Il Papa inaugura i lavori del Sinodo: l'amore di Dio apra in Africa i confini di tribù,
etnie e religioni. Il rifiuto di Dio distrugge la pace nella società
La carità gratuita di Dio, che ogni cristiano è tenuto ad annunciare, “apra i confini
di tribù, etnie e religioni”. E’ l’auspicio con il quale Benedetto XVI ha concluso
questa mattina in Vaticano la meditazione introduttiva della prima Congregazione generale
del Sinodo dei Vescovi per l’Africa. Il Papa ha invitato i presuli ad affrontare i
lavori sinodali con il cuore aperto alla Spirito di Dio, senza il quale - ha affermato
- ogni analisi solo umana della realtà è “insufficiente”. Il servizio di Alessandro
De Carolis:
Nessuna considerazione
su ciò che vivono le varie Chiese africane, nessun racconto di gioie o di sofferenze,
ha ancora riempito l’Aula Nuova del Sinodo in Vaticano che subito Benedetto XVI delinea
i limiti e soprattutto lo spirito con il quale esse sono tenute ad essere presentate
da qui in avanti: “Abbiamo incominciato il nostro Sinodo adesso, invocando
lo Spirito Santo, sapendo bene che noi non possiamo fare quanto occorre fare per la
Chiesa, per il mondo, in questo momento. Solo nella forza dello Spirito Santo possiamo
trovare quanto è retto, e seguirlo”. Lo Spirito è
dunque quello divino, che permette - afferma il Papa - di “conoscere” le realtà umane
“alla luce di Dio”. I limiti sono invece quelli di valutazioni del contesto sociale
africano che, pur competenti, siano formulate seguendo binari di tipo meramente sociologico.
Analisi “orizzontali”, le definisce il Pontefice, prive dell’aggancio con la dimensione
“verticale”:
“Se la prima relazione, quella fondante, non è corretta,
tutte le altre relazioni non funzionano dal fondo. Perciò, tutte le nostre analisi
del mondo sono insufficienti se non consideriamo il mondo alla luce di Dio, se non
scopriamo che alla base delle ingiustizie, della corruzione c’è un cuore non retto,
c’è una chiusura verso Dio, e quindi una falsificazione della relazione fondamentale
sulla quale sono basate tutte le altre”. Nella sua lunga meditazione
spontanea, il Papa si lascia ispirare dall’Inno dell’Ora Terza, la preghiera che introduce
la seduta sinodale mattutina. Un Inno che, osserva, “implora tre doni essenziali dello
Spirito Santo”. Il primo, spiega, è la “confessione”, che va intesa sia come riconoscimento
della piccolezza umana davanti a Dio - da cui derivano, insiste il Papa, “tutti i
vizi che distruggono la rete sociale e la pace nel mondo” - sia come ringraziamento
a Dio per i suoi doni e come impegno di testimonianza. E qui, Benedetto XVI trova
parola di grande densità spirituale per rimarcare la semplice grandezza di Dio rispetto
alla grandezza delle cose umane:
“Le cose della scienza, della tecnica
costano grandi investimenti, avventure spirituali e materiali, sono costose e difficili.
Ma Dio si dà ‘gratis’. Le più grandi cose della vita - Dio, l’amore, la verità - sono
gratuite e direi che su questo dovremmo spesso meditare: su questa gratuità di Dio;
sul fatto che non c’è bisogno di grandi doni materiali o anche intellettuali per essere
vicini a Dio: Dio è in me, nel mio cuore e sulle mie labbra”.Il secondo
dono dello Spirito, prosegue il Papa, discende dal primo: l’uomo che scopre l’intimità
con il divino deve poi testimoniarlo con tutto se stesso. Deve testimoniare la verità
della carità di Dio perché questa e non altro, ribadisce il Pontefice, è l’essenza
della religione cristiana:
“Importante è che il cristianesimo non
è una somma di idee, una filosofia, una teoria, ma è un modo di vivere, è carità,
è amore. Solo così diventiamo cristiani: se la fede si trasforma in carità, se è carità.
Il nostro Dio è da una parte 'Logos', Ragione eterna, ma questa Ragione è anche Amore.
Non è fredda matematica che costruisce l’universo: questa Ragione eterna è fuoco,
è carità. Già in noi stessi dovrebbe realizzarsi questa unità di ragione e carità,
di fede e carità”. Anche il terzo dono è strettamente connesso agli
altri. La carità di Dio va annunciata all’umanità, a ogni uomo, che per un cristiano
è un prossimo e un fratello. Prendendo spunto dalla figura del Buon Samaritano della
liturgia odierna, Benedetto XVI conclude mettendo in grande risalto gli insegnamenti
che arrivano fino a noi da quella antica parabola e che ben si adattano, in questo
caso, anche alla realtà africana:
“La carità non è una cosa individuale,
ma universale. Universale e concreta. Occorre aprire realmente i confini tra tribù,
etnie, religioni all’universalità dell’amore di Dio nei nostri luoghi di vita, con
tutta la concretezza necessaria. Preghiamo il Signore che ci doni lo Spirito Santo,
che ci doni una nuova Pentecoste, che ci aiuti ad essere i suoi servitori in questa
ora del mondo”.