Sinodo per l'Africa. Relazione introduttiva del Relatore Generale, il Card. TURKSON,
Arcivescovo di Cape Coast (GHANA)
Pubblichiamo il testo integrale della Relazione prima della discussione del Relatore
Generale della Seconda Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi per l'Africa, S.E.M.R.
Card. Peter Kodwo Appiah Turkson, Arcivescovo di Cape Coast (Ghana) e Presidente dell'Associazione
delle Conferenze Episcopali dell'Africa Occidentale (A.C.E.A.O.) letta questa mattina
nell'Aula del Sinodo, in occasione della prima giornata di lavori
Introduzione
Mentre
veniva intonato il Te Deum e nell’intera Aula del Sinodo risuonava questo inno di
rendimento di grazie, a mezzogiorno del 7 maggio 1994, si concludeva formalmente la
I Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi. Il Sinodo aveva avuto come
tema: “La Chiesa in Africa e la sua Missione evangelizzatrice verso l’anno 2000: ‘Sarete
miei testimoni’ (At 1, 8)”. Esso rivolse un messaggio alla Chiesa e al mondo che rispecchiava
gli slanci principali del processo sinodale e votò diverse risoluzioni in forma di
Proposizioni. A partire da qui i Padri sinodali e l’intera Chiesa attesero intensamente
l’Esortazione Apostolica Post-sinodale del Santo Padre, come Presidente del Sinodo,
che avrebbe raccolto i frutti del Sinodo in un messaggio che avrebbe contrassegnato
la conclusione definitiva dell’esercizio collegiale e consultivo del Sinodo. Cosa
che il Santo Padre ha fatto emanando l’Esortazione Post-sinodale Ecclesia in Africa
(La Chiesa in Africa) e presentandola all’Africa e al mondo a Yaoundé in Camerun,
il 14 settembre 1995, poi a Johannesburg, in Sudafrica, il 17 settembre 1995, e infine
a Nairobi, in Kenya, il 19 settembre 1995 [1].
I. Dalla I Assemblea Speciale
per l’Africa alla II Assemblea Speciale
Papa Giovanni Paolo II descriveva il
Sinodo da lui concluso con la promulgazione dell’Esortazione Post-sinodale Ecclesia
in Africa come un “Sinodo di risurrezione e di speranza” [2]. Da quella Assemblea
sinodale, convocata sullo sfondo di una visione del mondo prevalentemente pessimistica
dell’Africa, di una situazione del continente di particolare sfida e “tragicamente
sfavorevole” [3] per la missione evangelizzatrice della Chiesa negli ultimi anni del
ventesimo secolo, si attendeva tuttavia che segnasse una svolta nella storia del continente
[4]. Quando il Santo Padre e i Padri sinodali si incontrarono per quel primo Sinodo,
dovettero considerare “gli elementi sia positivi che negativi (le luci e le ombre)
nei ‘segni dei tempi’” [5]. Dovettero contemplare e celebrare i successi dell’evangelizzazione
e la crescita delle Chiese locali nel continente, ma anche lamentare e deplorare una
serie di miserie e di mali nel continente. Dovettero onorare l’eroismo e lo spirito
pionieristico dei missionari, ma anche criticare la mancanza di impegno e di zelo
pastorale del personale ecclesiastico, l’emergere di tendenze sincretistiche, la proliferazione
delle sette, la politicizzazione dell’islam e la sua intolleranza alle critiche. Dovettero
accogliere con ottimismo l’emergere di democrazie e il risveglio di una profonda consapevolezza
culturale, sociale, economica e politica nel continente, ma dovettero anche lamentare
regimi dispotici e dittatoriali, malgoverno, corruzione diffusa e un’allarmante aumento
della povertà. La situazione del continente era fortemente ambivalente quanto paradossale
e la rapida successione degli eventi come la fine dell’apartheid e il triste inizio
del genocidio ruandese ben rappresentavano questo paradosso. Tenendo conto di questa
situazione paradossale in cui il male e la sofferenza sembravano prevalere sul bene
e sulla virtù, il clima pasquale della I Assemblea Speciale per l’Africa ispirò un
messaggio di speranza per il continente. Con la pubblicazione dell’Esortazione Apostolica
Post-sinodale Ecclesia in Africa, la Chiesa in Africa ebbe nuovo impulso e nuovo slancio
per la sua vita e attività nel continente come Chiesa missionaria, ossia Chiesa con
una missione. Infatti, il Sinodo nel suo clima pasquale e l’Esortazione Apostolica
Post-sinodale diedero alla Chiesa in Africa un nuovo impulso che possiamo così descrivere: -
speranza nel Cristo Risorto, come nuovo impeto per vivere il suo “programma” e la
sua missione evangelizzatrice; - un nuovo paradigma: la Chiesa come famiglia di
Dio, per offrire una prospettiva, un sistema di valori per vivere il suo “programma”,
ma specialmente per sottolineare l’unità e la comunione di tutti nonostante le differenze; -
un insieme di priorità pastorali: evangelizzazione come Proclamazione, evangelizzazione
come Inculturazione, evangelizzazione come Dialogo, evangelizzazione come Giustizia
e Pace ed evangelizzazione come Comunicazione per orientare l’attuazione del proprio
“programma” e della propria missione in un’Africa con un paradossale accostamento
di deplorevoli miserie umane e di straordinari eroismi al di fuori e all’interno della
Chiesa [6].
Perciò il periodo successivo alla pubblicazione dell’Esortazione
Apostolica Post-sinodale ha rappresentato, come riteneva anche Papa Giovanni Paolo
II [7], il tempo dell’approfondimento di questa esperienza sinodale e di applicazione
della Ecclesia in Africa, nello sforzo perseverante e concertato di ristabilire un
rinnovato vigore e una speranza più concreta in un continente in difficoltà. Questo
periodo post-sinodale ha raggiunto il suo quattordicesimo anno; e, mentre la situazione
del continente, delle sue isole e della Chiesa presenta ancora alcune delle “luci
e ombre” [8] che motivarono il primo Sinodo, essa è anche notevolmente cambiata.
Tale nuova realtà richiede un appropriato esame in vista di un rinnovato sforzo di
evangelizzazione che esige un approfondimento di alcuni temi specifici importanti
per il presente e il futuro della Chiesa cattolica nel grande continente africano
[9]. Di conseguenza, riuniti nuovamente in una II Assemblea Speciale per l’Africa
quindici anni dopo la prima, dobbiamo radicarci in profondità nel primo Sinodo [10],
consapevoli e desiderosi di esplorare in primo luogo i “nuovi dati ecclesiali e sociali
del continente” [11], che attualmente influiscono sulla missione della Chiesa nel
continente ed esigono che la Chiesa in Africa, oltre a considerarsi come “testimone
di Cristo” e “famiglia di Dio”, si consideri anche “sale della terra, luce del mondo”
e “a servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace”.
Nuovi dati
sociali ed ecclesiali del continente
Dati ecclesiali
a. Subsidia Fidei:
è importante notare che lo slancio e l’impulso che la I Assemblea Speciale per l’Africa
ha dato alla Chiesa di questo continente per rinnovarsi, fortificarsi e radicare più
saldamente la propria speranza nel Signore, è stato considerevolmente favorito da
alcuni eventi ecclesiali successivi e da attività del Papa e della Curia Romana, che
potremmo definire come “subsidia fidei” per la Chiesa. Così, il “Sinodo sull’Eucaristia”
ha affermato la centralità dell’Eucaristia nella vita della Chiesa-Famiglia di Dio
quale simbolo di unità. Il “Sinodo sul Vescovo: Servitore del Vangelo...” ha ricordato
a Vescovi e Pastori il loro ministero essenziale, quali annunciatori del Vangelo in
seno alla Chiesa-Famiglia di Dio; e il “Sinodo sulla Parola di Dio” ha ricordato alla
Famiglia di Dio il seme eterno e imperituro della sua nascita. Inoltre le Encicliche
del Papa “Deus caritas est”, “Spe salvi”, “Caritas in veritate”, le sue omelie e i
suoi discorsi nel corso della recente visita apostolica in Africa (Camerun e Angola)
hanno offerto catechesi di inestimabile valore alla Chiesa in Africa. Infine i dicasteri
della Curia Romana hanno tenuto seminari su: - “La Liturgia” (Kumasi 2007) allo
scopo di offrire una guida per una permanente opera di inculturazione nella liturgia. -
La “Dottrina Sociale della Chiesa” (Dar-es-Salaam 2008) per promuovere la conoscenza
e la diffusione degli insegnamenti sociali della Chiesa. - “La Migrazione” (Nairobi
2008) per parlare della migrazione e delle nuove forme di schiavitù. - I “Lavori
delle Commissioni Teologiche delle Conferenze episcopali” (Dar-es-Salaam 2009) per
ricordare ai Vescovi l’importanza del loro compito magisteriale in seno alla Chiesa,
anche se si avvalgono di esperti. Tali incontri hanno accresciuto la consapevolezza
della Chiesa in Africa riguardo alla propria vita e al proprio ministero.
b.
La crescita eccezionale della Chiesa in Africa: negli ultimi decenni (compresi gli
anni successivi alla I Assemblea Speciale per l’Africa) è diventato abituale parlare
di una eccezionale crescita della Chiesa in Africa e gli indicatori, come sottolineano
i Lineamenta e l’Instrumentum laboris, sono diversi. Tuttavia, fra questi segnali
di crescita della Chiesa del continente e delle isole, le vere novità sono: - L’ascesa
di membri africani di congregazioni missionarie a posizioni e ruoli di guida: membri
di consigli, vicari generali e perfino superiori generali.
