2009-10-06 12:37:22

Africa: Alcune verità scomode per i Paesi più sviluppati


Intervista con Mons. Henryk Hoser, vescovo di Warszawa-Praga, uno dei Padri sinodali di nomina pontificia alla II Assemblea speciale del Sinodo dei Vescovi per l’Africa, per molti anni missionario in diversi paesi dell'Africa.
L'intervista è stata realizzata da Irena Swierdzewska per il settimanale polacco “Idziemy”.
La verità sull’Africa

Eccellenza, a suo parere che cosa costituisce oggi il problema più impellente per l’Africa? Sono veramente la fame e l’AIDS i problemi più urgenti, così come ci dicono i media?

Bisogna prima di tutto renderci conto della complessità delle problematiche di quel continente. L’Africa significa 38 milioni di kilometri quadrati di superficie, 750 milioni di esseri umani, e fra questi 150 milioni di cattolici. Quando guardiamo le tre fasce dell’Africa: quella settentrionale e cioè musulmana al nord del Sahara, poi la fascia mediana sub sahariana, e infine l’Africa meridionale è facile accorgerci che è il continente con una grande diversità di etnie, popoli, e lingue. Quindi, tutte le semplificazioni che riguardano l’Africa sono non solo inadeguate, ma in molti casi addirittura penalizzanti. Parlando dell’Africa è necessario entrare nella sua realtà più profonda e mostrare quella realtà (e non un’altra semplificata).

Da che cosa scaturisce la complessità della realtà africana? E’ solo conseguenza del periodo coloniale, quando gli Stati europei hanno tracciato le frontiere di attuali paesi in modo artificiale, generando in quel modo dei conflitti?

Le lotte fra tribù diverse sono un’eccezione. La regola è invece quella della convivenza tra le differenti tribù. Ci sono dei paesi composti da centinaia di tribù che parlano diverse lingue ma una pacifica coesistenza tra di loro è un dato di fatto. Non bisogna dimenticare che il conflitto tra le diverse tribù non è frutto della diversità di lingue o tradizioni, non ha caratteristiche di una competizione. La diversità in Africa è norma. Dietro i conflitti, in realtà, si nascondono gli interessi economici e politici che alimentano le differenze e gli antagonismi esistenti. Ci sono sempre in mezzo gli interessi dei paesi terzi. Molte volte l’Africa non è in grado di trasformare le proprie materie prime che, estratte ed esportate, arricchiscono i paesi al di fuori del continente africano. Tali materie prime vengono acquistate a prezzi più bassi rispetto a quelli del mercato. E’ la vera sfortuna dell’Africa dover mettere a disposizione le sue ricchezze a poco prezzo.

Quindi il continente africano avrebbe potuto essere autosufficiente per quanto riguarda i generi alimentari?

Sicuramente. E’ un continente che potrebbe addirittura esportare dei generi alimentari. Non dimentichiamoci che in Africa ci sono dei territori molto fertili i quali, con una produzione agricola ben organizzata, avrebbero potuto esportare molti generi alimentari di qualità. La morte per fame sul continente africano è risultato di una situazione creata artificiosamente. L’agricoltore africano non ha possibilità di produrre i generi alimentari, e soprattutto non ha possibilità di mantenersi con quella produzione poiché in pratica il suo lavoro non è retribuito. A mio parere l’Africa è vittima dell’era postcoloniale, quando le interdipendenze spesso risultano assi più forti di quanto non lo fossero in epoca coloniale. Una volta i paesi che avevano delle colonie in Africa vi facevano degli investimenti. Oggi, i paesi che sfruttano le ex colonie, non solo hanno interrotto gli investimenti, ma portano via tutto ciò che è possibile abbrancare o comprare. Penso non solo alle ricchezze naturali, alle materie prime ma anche all’abbattimento delle foreste. E inimmaginabile come vengono distrutte le giungle africane che sono delle foreste millenarie con degli alberi eccezionali. Dopo che siano state tagliate rimane solo radura, il cosiddetto bush. Le foreste non vengono ricoltivate, e così viene meno l’equilibrio dell’ecosistema, cambiano le condizioni climatiche, comincia la desertificazione e tutta una serie di altri problemi che fanno soffrire le popolazioni indigene.

