Irlanda verso il sì al referendum sul trattato di Lisbona
In Irlanda, dove ieri si è votato per il referendum di ratifica del Trattato europeo
di Lisbona, si va delineando una netta vittoria del sì. Secondo i primi risultati
i favorevoli sarebbero oltre il 60% dei voti espressi. Il Paese aveva già votato nel
giugno 2008, bocciando in quell’occasione il Trattato, che prevede importanti riforme
istituzionali dell’Unione Europea, con criteri di maggiore rappresentatività e di
snellimento delle procedure di approvazione delle norme comunitarie. Sul significato
del voto di Dublino, Giancarlo La Vella ha sentito Fulvio Scaglione,
vicedirettore di Famiglia Cristiana:
R. – Sicuramente,
se questo referendum, come pare, passa in Irlanda, ci sono buone possibilità poi che
passi anche in Paesi dove la classe politica non è convintissima, e penso soprattutto
alla Polonia e alla Repubblica Ceca e forse anche a qualche frangia della politica
tedesca. Certamente ha un altissimo valore simbolico, perché proprio, in qualche modo,
dall’Irlanda era partita un’onda di scetticismo, che poi si era riverberata in altri
Paesi. D. – E’ più importante l’aspetto dello snellimento burocratico
che il Trattato di Lisbona imporrà oppure la maggiore rappresentatività? R.
– Io credo che siano entrambi importanti. Era chiarissimo che il meccanismo decisionale
dell’Unione Europea si era inceppato, perché finché l’Unione Europea aveva una certa
dimensione poteva in qualche modo reggersi, ma quando poi l’Unione Europea si è allargata
ad est, addirittura inglobando in un colpo solo dieci Paesi, tutto il meccanismo si
è ingolfato. Io credo, però, che in questo particolare frangente, il sì irlandese
serva più che altro a livello dimostrativo, per chiarire a tutti che i Paesi europei
e, in particolare, i piccoli Paesi europei, di fronte ad una crisi di una certa importanza
e gravità fuori dall’Unione Europea, non hanno speranza di reggersi. D.
– Quindi, la crisi economica sta condizionando quelli che sono i rapporti intereuropei.
Col Trattato di Lisbona possiamo dire che diventa più concreto l’aspetto federale
dell’Unione Europea? R. – Quella è la speranza di tutti. C’è
assoluto bisogno che l’Unione Europea si doti non solo di una moneta unica, che è
anche comunque un principio di civiltà unico, non solo un fatto finanziario, non solo
di norme, regole più o meno ampie che tendono comunque a uniformare le abitudine quotidiane
dei cittadini. Qui c’è bisogno che l’Unione Europea accentui appunto l’aspetto federale,
in modo da poter prendere una posizione europea su questioni sostanziali, che finora
sono state lasciate in disparte: una politica di difesa, per esempio, una politica
nei confronti dell’immigrazione, altro esempio clamoroso, una politica commerciale
diplomatica che abbia almeno dei momenti collettivi. Pensiamo, per esempio, alla questione
del nucleare iraniano. Insomma, ci sono delle questioni globali che l’Europa deve
affrontare unita, ma unita anche nella possibilità di decidere.