- Ricerca dell’autosufficienza
da parte delle Chiese locali, impegnandosi in operazioni economiche in grado di generare
profitti (banche, società finanziarie, compagnie di assicurazioni, agenzie immobiliari
e negozi). - Un incremento visibile delle strutture e istituzioni ecclesiali (seminari,
università ed istituti cattolici di istruzione superiore, centri di formazione permanente
per i religiosi, i catechisti e i laici, scuole di evangelizzazione) come pure un
aumento di esperti e manager per il lavoro di ricerca nel campo della fede, della
missione, della cultura e dell’inculturazione, della storia, dell’evangelizzazione
e della catechesi. Tuttavia la Chiesa in Africa affronta anche terribili sfide: -
Quando si parla di una Chiesa prospera in Africa si dimentica il fatto che in vaste
aree a nord dell’equatore, essa a malapena esiste. La crescita straordinaria della
Chiesa si è verificata soprattutto a sud del Sahara. - La fedeltà e l’impegno di
alcuni sacerdoti e religiosi alla loro vocazione. - La necessità di evangelizzare
(o ri-evangelizzare) per una conversione profonda e permanente. - La perdita di
membri che sono passati a nuovi movimenti religiosi o alle sette. I giovani cattolici
vanno all’estero (in Europa e America) e tornano non cattolici, perché nelle Chiese
di quei Paesi non si sono trovati a loro agio. - Il calo degli indici di incremento
della popolazione nell’Europa tradizionalmente cristiana e in America.
c. Il
Sinodo per l’Africa e il “Simposio delle Conferenze Episcopali dell’Africa e del Madagascar”
(SECAM): l’approfondimento dell’esperienza sinodale africana nel continente e nelle
isole è dipeso in larga misura da un organismo specifico della Chiesa continentale,
il “SECAM”. Durante il Concilio Vaticano II i Vescovi africani, alla ricerca di mezzi
idonei di cooperazione, diedero vita ad un segretariato che coordinasse i loro interventi
e presentasse al Concilio un punto di vista comune (africano). Dopo il Concilio e
alla presenza di Papa Paolo VI a Kampala (1969), i Vescovi africani decisero di rendere
permanente questo organismo di cooperazione del Concilio con la creazione del SECAM.
Allora il SECAM era un auspicabile organismo o istituzione permanente per promuovere
l’esercizio di una solidarietà pastorale organica nel continente da parte dei suoi
Pastori. Doveva essere uno strumento dei vescovi per promuovere nel continente l’
“Evangelizzazione nella corresponsabilità” [12]; ed è stato a questo organismo che
Papa Giovanni Paolo II ha attribuito l’idea originaria di un Sinodo per l’Africa [13]. Nel
corso della II Assemblea Speciale per l’Africa non sarebbe fuori luogo se i Pastori
del continente riesaminassero la necessità dell’esistenza del SECAM e il loro impegno
nei suoi confronti.
Dati sociali
Nel trattare “alcuni punti critici
della vita delle società africane” [14], l’Instrumentum laboris ha individuato e discusso
molti di questi nuovi dati sociali. Vogliamo aggiungere poche note a piè di pagina
che potrebbero essere importanti e lasciare all’assemblea sinodale il compito di completare
il quadro.
d. Note Socio-storiche all’Instrumentum laboris: nel 1963,
nel corso di un incontro dell’Organizzazione per l’Unità Africana (OAU), i leader
africani decisero di mantenere una delle vestigia dell’era coloniale, conservando
i confini coloniali e la descrizione degli stati, indipendentemente dal loro carattere
artificiale. Tuttavia tale decisione non è stata seguita da un corrispondente sviluppo
del sentimento nazionalista, che avrebbe fatto sì che le differenze etniche si arricchissero
vicendevolmente e che avrebbe privilegiato il bene comune della nazione rispetto al
campanilismo degli interessi etnici. Per questo motivo la diversità etnica continua
a rappresentare un focolaio di conflitti e tensioni, che minano perfino il senso di
appartenenza comune alla Chiesa-Famiglia di Dio. La schiavitù e lo schiavismo, che
il mondo arabo portò per primo sulla costa dell’Africa orientale e che gli europei
, in collaborazione con gli stessi africani, nel XIV secolo incrementarono ed estesero
a tutto il continente, hanno portato a un flusso migratorio forzato di africani. Oggi
le migrazioni volontarie, dettate da vari motivi, dei figli e delle figlie dell’Africa
verso l’Europa, l’America e l’Estremo Oriente, li pongono in una condizione di occupazione
servile che esige la nostra attenzione e la nostra cura pastorale.
e. Nota
socio-politica all’Instrumentum laboris: strettamente legate agli sviluppi post-coloniali
del continente sono state le celebrazioni di indipendenza e l’emergere di stati e
nazioni africane con governi gestiti da soli africani. L’esercizio del potere politico
e del governo è stato generalmente criticato e spesso viziato da dispotismi, dittature,
politicizzazione della religione o dell’etnia, disprezzo per i diritti dei cittadini,
mancanza di trasparenza e di libertà di stampa, ecc. Ma il periodo successivo alla
I Assemblea per l’Africa, vale a dire l’alba del Terzo Millennio, sembrava aver coinciso,
nel continente, con un desiderio emergente degli stessi leader africani di un “Rinascimento
africano” (Thabo Mbeki), “una nuova contemporanea auto-determinazione africana per
la costruzione di una civiltà africana in sintonia con i dettami dei nostri tempi,
vale a dire la crescita economica, la libertà politica e la solidarietà sociale” [15]. I
leader politici africani sembrano determinati a cambiare il volto dell’amministrazione
politica nel continente; e hanno condotto un’auto-valutazione critica che ha identificato
nel malgoverno le cause della povertà e delle sofferenze dell’Africa. Hanno quindi
tracciato un cammino del buon governo e della formazione della classe politica, in
grado di cogliere la parte migliore delle tradizioni ancestrali africane e di integrarla
con i principi di governo delle moderne società. Hanno adottato un quadro strategico
(NEPAD) per orientare le azioni e guidare il rinnovamento dell’Africa attraverso delle
leadership politiche trasparenti [16]. Può, la Chiesa in Africa, riconoscere l’impegno
politico dei suoi figli e delle sue figlie e dare loro lo stimolo del messaggio evangelico,
che li sfidi ad essere la “luce delle (loro) nazioni” e il “sale delle loro comunità”,
offrendo una “leadership a servizio degli altri”?
f. Nota socio-economica all’Instrumentum
laboris: il rapporto radicale tra governo ed economia è chiaro; dimostra che un cattivo
governo produce una cattiva economia. Ciò spiega il paradosso della povertà di un
continente che è senz’altro uno dei più ricchi del mondo di potenzialità. La conseguenza
di questa “equazione governo-economia” è che quasi nessun paese africano può rispettare
i propri obblighi di bilancio, vale a dire i programmi finanziari nazionali pianificati,
senza ricorrere ad aiuti esterni in forma di obbligazioni o prestiti. Questo continuo
finanziamento dei bilanci nazionali facendo ricorso a prestiti non fa altro che accrescere
un già opprimente debito nazionale. La Chiesa universale con quella Africana hanno
messo a punto una campagna per cancellarlo nell’anno del Grande Giubileo.
I
rapporti economici tradizionali degli stati africani con i paesi ex-colonizzatori,
per esempio il “Commonwealth”, sono stati sostituiti da altre potenti alleanze economiche
tra gli stati africani individualmente o in blocco con gli Stati Uniti (Millennium
Challenge Account), la Comunità Economica Europea (Lomé Culture, Yaoundé Agreement
e il Cotonou Agreement) [17] e il Giappone (TICAD I-III). Recentemente la Cina e l’India,
assetate di risorse naturali, si sono affacciate sulla scena manifestando interesse
per ogni possibile aspetto delle economie nazionali africane. Al centro della maggior
parte di questi protocolli e accordi c’è la discussione sul “commercio e sostegno”,
vedendo che i paesi che si sono sviluppati, lo hanno fatto attraverso il commercio
(non solo in “materie prime”), e non in conseguenza di una “sindrome di dipendenza
dagli aiuti”. Rappresentano quindi un motivo di grande interesse per le giovani economie
commerciali africane le decisioni e le condizioni imposte dall’Organizzazione Mondiale
del Commercio (WTO) e dal mondo sviluppato. Come già detto sopra, i leader africani
hanno recentemente dato vita a una struttura strategica (NEPAD) [18] che guidi gli
accordi economici dell’Africa, il superamento della povertà e il raggiungimento degli
Obiettivi di Sviluppo del Millennio (Millennium Development Goals). Come afferma il
Dr. Uschi Eid, “Soltanto gli stimoli e gli sforzi che nascono dall’Africa porteranno
al successo” [19]. In un certo senso l’uscita dell’Africa dalla sua agonia economica
deve essere opera degli africani e guidata da loro stessi [20]. Per questo i cuori
devono essere convertiti e gli occhi aperti per trovare nuovi modi di amministrare
la ricchezza pubblica per il bene comune; e ciò spetta alla missione evangelizzatrice
della Chiesa nel continente e nelle isole.
g. Note sociali all’Instrumentum
laboris: gli effetti delle suddette situazioni (storiche, politiche, economiche) determinano
lo stato di salute della società africana (stabile, pacifica, prospera); costituiscono
inoltre le sfide di fondo per la missione evangelizzatrice della Chiesa nel continente
e nelle isole. Esistono inoltre fenomeni globali e iniziative internazionali, di
cui occorre valutare l’impatto sulla società africana e su alcune delle sue strutture,
che pongono nuove sfide anche alla Chiesa. Mentre l’importanza che viene data sempre
di più al posto e al ruolo delle donne nella società è un felice progresso, l’emergere
nel mondo di stili di vita, valori, atteggiamenti, associazioni, ecc., che destabilizzano
la società, sono motivo di inquietudine. Essi minano le basi stesse della società
(matrimonio e famiglia), ne riducono il capitale umano (migrazioni, spaccio di droga,
traffico d’armi) e minacciano la vita del pianeta. Il matrimonio e la famiglia
sono sottoposti a pressioni diverse e terribili perché venga ridefinita la loro natura
e funzione nella società moderna. I matrimoni tradizionali, che portavano alla creazione
di famiglie, sono minacciati da una crescente proposta di unioni e rapporti alternativi,
privati del concetto di impegno duraturo, di natura non eterosessuale e senza il fine
della procreazione. In alcune parti del continente questi hanno già i loro paladini
all’interno della Chiesa. Questo attacco al matrimonio e alla famiglia è portato avanti
e sostenuto da gruppi che producono un glossario teso a sostituire i concetti e i
termini tradizionali riguardanti il matrimonio e la famiglia con nuove espressioni.
