Essere cristiani davanti alla sfida delle mafie: se ne discute in Calabria
La Chiesa combatte contro tutte le mafia attraverso l’impegno quotidiano per cambiare
la cultura in cui queste crescono e si sviluppano. Anche quest’anno la diocesi calabrese
di Oppido-Palmi, un’area molto colpita dalla malavita organizzata, ha organizzato
un’assemblea dedicata al tema della comunità cristiana “ di fronte alla sfida della
‘ndrangheta”, che si chiude oggi. “La ‘ndrangheta è anticristiana – ha detto il direttore
del Centro diocesano per la pastorale e la cultura di Palermo, Giuseppe Savagnone
-. Il compito della Chiesa non è quello di intervenire dal punto vista militare o
di repressione: ma l’intervento della Chiesa è quello più importante di tutti, perché
può colpire il cuore della questione che è una questione culturale”. Per Savagnone
la Chiesa ha “un mandato che è quello di cambiare quella cultura che fa scaturire
atteggiamenti non conformi alla fede cristiana, come la ‘ndrangheta”. “La Calabria
oggi – ha spiegato – deve riscoprire il suo futuro, e attraverso il suo futuro riscoprire
la speranza. La Chiesa ha un deposito evangelico che è tutto incentrato sulla speranza”.
Il compito del cristiano è quello di “lavorare per una società diversa, costruendo
un futuro diverso”. Non si tratta, quindi, di “approntare una strategia anti ‘ndrangheta
– ha detto Savagnone - ma di recuperare una strategia ed una pastorale autenticamente
neotestamentaria che in tante parti oggi è scaduta e dove si va avanti mantenendo
l’esistente”. E’ tutta una questione di “testimonianza”: “Non servono i piagnistei.
Dobbiamo insistere e lavorare verso una pastorale che parta dal territorio, una pastorale
che aiuti a riscoprire il futuro e la speranza e che educhi alla cittadinanza e al
bene comune testimoniando la comunione”. Ad aprire i lavori dell’assemblea sono stati
il vescovo della diocesi di oppido-Palmi, mons. Luciano Bux, che ha messo in chiaro
che questa iniziativa non è stata pensata per essere l’“ennesima conferenza sulla
‘ndrangheta, ma al contrario, è la comunità ecclesiale, in tutte le sue componenti,
che si ferma a leggere il territorio per capire cosa significa concretamente vivere
da cristiani nella Piana di Gioia Tauro”. Questa necessità – ha spiegato il presule
– è nata dopo che il Papa durante la visita “ad limina” ha chiesto al vescovo quale
fosse l’influsso del fenomeno sulla comunità cristiana. Essere cristiani – si legge
in una nota firmata dal vicario generale, mons. Giuseppe De Masi - significa dire
“nei fatti e nei gesti concreti della nostra vita quotidiana, e non solo verbalmente,
il nostro no alla ‘ndrangheta e alla cultura mafiosa di morte, del malaffare, dell’arroganza
e dei compromessi”.(V.F.)