Africa: Alcune verità scomode per i Paesi più sviluppati
Intervista con Mons. Henryk Hoser, vescovo di Warszawa-Praga, uno dei Padri sinodali
di nomina pontificia alla II Assemblea speciale del Sinodo dei Vescovi per l’Africa,
per molti anni missionario in diversi paesi dell'Africa. L'intervista è stata realizzata
da Irena Swierdzewska per il settimanale polacco “Idziemy”. La verità sull’Africa
Eccellenza,
a suo parere che cosa costituisce oggi il problema più impellente per l’Africa? Sono
veramente la fame e l’AIDS i problemi più urgenti, così come ci dicono i media?
Bisogna
prima di tutto renderci conto della complessità delle problematiche di quel continente.
L’Africa significa 38 milioni di kilometri quadrati di superficie, 750 milioni di
esseri umani, e fra questi 150 milioni di cattolici. Quando guardiamo le tre fasce
dell’Africa: quella settentrionale e cioè musulmana al nord del Sahara, poi la fascia
mediana sub sahariana, e infine l’Africa meridionale è facile accorgerci che è il
continente con una grande diversità di etnie, popoli, e lingue. Quindi, tutte le semplificazioni
che riguardano l’Africa sono non solo inadeguate, ma in molti casi addirittura penalizzanti.
Parlando dell’Africa è necessario entrare nella sua realtà più profonda e mostrare
quella realtà (e non un’altra semplificata).
Da che cosa scaturisce la complessità
della realtà africana? E’ solo conseguenza del periodo coloniale, quando gli Stati
europei hanno tracciato le frontiere di attuali paesi in modo artificiale, generando
in quel modo dei conflitti?
Le lotte fra tribù diverse sono un’eccezione. La
regola è invece quella della convivenza tra le differenti tribù. Ci sono dei paesi
composti da centinaia di tribù che parlano diverse lingue ma una pacifica coesistenza
tra di loro è un dato di fatto. Non bisogna dimenticare che il conflitto tra le diverse
tribù non è frutto della diversità di lingue o tradizioni, non ha caratteristiche
di una competizione. La diversità in Africa è norma. Dietro i conflitti, in realtà,
si nascondono gli interessi economici e politici che alimentano le differenze e gli
antagonismi esistenti. Ci sono sempre in mezzo gli interessi dei paesi terzi. Molte
volte l’Africa non è in grado di trasformare le proprie materie prime che, estratte
ed esportate, arricchiscono i paesi al di fuori del continente africano. Tali materie
prime vengono acquistate a prezzi più bassi rispetto a quelli del mercato. E’ la vera
sfortuna dell’Africa dover mettere a disposizione le sue ricchezze a poco prezzo.
Quindi
il continente africano avrebbe potuto essere autosufficiente per quanto riguarda i
generi alimentari?
Sicuramente. E’ un continente che potrebbe addirittura esportare
dei generi alimentari. Non dimentichiamoci che in Africa ci sono dei territori molto
fertili i quali, con una produzione agricola ben organizzata, avrebbero potuto esportare
molti generi alimentari di qualità. La morte per fame sul continente africano è risultato
di una situazione creata artificiosamente. L’agricoltore africano non ha possibilità
di produrre i generi alimentari, e soprattutto non ha possibilità di mantenersi con
quella produzione poiché in pratica il suo lavoro non è retribuito. A mio parere l’Africa
è vittima dell’era postcoloniale, quando le interdipendenze spesso risultano assi
più forti di quanto non lo fossero in epoca coloniale. Una volta i paesi che avevano
delle colonie in Africa vi facevano degli investimenti. Oggi, i paesi che sfruttano
le ex colonie, non solo hanno interrotto gli investimenti, ma portano via tutto ciò
che è possibile abbrancare o comprare. Penso non solo alle ricchezze naturali, alle
materie prime ma anche all’abbattimento delle foreste. E inimmaginabile come vengono
distrutte le giungle africane che sono delle foreste millenarie con degli alberi eccezionali.