Lo scopo è quello di stabilire una nuova etica globale sul matrimonio, la famiglia,
la sessualità umana e le istanze correlate dell’aborto, della contraccezione, di aspetti
dell’ingegneria genetica, ecc. Spaccio di droga e traffico di armi: alcune parti
del continente sono diventate le vie della droga dall’America Latina all’Europa. Per
quanto riguarda l’Africa occidentale, il traffico di droga viene indicato come causa
principale dell’instabilità e del disordine politico in Guinea Bissau e ora anche
in Guinea. Quando all’inizio di luglio l’esercito della Guinea ha dichiarato il massimo
stato di allerta, lo ha fatto in seguito a minacce di invasione sostenute dai cartelli
della droga.
La droga non passa semplicemente attraverso parti del continente
e delle isole, ma ha trovato consumatori ovunque. L’uso di droghe e la tossicodipendenza
tra i giovani sta rapidamente diventando la maggior causa di dispersione del capitale
umano in Africa e nelle isole, seconda solo alla migrazione, ai conflitti e alle malattie,
quali l’Aids/HIV e la malaria. Strettamente connesso al traffico di droga e all’avventurismo
politico è il traffico di armi: sia di piccolo calibro che pesanti. La Chiesa in Africa,
riunita in Assemblea Speciale si unisce alla Santa Sede nel sostenere con soddisfazione
le iniziative delle Nazioni Unite volte a fermare il traffico illegale di armi e a
rendere il commercio legalizzato degli armamenti più trasparente. Essa sostiene in
modo particolare lo studio che è in corso per la messa a punto di un trattato giuridicamente
vincolante sull’importazione, l’esportazione e il passaggio di armi convenzionali
attraverso l’Africa. Ambiente e cambiamenti climatici: la nube discontinua di smog
che copre la maggior parte dell’Africa orientale, accompagnata da una diminuzione
delle precipitazioni, da siccità e carestia, è spesso considerata un effetto del Niño.
Ma essa evidenzia quanto siano dure le condizioni climatiche del continente in generale
e quanto negativamente il precario equilibrio ecologico di alcune parti dell’Africa
possa essere influenzato dai “cambiamenti climatici” osservati nel pianeta. Per questo
motivo i vertici delle Nazioni Uniti e mondiali sui cambiamenti climatici, l’emissione
di gas serra, l’assottigliamento dello strato di ozono, come quello che si terrà a
dicembre a Copenaghen, devono poter contare sull’orante sostegno dell’Africa, mentre
si prepara a scoprire e a sviluppare sorgenti alternative di energia pulita (sole,
vento, onde marine, biogas, ecc.). Al termine di questo esame, che è certamente
incompleto, è chiaro che, nonostante il continente e la Chiesa nel continente non
siano ancora usciti dalle difficoltà, possono però almeno in parte rallegrarsi per
i loro successi e i risultati positivi e iniziare a ricusare le generalizzazioni stereotipate
sui conflitti, carestie, corruzioni e malgoverni. I quarantotto Paesi che costituiscono
l’Africa sub-sahariana presentano grandi differenze nelle situazioni delle loro Chiese,
dei loro governi e della loro vita socio-economica. Di queste quarantotto nazioni,
solo quattro, la Somalia, il Sudan, il Niger e parti della Repubblica Democratica
del Congo, sono attualmente in guerra, e almeno due di queste lo sono a causa di interferenze
straniere: la Repubblica Democratica del Congo e il Sudan. Va detto che vi sono meno
guerre in Africa che in Asia. I mercanti di guerra e i criminali di guerra vengono
sempre di più denunciati, processati e perseguiti. Un ufficiale della Repubblica Democratica
del Congo è stato processato: Charles Taylor della Liberia sta affrontando la corte
internazionale. La verità è che l’Africa è stata accusata per troppo tempo dai
media di tutto ciò che viene aborrito dall’umanità; è tempo di “cambiare marcia”e
di dire la verità sull’Africa con amore, promuovendo lo sviluppo del continente che
porterà al benessere di tutto il mondo [21]. I paesi del G-8 e i paesi del mondo devono
amare l’Africa nella verità! [22]. Generalmente considerata alla decima posizione
nella graduatoria dell’economia mondiale, l’Africa rappresenta tuttavia il secondo
mercato mondiale emergente dopo la Cina. Per questo motivo, come l’ha definita il
summit del G-8 da poco concluso, è il continente delle opportunità. E ciò dovrebbe
valere anche per le popolazioni del continente. Si spera che la ricerca della riconciliazione,
la giustizia e la pace, che è eminentemente cristiana per il fatto di essere radicata
nell’amore e nella misericordia, ristabilisca l’unità della Chiesa-Famiglia di Dio
nel continente e che quest’ultima, in quanto sale della terra e luce del mondo, guarisca
“il cuore ferito dell’uomo, in cui si annida la causa di tutto ciò che destabilizza
il continente africano” [23]. In tal modo il continente e le sue isole comprenderanno
le opportunità e i doni dati loro da Dio.
II. Dall’essere “Famiglia di Dio
(evangelizzatori) all’essere servitori (ministri = diakonoi) della riconciliazione,
della giustizia e della pace” Come precedentemente osservato, quando la I Assemblea
speciale per l’Africa si riunì per riflettere sull’evangelizzazione nel continente
e nelle isole alle soglie del terzo millennio della fede cristiana, adottò la Chiesa-Famiglia
di Dio come il principio guida dell’evangelizzazione in Africa [24]. L’immagine della
Chiesa-Famiglia di Dio evocava valori come sollecitudine verso gli altri, solidarietà,
dialogo, fiducia, accoglienza e calore nei rapporti. Evocava tuttavia anche le realtà
socioculturali di genitorialità, procreazione e filiazione, affinità e fraternità,
come pure una rete di rapporti che derivavano da queste realtà sociali e in cui i
membri si riconoscevano. I rapporti costituiscono la vita di comunione della famiglia,
ma richiedono ai membri un impegno, il cui compimento rappresenta allo stesso tempo
la loro giustizia e rende le relazioni armoniose e pacifiche. Tuttavia, quando tali
esigenze del rapporto non vengono rispettate, la giustizia viene violata e la vita
di comunione risulta offesa, danneggiata, menomata. L’Instrumentum laboris ne tiene
conto e mette in rilievo le numerose sfide alla comunione e all’ordine sociale che
il disprezzo per le giuste esigenze di relazione pone al continente. In questi casi
la riconciliazione rappresenta il ristabilimento della comunione e del giusto ordine;
ed essa prende la forma di restaurazione della giustizia che sola ristabilisce pace
ed armonia nella Chiesa-Famiglia di Dio e nella famiglia della società. Quanto
segue si propone di contribuire alla discussione del tema sinodale, fornendo brevi
riferimenti biblici ai termini del tema allo scopo di radicare le istanze dei termini
e la loro interazione nei rapporti umani (nella società umana) prima e, soprattutto,
nel rapporto di Dio con l’uomo (umanità).
a. Servi (diakonoi) di Riconciliazione
come Ripristino della Giustizia Nelle Scritture. La riconciliazione è una iniziativa
divina, un moto libero e gratuito di Dio nei confronti dell’umanità; e il suo scopo
è quello di sanare e di ristabilire la comunione sancita dall’alleanza, che viene
minacciata e infranta dal peccato. L’insegnamento di San Paolo ai Corinzi sull’argomento
è illuminante: “Quindi se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono
passate, ecco ne sono nate di nuove. Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati
con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione. È stato
Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro
colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione. Noi fungiamo quindi da ambasciatori
per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro. Vi supplichiamo in nome di Cristo:
lasciatevi riconciliare con Dio” (2 Cor 5, 17-20). La Riconciliazione quindi è
un atto divino di cui noi (umanità) facciamo esperienza e in questa esperienza diventiamo
suoi strumenti e ambasciatori.
L’esperienza di Riconciliazione degli Apostoli
I Vangeli hanno presentato la vita e il ministero di Gesù come l’opera di
salvezza del Padre per l’umanità. I discepoli di Gesù sono stati i primi a essere
chiamati a sperimentare l’offerta di salvezza del Padre in Gesù e l’hanno fatto in
vari modi, anche attraverso il perdono e la riconciliazione. Il saluto di “pace” di
Gesù ai discepoli la mattina della Resurrezione (Gv 20, 19-21), per esempio, rappresentava
il perdono del loro tradimento e del loro abbandono di Gesù, e allo stesso tempo il
ristabilimento dell’amicizia.
Gesù non ha preteso un’ammissione di colpa da
parte dei discepoli. Non c’è stata alcuna richiesta di perdono e non sono state porte
scuse. C’era solo una luce benevola che brillava su tutte le loro mancanze. Sono stati
offerti un perdono gratuito e un riconciliante augurio di pace. La Riconciliazione
qui è un gesto conciliatorio gratuito e immeritato in cui l’offeso (Gesù) va incontro
ai colpevoli (i discepoli). Incaricati ora di predicare il Vangelo fino ai confini
della terra, i discepoli-apostoli di Gesù hanno assolto la loro missione di “evangelizzatori
che sono stati evangelizzati” e di “ambasciatori della riconciliazione che hanno fatto
esperienza della riconciliazione”.
