodo, sono muratori, agricoltori, dipingono, scrivono e si guadagnano da vivere. Tuttavia,
gli impegni devono essere percepiti come una gioiosa chiamata e mai come doveri. Io
ritengo che il nostro paese sia stato benedetto da Dio. Infatti, ancor prima di essere
interessata dall’evangelizzazione cristiana, nel I secolo, l’Etiopia si distingueva
già per una forte presenza ebraica. Si può dire che da 3.000 anni c’è una continuità
giudeo-cristiana in Etiopia e ciò ha reso il mio paese una terra molto spirituale,
in cui i valori della preghiera, del silenzio, della dedicazione a Dio, sono sempre
stati presenti”, spiega il Patriarca. Non a caso, nella liturgia ortodossa etiope
permangono vari elementi originali della tradizione ebraica come la circoncisione,
la festività settimanale del Sabato e la separazione tra carni pure e impure. La
devozione di Abuna Paulos al dialogo interreligioso è testimoniata da un’assidua partecipazione
ai meeting ecumenici internazionali. Tra quelli organizzati dalla Comunità di Sant’Egidio,
ricordiamo Assisi nel 1994, Bucarest nel 1998, Barcellona e Milano. Il Patriarca è
convinto sostenitore della necessità di un cammino comune rispettoso anche nei confronti
delle antichissime Chiese d’Oriente o d’Africa, che oggi rischiano di scomparire.
E sull’operato della comunità di Sant’Egidio, Abuna Paulos racconta: “Dopo il terribile
periodo del regime di Menghistu, la popolazione era stremata e la Chiesa etiope distrutta.
La comunità di Sant’Egidio ha lavorato moltissimo per cercare fondi in tutto il mondo
da destinare alla rinascita della nostra Chiesa. Non dimenticherò mai ciò che è stato
fatto da questi nostri amici in un momento di estremo bisogno (…) La Comunità ha messo
in atto l’ecumenismo della carità”.