Dopo che siano state tagliate rimane solo radura, il cosiddetto bush. Le foreste non
vengono ricoltivate, e così viene meno l’equilibrio dell’ecosistema, cambiano le condizioni
climatiche, comincia la desertificazione e tutta una serie di altri problemi che fanno
soffrire le popolazioni indigene.
Le ruberie in Africa sono accompagnate da
un sistema di aiuti artificiosi che fa sì che solo una percentuale minima di ogni
100 dollari destinati dalle organizzazioni internazionali al sostegno arriva ai bisognosi.
Come mai?
Degli aiuti all’Africa si appropriano gli intermediari. Per questo
tali aiuti non arrivano alle popolazioni. Al più spesso rendono più forti i governi
e gli Stati corrotti che per varie ragioni hanno dei deficit enormi. Non di rado questo
avviene poiché le entrate di molti paesi africani vengono ricondotte verso i conti
privati, oppure costituiscono i proventi di gruppi internazionali. Gli aiuti per l’Africa
quindi sono spesso utilizzati per aggiustare i buchi del bilancio e non per migliorare
la vita della popolazione. Nei paesi africani davvero poveri, il livello di vita cresce
solo lentamente e molte persone stanno peggio che nell’epoca coloniale. Nemmeno gli
sforzi eroici di vari individui, delle famiglie e dei villaggi interi sono in grado
di contrastare le difficoltà di una situazione creata da altri. Accesso alle merci
e ai servizi non è alla loro portata. Proprio per queste ragioni, senza una riforma
profonda, la situazione non può cambiare radicalmente.
Dal 4 al 26 ottobre
si svolge il Secondo Sinodo dei Vescovi per l’Africa. Perché proprio adesso? Qual
è lo scopo di questo Sinodo?
Il Sinodo vuole attirare l’attenzione sui problemi
dell’Africa che sono spariti dalla sfera di interessi dei paesi ricchi. Soprattutto
dopo il 1994, dopo la tragedia in Ruanda numerosi paesi hanno rinunciato ad aiutare
attivamente l’Africa. Penso per esempio all’intervento americano in Somalia. Questo
ha fatto sì che l’Africa, nell’opinione pubblica, sia stata respinta al margine. Nei
grandi media nazionali ed internazionali dell’Africa non si parla più. Oggi non abbiamo
più nessuna conoscenza della situazione di quel continente, nemmeno per quanto riguarda
gli eventi politici.
Perché a suo parere i media tacciono sulla situazione
in Africa?
Mi sembra che l’Africa sia un grande rimorso dei paesi ricchi che
non sono stati in grado di assolvere il loro ruolo. Si copre con il silenzio quello
che è invece un grande peccato di omissione. E poi la situazione di oggi è diversa
da quella del passato. Gli eventi sia a carattere economico che politico in vari
paesi hanno una sempre minore importanza poiché le decisioni sono prese da gruppi
internazionali anonimi, senza alcuna tradizione storica, senza legami nemmeno sentimentali
con i relativi paesi. Nel passato ci fu solidarietà delle metropoli con le colonie.
Lavorando in Africa ho incontrato dei vecchi belgi che avevano lavorato nel Congo
belga e che consideravano proprio quel paese africano. Vivevano in grande amicizia
con gli abitanti indigeni del Congo. Oggi quella generazione se ne stia andando e
i loro figli non hanno nessun legame con l’Africa. L’Africa è stata abbandonata a
se stessa e a un gruppo di impiegati internazionali, spesso corrotti.
In che
modo la Chiesa aiuta gli africani a risolvere i loro problemi?
Spesso la Chiesa
è tutto per loro. E’ l’unica istituzione che organizzi la vita sociale, che protegga
la gente, che offra il minimo vitale, per esempio nel campo dell’educazione, della
scolarizzazione, che preservi la dignità umana, che prenda le difese dei poveri, che
si occupi dei servizi sanitari, che offra nelle parrocchie e diocesi delle strutture
sociali di base. E’ l’unica salda struttura che esiste lì dove spesso lo Stato è quasi
assente. Solo la Chiesa accompagna la gente nei loro villaggi. La forza principale
della Chiesa africana sono i cattolici laici ma non bisogna nemmeno dimenticare le
religiose africane, i sacerdoti e i missionari, oggi purtroppo sempre meno numerosi.