L’esperienza di Riconciliazione di Paolo
Più
tardi Paolo prosegue l’opera dei discepoli-apostoli di Gesù come predicatore dello
stesso dono di salvezza in Gesù. Tuttavia, avendo ricevuto l’incarico di annunciare
Gesù nelle particolari circostanze del suo incontro con il Signore risorto sulla via
di Damasco, anche Paolo comprende che l’offerta di salvezza in Gesù da parte del Padre
è l’atto di riconciliazione del Padre [25]. Infatti, come egli stesso ammette: “Io
che per l'innanzi ero stato un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi
è stata usata misericordia, perché agivo senza saperlo, lontano dalla fede; così la
grazia del Signore nostro ha sovrabbondato insieme alla fede e alla carità che è in
Cristo Gesù” (1 Tm 1, 13-14). Per Paolo, quindi, l’esperienza della salvezza ha
rappresentato anche un passaggio dall’ostilità e l’inimicizia verso Cristo e la sua
Chiesa alla fede in Cristo e alla fratellanza con la sua Chiesa. Questo passaggio
dall’inimicizia alla fratellanza costituisce la riconciliazione ed è un’esperienza
immeritata che solo Dio può suscitare in una persona. In questo, Paolo ha considerato
se stesso un esempio per coloro che avrebbero creduto in Cristo (cf. 1 Tm 1, 16).
Riconciliazione
con Dio (verticale) e tra gli Esseri Umani (orizzontale)
In Gesù: nella sua
vita e nel suo ministero ma in particolare nella sua morte e risurrezione, Paolo ha
visto Dio Padre riconciliare il mondo (tutte le cose in cielo e sulla terra) a sé,
cancellando i peccati dell’umanità (cf. 2 Cor 5, 19; Rm 5, 10, Col 1, 21-22). Paolo
ha visto Dio Padre riconciliare giudei e gentili a sé in un solo corpo attraverso
la croce (Ef 2, 16). Ma Paolo ha anche visto Dio riconciliare giudei e gentili creando,
dei due, un solo uomo nuovo (Ef 2, 15; 3, 6). In tal modo l’esperienza della riconciliazione
stabilisce la comunione su due livelli: comunione tra Dio e umanità e, poiché l’esperienza
della riconciliazione rende noi (umanità riconciliata) anche “ambasciatori della riconciliazione”,
essa ristabilisce pure la comunione tra gli uomini.
Riconciliazione tra Dio
e Umanità
La creazione dell’umanità a immagine e somiglianza di Dio, la scelta
di Israele come “parte e eredità di Dio”, la redenzione dell’umanità in Cristo e il
sigillo dello Spirito Santo (cf. Ef 1, 13; 4, 30) conducono l’umanità alla comunione
con Dio. Quando l’umanità è alienata e lontana da Dio a causa del peccato (disobbedienza,
idolatria, rifiuto di Gesù), la riconciliazione si concretizza nel perdono; e questa
è l’opera di Dio [26].
È Dio che ha inaugurato la riconciliazione con Israele
e l’umanità, peccatori e distanti, riconducendoli a sé (Sal 80, 3, 7, 19; Os 11; 14)
“perché noi fossimo a lode della sua gloria” (Ef 1, 12) e secondo “Dio nella giustizia
e nella santità vera” (Ef 4, 24); e Gesù “Colui che non aveva conosciuto peccato...
Dio lo trattò da peccato in nostro favore” (2 Cor 5, 21; Gal 3, 13; Rm 8, 5) resta
il nostro tramite per la riconciliazione. La quale, comunque, è opera dell’amore di
Dio.
La Riconciliazione in seno alla Famiglia Umana
Ricordando brevemente
la storia di Gesù e Zaccheo (Lc 19), si comprende che l’incontro tra Gesù e Zaccheo
non ha portato soltanto a una conversione che ha stabilito la comunione tra Zaccheo
e il Signore. Questo incontro ha portato anche a una conversione che ha ristabilito
il rapporto di Zaccheo con la sua gente. In questa nuova relazione è cambiata anche
la sua visione della sua gente: erano fratelli che non dovevano essere sfruttati o
defraudati. La Riconciliazione quindi non si limita a Dio che attira a sé un’umanità
alienata e peccatrice in Cristo attraverso il perdono dei peccati e l’amore. Costituisce
anche il ristabilimento delle relazioni tra le persone tramite la composizione delle
differenze e l’abbattimento degli ostacoli nei rapporti attraverso l’esperienza dell’amore
di Dio. Questa, infatti, è la caratteristica propria della riconciliazione nel ministero
di Gesù Cristo. D’altro canto, le Scritture riportano diverse forme di riconciliazione
attraverso accomodamenti [27], quali: - il colpevole ammette l’errore e chiede
perdono, riconoscendo così che l’offeso è nel giusto (virtuoso) [28]; - il colpevole
nega l’errore e si dà avvio a una mediazione per stabilire chi è nel giusto; -
l’offeso perdona unilateralmente e fa cessare le ostilità, stabilendo la pace e la
riconciliazione. In tutti questi casi tuttavia la riconciliazione, come passaggio
dall’inimicizia alla pace, dall’alienazione alla comunione, non è un sacrificio dei
diritti e non si sostituisce alla giustizia. Piuttosto, il ripristino della giustizia
è il suo frutto. In sostanza la riconciliazione dell’umanità ancora alienata può
assumere la forma di ebrei e gentili che si riuniscono come eredi del regno (Ef 2,
13-15). Può prendere la forma di membri di una comunità di culto che armonizzano le
proprie differenze e sono in pace gli uni con gli altri (Mt 5, 23-26; 1 Cor 3, 3);
può prendere anche la forma di membri di una comunità che si perdonano reciprocamente
le offese (Mt 18, 15; Lc 17, 3-4) e che non nutrono rabbia e rancori (Ef 4, 26). Attraverso
il perdono, i membri della famiglia umana costruiscono una comunità di riconciliati
(Ef 2, 16-19), il cui perdono reciproco riflette quello del Padre nei cieli (Mt 6,
12, Lc 11, 4), il quale ha dato avvio alla nostra riconciliazione con il suo amore
e la sua misericordia.
Una prospettiva per l’Instrumentum laboris
Esiste
una spiritualità di riconciliazione nell’Instrumentum laboris che può ispirare la
discussione e che deve diventare la disposizione del servitore della riconciliazione.
Infatti in una Chiesa che è una famiglia in comunione, la riconciliazione non diventa
uno status o un’azione, bensì un processo dinamico, un compito da intraprendere ogni
giorno, un obiettivo da raggiungere, un tentativo continuo di ricomporre con l’amore
e la misericordia, amicizie interrotte, legami fraterni, speranza e fiducia [29].
b.
Servitori (diakonoi) della Giustizia (rettitudine)
Il frutto della riconciliazione
tra Dio e gli uomini e all’interno della famiglia umana (tra uomo e uomo), come osservato
precedentemente, è il ristabilimento della giustizia e delle giuste esigenze dei rapporti.
È allo stesso tempo etico e religioso e scaturisce dall’amore e dalla misericordia.
False
forme di giustizia
Il concetto di giustizia si è secolarizzato per significare: -
solamente la legge del più forte; - un compromesso sociale per evitare mali peggiori;
e - la virtù dell’imparzialità nell’applicazione generale della legge, senza alcun
riguardo per la giustizia naturale [30]. L’affermarsi dello “spirito del capitalismo”
è andato ad aggiungersi all’alienazione del concetto di giustizia da ogni radice trascendentale
[31]. L’etica dell’economia, per esempio, era razionalista e individualista. Suo scopo
principale era il profitto e non teneva conto delle esigenze della solidarietà, dell’
“ordo amoris” e di tutti i vincoli religiosi ed etici. Di conseguenza, l’intera nozione
di giustizia sociale è stata eliminata e la giustizia applicata a stesure di contratti
negoziati conformemente alla legge della domanda e dell’offerta, senza restrizioni
per le imprese individuali. Lo stato ha solo applicato l’ordine pubblico e il rispetto
dei contratti rimanendo rigorosamente neutrale riguardo al loro contenuto [32]. Invece
la giustizia della diakonia cristiana rappresenta il giusto ordine delle cose e il
rispetto delle giuste esigenze dei rapporti. È la giustizia e la rettitudine di Dio
e del suo regno (Mt 6, 33). Tuttavia, nell’attuale situazione di peccato umano
e di cuori feriti, l’Antico Testamento è saldo nella sua visione secondo cui la giustizia
non può giungere all’uomo attraverso la sua forza, ma è un dono di Dio; il Nuovo Testamento
sviluppa più pienamente questa visione, facendo della giustizia la suprema rivelazione
della grazia salvifica di Dio.
Il Senso della “Rettitudine del Regno” [33]
La
rettitudine, o la giustizia del regno, non è una giustizia retributiva, sebbene questo
sia talvolta il senso della sua attribuzione a Dio (Ap 15, 4; 19, 2, 11; 16, 5-6;
Eb 6, 10; 2 Ts 1, 6). Non ha neanche il significato di “conformità a una norma
o a un insieme di norme”. Almeno, non è questo il suo principale significato e in
questo senso non può mai essere applicato a Dio. Presentata diversamente come tsedaqah
e tsedek, la giustizia (rettitudine) è l’adempimento dell’esigenza di rapporto sia
con Dio che con gli uomini [34]; e quando Dio o l’uomo corrispondono alle condizioni
imposte su di lui (lei) dal rapporto, lui (lei) in termini biblici è “giusto” (tsadiq/dikaios). Fondamentalmente,
tre eventi spiegano tutte le relazioni che esistono tra Dio e gli uomini e tra uomo
e uomo; essi sono: - la creazione dell’umanità “a sua immagine e somiglianza” (Gn
1, 26-27) che fa degli esseri umani creature di Dio. Lo stesso atto della creazione
tuttavia postula per l’umanità un’origine e una paternità comuni che lega profondamente
tutti i membri della famiglia umana l’uno all’altro, come fratelli e sorelle [35]; -
l’alleanza-elezione di Dio nei confronti di Israele che fa di Israele “il primogenito
di Dio”, “la sua eredità”, “la sua porzione”. Essa rende inoltre anche i figli di
Israele “fratelli” (Dt 15, 11-12); - la nuova alleanza nel sangue di Cristo, per
cui tutti i seguaci di Cristo portano il “sigillo dello Spirito Santo” (Ef 1, 13-14)
che li rende “templi dello Spirito Santo” e “dimora di Dio”.