Le ruberie in Africa sono accompagnate da un sistema di aiuti artificiosi che fa sì che solo una percentuale minima di ogni 100 dollari destinati dalle organizzazioni internazionali al sostegno arriva ai bisognosi. Come mai?

Degli aiuti all’Africa si appropriano gli intermediari. Per questo tali aiuti non arrivano alle popolazioni. Al più spesso rendono più forti i governi e gli Stati corrotti che per varie ragioni hanno dei deficit enormi. Non di rado questo avviene poiché le entrate di molti paesi africani vengono ricondotte verso i conti privati, oppure costituiscono i proventi di gruppi internazionali. Gli aiuti per l’Africa quindi sono spesso utilizzati per aggiustare i buchi del bilancio e non per migliorare la vita della popolazione. Nei paesi africani davvero poveri, il livello di vita cresce solo lentamente e molte persone stanno peggio che nell’epoca coloniale. Nemmeno gli sforzi eroici di vari individui, delle famiglie e dei villaggi interi sono in grado di contrastare le difficoltà di una situazione creata da altri. Accesso alle merci e ai servizi non è alla loro portata. Proprio per queste ragioni, senza una riforma profonda, la situazione non può cambiare radicalmente.

Dal 4 al 26 ottobre si svolge il Secondo Sinodo dei Vescovi per l’Africa. Perché proprio adesso? Qual è lo scopo di questo Sinodo?

Il Sinodo vuole attirare l’attenzione sui problemi dell’Africa che sono spariti dalla sfera di interessi dei paesi ricchi. Soprattutto dopo il 1994, dopo la tragedia in Ruanda numerosi paesi hanno rinunciato ad aiutare attivamente l’Africa. Penso per esempio all’intervento americano in Somalia. Questo ha fatto sì che l’Africa, nell’opinione pubblica, sia stata respinta al margine. Nei grandi media nazionali ed internazionali dell’Africa non si parla più. Oggi non abbiamo più nessuna conoscenza della situazione di quel continente, nemmeno per quanto riguarda gli eventi politici.

Perché a suo parere i media tacciono sulla situazione in Africa?

Mi sembra che l’Africa sia un grande rimorso dei paesi ricchi che non sono stati in grado di assolvere il loro ruolo. Si copre con il silenzio quello che è invece un grande peccato di omissione. E poi la situazione di oggi è diversa da quella del passato. Gli eventi sia a carattere economico che politico in vari paesi hanno una sempre minore importanza poiché le decisioni sono prese da gruppi internazionali anonimi, senza alcuna tradizione storica, senza legami nemmeno sentimentali con i relativi paesi.
Nel passato ci fu solidarietà delle metropoli con le colonie. Lavorando in Africa ho incontrato dei vecchi belgi che avevano lavorato nel Congo belga e che consideravano proprio quel paese africano. Vivevano in grande amicizia con gli abitanti indigeni del Congo. Oggi quella generazione se ne stia andando e i loro figli non hanno nessun legame con l’Africa. L’Africa è stata abbandonata a se stessa e a un gruppo di impiegati internazionali, spesso corrotti.

In che modo la Chiesa aiuta gli africani a risolvere i loro problemi?

Spesso la Chiesa è tutto per loro. E’ l’unica istituzione che organizzi la vita sociale, che protegga la gente, che offra il minimo vitale, per esempio nel campo dell’educazione, della scolarizzazione, che preservi la dignità umana, che prenda le difese dei poveri, che si occupi dei servizi sanitari, che offra nelle parrocchie e diocesi delle strutture sociali di base. E’ l’unica salda struttura che esiste lì dove spesso lo Stato è quasi assente. Solo la Chiesa accompagna la gente nei loro villaggi. La forza principale della Chiesa africana sono i cattolici laici ma non bisogna nemmeno dimenticare le religiose africane, i sacerdoti e i missionari, oggi purtroppo sempre meno numerosi.