Benedetto
XVI durante il viaggio in Africa si rallegrava per le migliaia di candidati al sacerdozio.
Forse la Chiesa in Africa non ha più bisogno di missionari?
In Africa è migliorata
la situazione delle vocazioni che oggi sono molto più numerose di quanto non lo fossero
negli anni passati. I missionari però sono meno numerosi poiché mancano i candidati
nei cosiddetti “paesi millenari” come chiamo i paesi dove il cristianesimo si era
radicato molti secoli fa. L’Europa occidentale che è stata la fonte principale di
missionari, oggi è una fonte sempre meno generosa. La Polonia può vantare duemila
missionari presenti su tutti i continenti, senza contare i paesi dell’ex Unione sovietica
ma questo è un numero rilevante più da un punto di vista simbolico che non invece
decisivo per quanto riguarda le necessità delle missioni.
Il Santo Padre più
volte ha ribadito la necessità di considerare la dignità delle donne in Africa. Perché?
Le donne devono essere aiutate poiché in Africa sono le vere guardiane della
vita. Organizzano non solo la vita famigliare ma sempre più spesso anche la vita economica.
Sono pronte a molti sacrifici, sono intraprendenti e hanno molte idee. In Africa,
così come in altri paesi del mondo, abbiamo oggi a che fare con la crisi del maschio
e del padre, e quella crisi è compensata dalle donne, in quanto madri e mogli.
Come
valuta Lei la situazione delle diocesi africane?
In molti paesi le strutture
della Chiesa cattolica hanno delle grandi difficoltà materiali. E davvero un’impresa
mantenere ad un livello adeguato per esempio il seminario superiore che debba essere
una scuola superiore, munita di una biblioteca, dove agli studenti e ai professori
sia assicurato un minimo di condizioni di vita. Questo è possibile solo grazie agli
aiuti esterni, e soprattutto da parte delle Pontificie Opere Missionarie, l’unica
organizzazione che sostenga i bilanci delle diocesi e delle istituzioni educative
nei paesi di missione.
Quale deve essere il frutto dei lavori del Secondo sinodo
dei vescovi per l’Africa?
Il Sinodo pone l’accento sulla questione di riconciliazione,
della giustizia e della pace, e quindi parla della realtà dell’intero continente.
Prima bisogna fare la diagnosi e capire le cause dalle quali scaturisce l’attuale
situazione dell’Africa. Non ci possiamo limitare ad una semplice descrizione del presente.
Bisogna capire il perché e arrivare alle fonti del male, così come individuare le
fonti del bene che potrebbe portare per l’Africa dei vantaggi. Alla fine dell’Assemblea
sinodale viene costituita una commissione che raccoglie tutto il materiale per redigere
un documento finale. L’ultimo redattore di quel documento però è il Santo Padre. Solitamente
un anno o due dopo un Sinodo viene pubblicato un documento chiamato Esortazione post
sinodale che raccoglie i risultati dei lavori.
Eccellenza, lei ha partecipato
al I Sinodo per l’Africa convocato da Giovanni Paolo II nel 1994. Quel sinodo ha avuto
importanza solo per l’Africa o anche per l’intera Chiesa?
Quel sinodo è stato
discusso a lungo e in un modo profondo si è iscritto nella coscienza della Chiesa
africana. Soprattutto la sua idea della Chiesa come famiglia dei figli di Dio. Se
tutti siamo una sola grande famiglia, dobbiamo vivere nella concordia e nell’amore.
Questo è stato il messaggio del I Sinodo per l’Africa che oggi viene ricordato nei
due ultimi capitoli del materiale introduttivi al nuovo Sinodo africano. E penso che
questa sia un’immagine della Chiesa che potrebbe funzionare anche nei nostri paesi
europei: la Chiesa non solo come popolo di Dio ma anche come famiglia dei figli di
Dio.