Queste sono le
basi dei rapporti tra Dio e gli uomini nei diversi momenti della storia. E sono iniziative
di Dio e atti del suo amore. In tal senso, la rettitudine è una giustizia radicale
ed esauriente di natura religiosa che esige che gli uomini si abbandonino a Dio nell’obbedienza
e nella fede e che rende ogni peccato una “injuria”, un’ingiustizia e un’empietà.
Esige anche che l’uomo risponda alle giuste esigenze del rapporto che intrattiene
a motivo della creazione e della fratellanza universale degli uomini e in virtù della
salvezza e della chiamata comune alla santità e alla filiazione in Cristo.
Rettitudine
(giustizia) basata sulla creazione
La questione riguardo a dare a Cesare quel
che è di Cesare (Mt 22, 15-22; Mc 12, 13-17; Lc 20, 20-26) ha dato a Gesù l’opportunità
di definire il rapporto fondamentale fra Dio e l’uomo come giustizia (rettitudine). Secondo
la risposta di Gesù il denaro apparteneva a Cesare poiché recava il marchio di proprietà
ossia la sua effige e la sua iscrizione. Nella giustizia, il possesso della moneta
da parte di Cesare doveva essere riconosciuto e sostenuto; per cui “date a Cesare
quel che è di Cesare”. La seconda parte della risposta di Gesù affronta la questione
fondamentale, se Dio riceve ciò che gli è dovuto da coloro che recano la sua “immagine
e somiglianza” ossia gli esseri umani (Gn 1, 26-27). L’appartenenza dell’umanità a
Dio in virtù della sua creazione a “immagine e somiglianza di Dio” è la base della
vita di comunione tra Dio e gli uomini; e assume la forma della giustizia: l’umanità
che dà a Dio ciò che gli è dovuto. Nelle Scritture l’umanità dà a Dio ciò che gli
è dovuto quando l’uomo “obbedisce alla voce di Dio”, “crede in Lui”, Lo “teme” e “Lo
adora”; quando ciò non avviene l’umanità deve mostrare che si “converte” (At 17, 30). Analogamente
la paternità comune degli uomini (At 17, 28-29) impone a ciò un “ordo amoris” di solidarietà
e di fratellanza universale che è sostenuto dalla giustizia nei rapporti.
Rettitudine
(giustizia) basata sulle alleanze di Dio
Le diverse alleanze nell’Antico Testamento
hanno istituito diversi rapporti fra Dio e: - gli individui: Abramo (Gn 17, 4),
Isacco (Gn 17, 19, 21), Giacobbe (Es 6, 4), Davide (2Cr 21, 7); - le tribù e le
famiglie: Abramo (Gn 17, 11), Davide (2 Sam 7) e - il popolo d’Israele (Dt 4,
12-13, quindi Es 19-20;24, 8; Lev 24, 8; Is 24, 5). Alcune delle alleanze dell’Antico
Testamento esprimono anche i rapporti fra gli esseri umani: Isacco e Abimelek (Gn
26, 28-29), Giacobbe e Làbano (Gn 31, 44), Davide e Giònata (1 Sam 20, 16).
Le
alleanze hanno stabilito rapporti speciali che hanno posto agli interessati delle
esigenze [36]; e la giustizia (rettitudine) era l’osservanza delle esigenze dei rapporti
che assicuravano la fratellanza e la comunione, verticalmente fra Dio e gli uomini
e, orizzontalmente, fra le persone. Nella Bibbia, i termini opposti sono “malvagio”
(malfattore) e “malvagità” (rasha’); e denotano il male commesso contro la persona
con cui si è in rapporto. Pertanto i “malvagi” distruggono la comunità (comunione)
non adempiendo alle esigenze del rapporto comunitario [37]. Le alleanze tra Dio e
gli individui e il popolo di Israele erano iniziative di Dio che coinvolgevano gli
individui, le famiglie e il popolo di Israele in un rapporto speciale e richiedevano
che essi vivessero le esigenze del rapporto nei confronti di Dio e tra di loro. L’esigenza/le
esigenze del rapporto era/erano, da un lato, la sottomissione nella fede e nella fiducia
all’offerta di Dio espressa talvolta attraverso la celebrazione di un semplice rito
di circoncisione (Gn 17,10-11) ma spesso attraverso l’osservanza delle leggi (torah)
di Dio (Es 19, 5; Dt 7, 9, ecc.). D’altra parte, gli israeliti dovevano adempiere
a certe esigenze tra loro (giustizia sociale) in virtù del loro rapporto di alleanza
con Dio. Con i suoi numerosi peccati e violazioni delle esigenze del suo rapporto
di alleanza con Dio Israele ha agito in modo ingiusto (injuria) e si è collocato al
di fuori del rapporto. Non poteva più avere nessuna pretesa nei confronti di Dio quale
partner dell’alleanza. Se Dio ha continuato a trattarlo come partner dell’alleanza
è stato perché ha ignorato la sua violazione “facendolo ritornare” (Sal 80, 3, 7,
19). Israele, da parte sua, non poteva fare altro che confessare i propri peccati
e permettere a Dio di riportarlo indietro. Era questo il tema principale di Osea e
dei profeti post-esilio. La rettitudine di Dio consisteva quindi nel suo giustificare
Israele: riportare Israele nel rapporto di alleanza nonostante le sue mancanze. Da
parte sua, la rettitudine di Israele consisteva nel confessare i propri peccati riconoscendo
le sue mancanze e accettando nella fede la generosa offerta di Dio della salvezza.
Rettitudine
(giustizia) basata sulla Nuova Alleanza in Cristo
È su questa linea che Giovanni
Battista ha inaugurato il suo ministero; e il suo ministero ha adempiuto a ogni giustizia
nel senso che il pentimento e la confessione dei peccati che esso richiedeva erano
l’ammissione di Israele (dell’umanità) di non riuscire a essere fedele alle esigenze
dell’Alleanza, la sua esperienza immeritata di ricevere comunque il perdono giustificatore
e il favore di Dio e il riconoscimento che Dio agisce solo per amore e misericordia.
Quando dunque Gesù si è fatto battezzare da Giovanni si è unito all’umanità per professare
tutto quanto detto sopra come giustizia di Dio. È per questo che si dice che Gesù
ha adempiuto a ogni giustizia! In Gesù e nel suo ministero si vedono due cose: -
la rivelazione della giustizia come grazia giustificatrice di Dio che ignora le giuste
esigenze del rapporto dell’Alleanza e reintegra l’umanità per misericordia [38] e
amore in un rapporto di Alleanza. Poiché “Per questa grazia infatti siete salvi mediante
la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio” (Ef 2, 8). - Il dono dello Spirito
di Gesù alla Chiesa e ai suoi membri che consente loro di rispondere alla giustizia
(rettitudine) di Dio nella fede e di diventare la “giustizia di Dio in Cristo” (2
Cor 5, 21), “giustificandosi” a loro volta l’un l’altro per misericordia e amore [39]:
ignorando i loro peccati e la violazione dei diritti, i rapporti socio-politici, ecc.
e ripristinando in tal modo la comunione della famiglia di Dio e della famiglia della
società. Questo senso di giustizia e di rettitudine suggerisce che l’invito dell’Instrumentum
Laboris a essere servitori della giustizia è anzitutto e soprattutto un invito a un’esperienza
spirituale: l’esperienza della giustificazione (grazia giustificatrice) di Dio nella
fede e a testimoniarla nella Chiesa e nella società giustificando gli altri. In quale
altro modo i dolori e le molteplici lacerazioni che la gente sperimenta nel continente
possono essere guariti e può essere ripristinata la comunione?
c. Servitori/Ministri
(diakonoi) della pace: il Catechismo della Chiesa Cattolica ripete l’insegnamento
di Sant’Agostino secondo cui “la pace è la tranquillità dell’ordine” [40]. E prosegue
spiegando come “il rispetto e lo sviluppo della vita umana rchiedono la pace” e come
sono “frutto della giustizia ed effetto della carità” [41].
La Pace come opera
di Giustizia
Giustizia (rettitudine), come abbiamo visto sopra, è un concetto
di rapporto, e il giusto è colui/colei che adempie alle esigenze postegli dal rapporto
che intrattiene. Nel caso della corrotta Israele e dell’umanità caduta (Rm 5,
6 ss), che Dio ha giustificato in Cristo imputando loro la rettitudine, la loro giustizia
(rettitudine) consisteva nel riconoscimento del loro bisogno della grazia giustificatrice
di Dio e la loro sottomissione ad essa nella fede; e questo sembra precisamente essere
l’atteggiamento che predispone l’umanità alla pace di Dio nel Vangelo. Infatti, quando
alla nascita di Gesù, l’angelo annuncia la venuta della Pace di Dio in terra,essa
era destinata solo a coloro “che Egli ama” (Lc 2, 14). “La Pace” è destinata, in
terra “agli uomini che Egli ama” (Lc 2, 14) e il significato della frase “agli uomini
che Egli ama” è, secondo alcuni autori, “chiunque riceverà la grazia di Dio e risponderà
con fede” [42]. Questo significato della frase, come ricordiamo, coincide con il senso
del “giusto” e “retto” di cui si è detto, e sembrerebbe quindi che i “giusti” (retti),
in quanto disposti ad accettare nella fede ciò che Dio opera, sono anche coloro sui
quali, in terra, riposa la “pace” di Dio. Inoltre, sembrerebbe che quanti sperimentano
la pace di Dio siano proprio coloro che sono disposti a realizzare la pace sulla terra,
adempiendo alle esigenze poste dai rapporti che vivono. È qui evidenziata la stretta
relazione tra pace e giustizia (rettitudine), che Isaia vede (Is 32, 17), che il Salmista
canta (Sal 85, 10) e che Paolo vede in ogni cristiano che è a posto (giustificato)
dinanzi a Dio in Cristo. “Giustificati dunque per la fede, noi siamo in pace con Dio
per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo...” (Rm 5, 1). Dunque la pace viene dal cielo.
È un dono di Dio ed è strettamente collegato con la sua giustizia/rettitudine. Anche
in terra viene rivelata come dono di Dio dall’alto e viene donata ai giusti/retti
(“gli uomini che egli ama”).