Benedetto XVI durante il viaggio in Africa si rallegrava per le migliaia di candidati al sacerdozio. Forse la Chiesa in Africa non ha più bisogno di missionari?

In Africa è migliorata la situazione delle vocazioni che oggi sono molto più numerose di quanto non lo fossero negli anni passati. I missionari però sono meno numerosi poiché mancano i candidati nei cosiddetti “paesi millenari” come chiamo i paesi dove il cristianesimo si era radicato molti secoli fa. L’Europa occidentale che è stata la fonte principale di missionari, oggi è una fonte sempre meno generosa. La Polonia può vantare duemila missionari presenti su tutti i continenti, senza contare i paesi dell’ex Unione sovietica ma questo è un numero rilevante più da un punto di vista simbolico che non invece decisivo per quanto riguarda le necessità delle missioni.

Il Santo Padre più volte ha ribadito la necessità di considerare la dignità delle donne in Africa. Perché?

Le donne devono essere aiutate poiché in Africa sono le vere guardiane della vita. Organizzano non solo la vita famigliare ma sempre più spesso anche la vita economica. Sono pronte a molti sacrifici, sono intraprendenti e hanno molte idee. In Africa, così come in altri paesi del mondo, abbiamo oggi a che fare con la crisi del maschio e del padre, e quella crisi è compensata dalle donne, in quanto madri e mogli.

Come valuta Lei la situazione delle diocesi africane?

In molti paesi le strutture della Chiesa cattolica hanno delle grandi difficoltà materiali. E davvero un’impresa mantenere ad un livello adeguato per esempio il seminario superiore che debba essere una scuola superiore, munita di una biblioteca, dove agli studenti e ai professori sia assicurato un minimo di condizioni di vita. Questo è possibile solo grazie agli aiuti esterni, e soprattutto da parte delle Pontificie Opere Missionarie, l’unica organizzazione che sostenga i bilanci delle diocesi e delle istituzioni educative nei paesi di missione.

Quale deve essere il frutto dei lavori del Secondo sinodo dei vescovi per l’Africa?

Il Sinodo pone l’accento sulla questione di riconciliazione, della giustizia e della pace, e quindi parla della realtà dell’intero continente. Prima bisogna fare la diagnosi e capire le cause dalle quali scaturisce l’attuale situazione dell’Africa. Non ci possiamo limitare ad una semplice descrizione del presente. Bisogna capire il perché e arrivare alle fonti del male, così come individuare le fonti del bene che potrebbe portare per l’Africa dei vantaggi. Alla fine dell’Assemblea sinodale viene costituita una commissione che raccoglie tutto il materiale per redigere un documento finale. L’ultimo redattore di quel documento però è il Santo Padre. Solitamente un anno o due dopo un Sinodo viene pubblicato un documento chiamato Esortazione post sinodale che raccoglie i risultati dei lavori.

Eccellenza, lei ha partecipato al I Sinodo per l’Africa convocato da Giovanni Paolo II nel 1994. Quel sinodo ha avuto importanza solo per l’Africa o anche per l’intera Chiesa?

Quel sinodo è stato discusso a lungo e in un modo profondo si è iscritto nella coscienza della Chiesa africana. Soprattutto la sua idea della Chiesa come famiglia dei figli di Dio. Se tutti siamo una sola grande famiglia, dobbiamo vivere nella concordia e nell’amore. Questo è stato il messaggio del I Sinodo per l’Africa che oggi viene ricordato nei due ultimi capitoli del materiale introduttivi al nuovo Sinodo africano. E penso che questa sia un’immagine della Chiesa che potrebbe funzionare anche nei nostri paesi europei: la Chiesa non solo come popolo di Dio ma anche come famiglia dei figli di Dio.









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