La pace come effetto della Carità (l’amore di
Dio in Cristo)
Poiché la “pace” è stata così strettamente collegata con l’alleanza
e con il vivere le sue esigenze, quando il popolo di Dio non ha rispettato l’alleanza,
anche la “pace” è stata allontanata. È stato di nuovo necessario l’intervento di Dio
scaturito dalla sua amorevole misericordia per portare la “pace” al suo popolo; ed
è in questo senso che gli scritti post-esilio di Israele cominciano a vedere la “pace”
come generata dalla punizione del servo di Dio “Il castigo che ci dà salvezza si è
abbattuto su di lui” (Is 53, 5). Gesù Cristo nella sua missione e ministero, ha
realizzato la visione degli ultimi profeti d’Israele. “Dio infatti ha tanto amato
il mondo da dare il suo Figlio” (Gv 3, 16); e dopo essere stato “messo a morte per
i nostri peccati” (Rm 4, 25), il Figlio di Dio è diventato la nostra “pace”. Dunque
se la “pace” viene da Dio (Gal 1, 3; Ef 1, 2; Ap 1, 4) ed è di Dio (Fil 4, 7; Col
3, 15; Rm 15, 33) è Cristo che è quella “pace” (Ef 2, 14). È Lui che la proclama e
la stabilisce (Ef 2, 17) ed è Lui la presenza di Dio che porta la pace che il mondo
non può dare.
Il significato della Pace di Cristo
La “pace” non
ha solamente un significato laico, di assenza di conflitto (Gn 34, 21, Gs 9, 15; 10,
1,4; Lc14, 32), presenza di armonia nella casa e nella famiglia (Is 38, 17, Sal 37,
11, 1 Cor 7, 15, Mt 10, 34; Lc 12, 51), sicurezza e prosperità individuale e comunitaria
(nazionale) (Gdc 18, 6; 2 Re 20, 19; Is 32, 18). La “pace” non è solo quando gli esseri
umani e le società adempiono ai rispettivi doveri e riconoscono i diritti di altre
persone e società” [43] e non è neanche uno dei risultati dell’impegno per la giustizia
[44]. La “pace” trascende fondamentalmente il mondo e gli sforzi umani [45]. È un
dono di Dio (Is 45, 7; Nm 6, 26) donato ai “retti/giusti”. Normalmente espresso
con “shalom” (Antico Testamento) e “eirn” (LXX e Nuovo Testamento), ogni genere
di “pace” è una totalità determinata da Dio e donata “agli uomini che egli ama”, cioè
i giusti e i retti. Dunque, quando Gesù ha perdonato il peccatore (Lc 7, 50) e guarito
l’ammalata (Mc 5, 34), li ha mandati via “in pace”: “andate in pace”. “Andate in pace”
non era soltanto una benedizione di congedo, ma l’offerta di shalom. Ai perdonati
e ai guariti non veniva solo restituita l’integrità del corpo, venivano anche rimessi
in pace con Dio per mezzo della loro fede e completamente risanati davanti a Dio e
alla comunità [46]. Quest’ultimo è anche il significato del saluto di “pace” di
Gesù ai suoi discepoli la mattina della resurrezione (Gv 20, 19-21). Era il perdono
del loro tradimento di Gesù e anche il ripristinare l’amicizia. Gesù non aveva bisogno
di un’ammissione di colpa da parte dei suoi discepoli. Non c’è stata nessuna richiesta
di perdono e nessuna scusa è stata presentata. Semplicemente sono state benevolmente
ignorate tutte le mancanze. Invece, è stato concesso un perdono gratuito e un segno
conciliatorio di “pace”. La “pace” di Gesù è la nostra pace per la quale egli si
è assunto i nostri castighi (Is 53, 5). È perciò un ripristino gratuito e immeritato
dell’interezza e della comunione con Dio e con gli uomini e viene ricevuto da tutti
coloro che lo accolgono come grazia di Dio e rispondono con fede, cioè da “coloro
che egli ama” (i giusti/retti). Paolo esorta le sue comunità cristiane a perseguire
la pace (Rm 14, 19; Ef 4, 3; Eb 12, 14) come giuste portatrici in terra della pace
di Cristo e ad essere in pace gli uni con gli altri (Rm 12, 18; 2 Cor 13, 11), proprio
come ora l’Instrumentum laboris auspica che faccia la Chiesa in Africa. Ma è anche
in qualità di giusti portatori in terra della pace di Cristo che dobbiamo ricordare,
come abbiamo già fatto per la “giustizia”, che la “pace” è un atto che va oltre la
giustizia in senso stretto ed esige amore [47]. Essa deriva dalla comunione con Dio
ed è tesa al benessere dell’uomo (umanità). Perciò, nell’invitare la Chiesa in Africa
e sulle isole a essere “ministri (servitori) della riconciliazione, della giustizia
e della pace”, dopo l’invito del Primo Sinodo alla Chiesa a vivere nella comunione
della Chiesa-Famiglia di Dio, il Secondo Sinodo invita la Chiesa a sperimentare quelle
virtù che fondano la nostra comunione con Dio e a testimoniare/vivere le stesse -
ovvero la riconciliazione, la giustizia e la pace attraverso l’amore e la misericordia
- nel continente. Le implicazioni di questo ministero sono ciò che il (tema del) Sinodo
ora spiega con i simboli del sale e della luce: sale della terra e luce del mondo.
III.
Dall’essere “testimoni di Cristo” (At 1, 8) all’essere “sale della terra” e “luce
del mondo” (Mt 5, 13-14).
Raccogliendo i frutti del Primo Sinodo nell’Ecclesia
in Africa, Papa Giovanni Paolo II ha esaltato la “testimonianza” come elemento essenziale
della cooperazione missionaria e ha ricordato alla Chiesa africana che Cristo non
solo lancia ai suoi discepoli in Africa la sfida di testimoniarlo, ma dà loro lo stesso
mandato che ha affidato ai suoi apostoli il giorno dell’Ascensione: “Di me sarete
testimoni” (At 1, 8) in Africa [48].
Dunque, paragonando i discepoli di Cristo
in Africa al sale e alla luce, il Santo Padre afferma: “Ai nostri giorni, nel contesto
di una società pluralista, è soprattutto grazie all'impegno dei cattolici nella vita
pubblica che la Chiesa può esercitare un'influenza efficace. Dai cattolici, siano
essi professionisti o insegnanti, uomini d'affari o funzionari, agenti di sicurezza
o politici, ci si aspetta che testimonino bontà, verità, giustizia e amore di Dio
nelle loro attività di ogni giorno. Il compito del fedele laico [...] è quello di
essere il sale e la luce nella vita quotidiana, specialmente laddove è il solo a poter
intervenire”[49]. “Sale della terra” e “luce del mondo” dunque erano le immagini/metafore
in cui il Papa ha fissato la sua visione delle attività missionarie della Chiesa in
Africa e nelle isole. Questo Sinodo ora invita la Chiesa in Africa a intendere il
suo servizio di riconciliazione, giustizia e pace nel continente come l’essere “sale
della terra” e “luce del mondo”.
Servi (diakonoi) della Riconciliazione, della
Giustizia e della Pace come “sale della terra”
La metafora “sale” che Gesù
usa nei Vangeli sinottici (Mt 5, 13; Mc 9, 50; Lc 14, 34) per descrivere la peculiarità
della vita dei suoi discepoli, è polivalente. Ha molti significati. Dunque, poiché
il “Mar Morto” è detto anche “mare di sale” (Gn 14, 3), per coloro che vivono vicino
al “Mar Morto”, “sale” può significare “morte” (cfr. Gn 19, 26). Dio, il Signore della
vita, comunque, sanerà le acque del “mare di sale” con l’acqua del tempio e darà loro
vita (Ez 47). In un altro senso, il sale ha un potere di conservazione. Esso dà sapore
e conserva il cibo (Gb 6, 6; Mt 5, 13; Lc 14, 34) e, in senso correlato, come nel
caso della purificazione di Eliseo delle acque di Gerico (2 Re 19, 22), il sale ha
anche un potere purificatore. L’uso del sale per suggellare amicizia e patti nel
mondo dell’Antico Testamento (Esd 4, 14) sembra essere alla base dell’uso, da parte
di Dio, di immagini per esprimere il permanere e la stabilità delle disposizioni riguardanti
il sostentamento dei sacerdoti nell’Antico Testamento: “È un’alleanza inviolabile,
perenne, davanti al Signore ...” (Nm 18, 19). L’uso del sale in occasioni di alleanza
può dunque essere alla base dell’invito di Gesù ai suoi discepoli: “Abbiate sale in
voi stessi e siate in pace gli uni con gli altri”(Mc 9, 50),cioè di osservare la lealtà
reciproca di una relazione di alleanza e di vivere in pace. Il sale, però, è simbolo
anche di “saggezza” e di “forza morale” ed è ciò che dà valore alle cose. È quello
che accade, per esempio, quando il sale è usato per concimare il suolo. Di conseguenza,
quando Gesù si riferisce ai suoi discepoli come “sale della terra” e quando il Sinodo
esorta la Chiesa in Africa a essere “servitori della riconciliazione, della giustizia
e della pace” come “sale della terra”, sia Gesù che il Sinodo stanno facendo uso di
un simbolo polivalente per esprimere i molteplici compiti ed esigenze dell’essere
discepoli e dell’essere Chiesa (Famiglia di Dio) in Africa. E così, come nel caso
dei profeti, il rifiuto della Chiesa e del suo Vangelo equivale ad esprimere un giudizio
e a trasformare la terra in una “terra di sale” (Dt 29, 23; Ger 17, 6; Sal 107, 34).
In un continente, alcune parti del quale vivono in situazioni di conflitto e di morte,
la Chiesa deve spargere semi di vita: iniziative che generano vita. Essa deve preservare
il continente e la sua popolazione dagli effetti distruttivi dell’odio, della violenza,
della giustizia e dell’etnocentrismo. La Chiesa deve purificare e sanare le menti
e i cuori da modi corrotti e malvagi e diffondere il suo messaggio evangelico generatore
di vita per mantenere in vita il continente e il suo popolo, conservandoli sul cammino
della virtù e dei valori evangelici, quali la riconciliazione, la giustizia e la pace
[50]. Ma, cosa ancora più importante, il simbolo del “sale” invita la Chiesa-Famiglia
di Dio in Africa ad accettare di consumarsi (dissolversi) per la vita del continente
e del suo popolo.
Servi (diakonoi) della Riconciliazione, della Giustizia
e della Pace come “luce del mondo”
Far riferimento ai discepoli come “luce
del mondo” significa ricorrere ad una simbologia le cui origini affondano nell’Antico
Testamento come attributo e missione di Sion, la città sul monte. Di conseguenza,
il Servo-Messia sarà chiamato ad assumere questo come sua vocazione e ciò troverà
compimento in Gesù. Gesù, dunque, come “luce del mondo”, anzi come la “luce vera,
quella che illumina ogni uomo” (Gv 1, 9) costituirà anche i suoi discepoli “luce del
mondo”.
Sion, la città sul monte e luce delle nazioni
Sion era il monte
della casa del Signore (Is 2, 2) ed era la dimora dell’Arca dell’Alleanza (2 Sam 6;
1 Re 8, 20-21) e del Nome del Signore (Dt 12, 5). L’Arca dell’Alleanza conteneva la
Legge di Dio e la Legge era “una lampada e l’insegnamento una luce” (Pr 6, 23; Sal
19, 8; 119, 105; Bar 4, 2). Il Nome di Dio, comunque, rappresentava la “presenza
di Dio” e la luce della presenza di Dio faceva riferimento al potere e all’azione
salvifici di Dio (Is 10, 17; Sal 27; 36, 9) per salvare Gerusalemme e il suo popolo
[51]. Perciò, in considerazione del suo essere in possesso della luce della conoscenza
della Legge e della luce della salvezza di Dio, Gerusalemme divenne una luce per le
nazioni ed i re [52].
L’esperienza di Sion divenne la vocazione del Servo-Messia
In
Isaia, l’esperienza di Gerusalemme, luce delle nazioni e dei re, è presentata come
la vocazione di un servo. Il servo di Jahvè, che è dotato dello Spirito di Jahvè,
per portare giustizia alle nazioni (Is 42, 1; 51, 4) è dato dunque come alleanza del
popolo e “luce delle nazioni” (Is 42, 6, 49, 8 ss). La sua chiamata a essere “luce
delle nazioni” implica la sua personale esperienza della salvezza di Jahvè (Is 49,
7) e ciò ha permesso che la salvezza di Jahvè raggiungesse tutti gli angoli della
terra. In questi passaggi relativi al servo, “luce” è conoscenza della Legge e della
salvezza di Dio ed è un dono destinato ad arrivare a tutti i popoli.
Gesù compie
la vocazione di Servo-Messia
La figura del Servo-Messia si compie in Gesù.
Mt 4, 16 cita Is 9, 2 e allude alla stella apparsa alla nascita di Gesù per sottolineare
il compimento e la continuazione, in Gesù, del simbolismo rivelatore e salvifico della
luce nell’Antico Testamento. Gesù è la “luce della salvezza di Dio” (Gv 1, 5; 3, 19;
8, 12; 12, 46) ed è la “luce della Parola/Legge/Saggezza di Dio” (Gv 1, 4; 9, 5; 12,
36, 46). Gesù è la “luce del mondo” (Lc 2, 32; Gv 1, 9) e muore e risorge per “annunciare
la luce al popolo e alle genti” (At 26, 23).
I discepoli di Gesù e i cristiani
come luce del mondo
Dunque il riferimento ai discepoli come “luce del
mondo” non è altro che Gesù che fa dei suoi discepoli la sua estensione e rappresentazione
nel mondo. “Voi siete la luce del mondo” esprime quindi l’alta vocazione dei discepoli
di Gesù: una chiamata a compiere, in Cristo, la vocazione di Israele nell’Antico Testamento
di essere testimone della luce della conoscenza della Legge di Dio (Vangelo) e della
sua salvezza nel mondo. Questa alta vocazione dei seguaci di Gesù è ciò che il
Sinodo propone per la Chiesa in Africa ed essa comincia con la loro chiamata (battesimale)
che li rende “stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo che Dio si è
acquistato perché proclami le opere ammirevoli di lui che vi (li) ha chiamato dalle
tenebre alla sua luce meravigliosa” (1 Pt 2, 9). Rispondendo alla chiamata, essi si
arrendevano all’illuminazione della Parola di verità (Ef 1, 17 ss), la luce del Vangelo
della salvezza (2 Cor 4, 4) e la sua chiamata al pentimento. La vita derivante dallo
stato di discepolo, li rende “luce nel Signore e figli della luce” (Ef 5, 8), “figli
della luce e figli del giorno” (1 Ts 5, 5; cf. Rm 13, 12). “E Dio che disse: ‘Rifulga
la luce dalle tenebre’, rifulse nei nostri (loro) cuori, per far risplendere la conoscenza
della gloria di Dio sul volto di Cristo” (2 Cor 4, 6). Essa conduce alla fede in Gesù
e a ricevere il sigillo promesso dello Spirito Santo (Ef 1, 13) per aver vissuto una
vita senza macchia; perché “il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia
e verità” (Ef 5, 9).
Conclusione: che terra? Che mondo?
Ai tempi di
Gesù, la terra e il mondo per cui i discepoli dovevano essere “sale” e “luce” erano
la terra e il mondo al di fuori del circolo dei dodici, “quel fuori” per cui “tutto
avviene in parabole” (Mc 4, 11). In questo Sinodo la terra e il mondo per cui i
cattolici del continente e delle isole devono essere “sale” e “luce” come servitori
della riconciliazione, della giustizia e della pace è l’Africa dei nostri giorni,
come descritto nell’Instrumentum laboris e accennato sopra [53]. È qui che Gesù Cristo,
dopo essersi rivelato attraverso le Scritture come nostra riconciliazione, giustizia
e pace, ora chiama e invia i suoi discepoli in Africa e nelle isole a spendere sé
stessi, come sale e luce, per costruire la Chiesa in Africa come autentica Famiglia
di Dio attraverso i ministeri della riconciliazione, della giustizia e della pace,
esercitati nell’amore, come il loro maestro. [1] Giovanni Paolo II, Discorso nella
Cattedrale di Cristo Re (17 settembre 1998, Johannesburg, Sudafrica): “Qui a Johannesburg,
in Sud Africa, insieme all’intera Chiesa in questa parte meridionale del Continente,
ci siamo riuniti per promulgare l’Esortazione Apostolica “Ecclesia in Africa” che
contiene le proposte fatte dai Padri sinodali al termine della sessione di lavoro
svoltasi a Roma nei mesi di aprile e maggio del 1994. Con l’autorità apostolica propria
del Successore di Pietro, presento a tutta la Chiesa di Dio in Africa e nel Madagascar
i discernimenti, le riflessioni e le risoluzioni del Sinodo...” [2] Cf. Giovanni
Paolo II, Esortazione Apostolica post-sinodale Ecclesia in Africa, n. 13. [3] Cf.
Giovanni Paolo II, Ai partecipanti alla riunione del Consiglio post-sinodale della
Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi per l’Assemblea Speciale per l’Africa (15
giugno 2004). [4] Prima Assemblea Speciale per l’Africa, Instrumentum laboris,
1993, n. 1. Lo stesso documento asseriva: “Sembra essere arrivata l’ora dell’Africa,
un’ora propizia che chiama tutti i messaggeri di Cristo a prendere il largo per raccogliere
frutti abbondanti per Cristo” (Instrumentum laboris 1993 n. 24). [5] Ibidem, n.
22-24. “Segni dei tempi” si riferisce al contesto africano in cui deve essere proclamato
il Vangelo.
[6] Cf. Le vite eroiche dei martiri e dei santi africani, da una
parte, e le vite eroiche e le lotte per l’indipendenza degli africani nell’Africa
post-coloniale, in Sudafrica, in Sudan, ecc, dall’altra. [7] Cf. Giovanni Paolo
II, Discorso in occasione della riunione del Consiglio post-sinodale della Segreteria
Generale (15 giugno 2004). [8] Cf. Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica post-sinodale
Ecclesia in Africa, n. 13-14, 39-42, 51; Seconda Assemblea Speciale per l’Africa,
Lineamenta, n. 6-8. [9] Seconda Assemblea Speciale per l’Africa, Lineamenta, Prefazione. [10]
È ciò che l’Instrumentum laboris indica come “una continua dinamica” ed è ciò che
illustra abbondantemente in n. 14-20. [11] Cf. Giovanni Paolo II, Lettera a Mons.
Nikola Eterovic, in occasione della Riunione del Consiglio Speciale per l'Africa della
Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi (23 febbraio 2005). [12] Cf. Giovanni
Paolo II, Esortazione Apostolica post-sinodale Ecclesia in Africa, n. 4. [13] Cf.
Ibidem, n. 2-5. Infatti, era il SECAM che “si preoccupò di cercare vie e mezzi per
condurre a buon fine il progetto di un simile incontro continentale. Fu organizzata
una consultazione delle Conferenze episcopali e di ciascun Vescovo dell'Africa e del
Madagascar, in seguito alla quale potei convocare un'Assemblea speciale per l'Africa
del Sinodo dei Vescovi” (Ecclesia in Africa n. 5). [14] Seconda Assemblea Speciale
per l’Africa, Instrumentum laboris, n. 21-33. [15] Nana Akuffo-Addo, Ministro degli
Esteri della Repubblica del Ghana (2001-2008), Vertice UA. Kikwete, Presidente della
Tanzania afferma: “... esistono già in Africa dirigenti pronti ad andare avanti e
ci auguriamo di essere al loro fianco” (Fraternité Matin, venerdì 10/07/2009, p.1). [16]
NEPAD significa New Economic Partnership for African Development. Il NEPAD esige il
rispetto per l’autorità democratica e il rifiuto del colpo di stato. Esiste l’organizzazione
di un Meccanismo di Vigilanza tra Pari per controllare l’azione dei governi. Bisogna
ammetterlo, il ritmo di lavoro del Parlamento dell’Unione Africana e l’attuazione
dei requisiti del NEPAD da parte degli stati membri sono stati recentemente criticati
per la loro lentezza. [17] Lomé Culture è il nome dato a una serie di accordi di
cooperazione allo sviluppo fra paesi della Comunità Europea (CEE) e le loro ex colonie.
Entrò in vigore nel 1957 con il Trattato di Roma, che sancì la CEE. Lomé I - Lomé
IV stabilì un regime di aiuti mediante il Commercio fra la CEE e 46 paesi ACP (rispetto
dei diritti umani, principi democratici ed esercizio della legge). La convenzione
di Yaoundé fu firmata nel 1975 fra la CEE e i paesi ACP per fornire infrastrutture
allo sviluppo dei paesi francofoni. La Convenzione di Cotonou, siglata fra la Ue e
70 paesi ACP, dovrebbe durare vent’anni ed è finalizzata alla riduzione della povertà,
allo sviluppo sostenibile e alla graduale integrazione delle economie ACP nell’economia
mondiale. [18] I principali obiettivi del NEPAD sono: sradicare la povertà, instradare
i paesi africani verso una crescita e uno sviluppo sostenibili; mettere fine all’emarginazione
dell’Africa dal processo di globalizzazione, accelerare la presa di coscienza e di
potere delle donne.
[19] “Cooperazione significa condividere con le popolazioni
africane un punto di vista: l’idea di un Africa che è moderna e indipendente, dove
gli uomini e le donne africani, fiduciosi in sé stessi, forgiano la propria vita e
il proprio futuro, perseguendo la via dello sviluppo sostenibile e democratico. Solo
gli stimoli e gli sforzi realizzati in seno all’Africa stessa porteranno al successo”
(Discorso del Dott. Uschi Eid, Segretario di Stato Parlamentare del Ministero Federale
tedesco per la Cooperazione Economica e lo Sviluppo, pronunciato presso il TICAD III
[Conferenza Internazionale di Tokio sullo sviluppo dell’Africa], Tokyo 2003. [20]
Barack Obama ha espresso lo stesso concetto ai governanti africani nel suo discorso
al Parlamento del Ghana durante la visita al paese del luglio scorso. [21] Quando
l’ex presidente Clinton nel 2003 si recò in visita in Ghana, l’Herald Tribune scrisse:
“Ci è stato detto che Clinton è andato a cambiare l’idea che l’America ha dell’Africa:
non più un paese disperato, ma un luogo di opportunità e speranza”. [22] Cf. Benedetto
XVI, Lettera Enciclica Caritas in Veritate, Vaticano 2009. [23] Seconda Assemblea
Speciale per l’Africa, Instrumentum laboris, n. 11. [24] Cf. Giovanni Paolo II,
Esortazione Apostolica post-sinodale Ecclesia in Africa, n. 63. [25] Cf. Confessione
di Paolo: “Voi avete certamente sentito parlare della mia condotta di un tempo nel
giudaismo, come io perseguitassi fieramente la Chiesa di Dio e la devastassi... Ma
quando colui che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia
si compiacque di rivelare a me suo Figlio...” (Gal 1, 13-16). [26] In questo senso,
Dio è come il pastore che cerca la pecora smarrita. È come la donna che cerca la dramma
perduta e come il padre il cui amore provoca il ritorno del figliol prodigo (cf. Lc
15). È come Gesù che trova Zaccheo sul sicomoro e gli dice di scendere (Lc 19, 5). [27]
Cf. Pietro Bovati, Ristabilire la giustizia, Analecta Biblica 110, PIB Roma, 1986. [28]
Talvolta, l’esigenza di conciliazione comporta e fa scaturire un gesto concreto, quale
il riconoscimento dell’esistenza dei diritti, la cui negazione e il cui abuso ha fatto
precipitare la situazione dei conflitti e delle ostilità (cf. Abramo e Abimelec in
Gn 21, 25-34). [29] In questo senso, ci sono fattori che favoriscono la riconciliazione
e che i servi della riconciliazione devono abbracciare; esistono anche fattori che
ostacolano la riconciliazione e che i servitori della riconciliazione devono fuggire: a.
Fattori che l’ostacolano: l’empietà e il disprezzo del rapporto con Dio; la negazione
dei diritti degli altri, l’inganno e i pregiudizi, l’ipocrisia e la pace apparente,
l’attenzione selettiva, il silenzio della complicità e il fallimento delle strutture
dello stato. b. Fattori che la favoriscono: il perdono, l’amore fraterno, la comunicazione,
il dialogo, l’educazione alla pace e alla riconciliazione. [30] Sacramentum Mundi
3, 235. [31] Cf. Paolo VI, Lettera Enciclica Populorum Progressio, n. 26. [32]
Sacramentum Mundi 3, 236. [33] Cf. The Interpreter’s Dictionary of the Bible, vol.
4, 85-88, 91-99. [34] La “giustizia”, in qualunque forma si manifesti, si basa
su tutto ciò che è dovuto a una persona in virtù della sua dignità e della sua vocazione
alla comunione con le persone (cf. Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa n.
3, 63). [35] Ciò, per inciso, costituisce anche la base dell’imperativo fondamentale
che impone il rispetto positivo della dignità e dei diritti degli altri nonché un
contributo solidale nell’andare incontro alle loro necessità (cf. Gaudium et Spes,
nn. 23-32, 63-72; Papa Giovanni XXIII, Lettera Enciclica Mater et Magistra). La condizione
di figli, comune all’umanità esige che gli uomini siano retti, agendo secondo la volontà
di Dio, legati nella solidarietà dall’amore di Dio, quale amore di Padre.
[36]
Dunque Tamar era più giusta del suocero, poiché questi non rispettava la tradizione
familiare (Gn 38, 26), David non avrebbe ucciso Saul, “perché è il consacrato del
Signore”(1 Sam 24, 7, 11) e un “padre” per lui (1 Sam, 24,12). Quando una relazione
cambia, cambiano anche le sue esigenze. Colui che si cura degli orfani e delle vedove
e li difende, quegli è giusto (Gb 29, 12-16; Os 2, 19). Colui che tratta i servi con
umanità, vive in pace con i vicini, parla bene degli altri, quegli è retto/giusto
(Gb 31, 1-13; Pr 29, 2; Is 35, 15; Sal 52, 3, ecc.). La Rettitudine/Giustizia come
comportamento che ricade sui membri della comunità, talvolta è tutelata e applicata
dai magistrati, quando giudicano i casi in tribunale. Questo è il significato forense
di giustizia; dunque sia Dio sia il re svolgono il ruolo di giudice (Dt 25, 1; 1 Re
8,32; Es 23, 6 ss, Sal 9, 4; 50, 6, 96, 13). I giudizi retti restituiscono alla comunità
la sua ’interezza; ed è in tal senso che il giudizio e il governo giusti sono considerati
caratteristici del Messia-Re. [37] Il malvagio () è colui che esercita la forza
e la falsità, ignora i doveri che la parentela e l’alleanza gli imporrebbero, calpesta
i diritti degli altri (The Interpreter’s Dictionary of the Bible, vol. 4, 81). [38]
Papa Giovanni Paolo II definisce la “misericordia” uno “speciale potere dell’amore,
che prevale sul peccato e l’infedeltà dei prescelti” (Dives in Misericordia, 4.3). [39]
Dunque, Papa Giovanni Paolo II ci insegna che nelle relazioni fra individui e gruppi
sociali ecc., la “giustizia non è abbastanza”. C’è bisogno di quel “potere più profondo
che è l’amore” (Cfr. Dives in Misericordia, 12). [40] Il Catechismo della Chiesa
Cattolica, 2304. Si veda anche Gaudium et Spes, n. 78. [41] Ibidem. [42] “In
tutto il Vangelo di Luca, la ‘pace in terra’ raggiunge i reietti, i discepoli, gli
stranieri, chiunque accoglierà la grazia di Dio e risponderà con fede” (Cf. Dictionary
of Jesus and the Gospels, ed. Joel B. Green et alii, InterVarsity Press 1992 p. 605). [43]
Giovanni XXIII, Lettera Enciclica Pacem in Terris, n. 174. [44] Gaudium et Spes,
n. 84. [45] Sebbene sia un compito, qualche cosa per cui lavorare, la “pace” è
un dono di Dio, qualcosa che la nostra pace terrena può solo vagamente anticipare.
[46] Nel caso dell’emorroissa (Mc 5, 24-34), per esempio, Gesù non solo ne ha
guarito l’impurità religiosa e sociale (la perdita di sangue), ma ne ha rivelato il
segreto e ne ha reso pubblica la fede e la guarigione (Mc 5, 34; 2, 5; 10, 52). Tale
guarigione ha rappresentato il ritorno totale della donna alla salute, alla sua comunità
e al Dio della sua fede. [47] Gaudium et Spes,. n. 78. [48] Giovanni Paolo
II, Esortazione Apostolica post-sinodale Ecclesia in Africa, n. 86. [49] Ibidem
, n. 108. [50] Cfr. SECAM, Seminario sul Sinodo, Abidjan Costa d’Avorio, 2009:
Carrefour Groupe n. III. [51] Dunque la grande restaurazione e giustificazione
che Yahweh opera nei confronti di Gerusalemme è descritta da Isaia come il ritorno
della luce di Yahweh: “Il sole non sarà più la tua luce di giorno né ti illuminerà
più il chiarore della luna..Ma il Signore sarà per te luce eterna, il tuo Dio sarà
il tuo splendore” (Is 60, 19-20). [52] Il Testamento di Levi estende la luce di
Gerusalemme ai suoi figli, gli Israeliti, e li esorta dicendo: “Siate la luce di Israele,
più pura di tutti i gentili... Che mai farebbero i gentili se foste oscurati dalla
trasgressione?” (14, 3). [53] Cfr. pp 21-26 del presente testo.