Una Chiesa Famiglia di Dio. Conquiste passate e nuove sfide per la Conferenza Episcopale
africana
Una Chiesa al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace. È questa
la sfida della Seconda Assemblea Speciale per l’Africa, che si terrà in Vaticano dal
4 al 25 ottobre. Già nel 1994, il Primo Sinodo dei Vescovi africani aveva proposto
il modello della “Chiesa Famiglia di Dio” quale strumento di stabilizzazione per il
continente. Il Card. Wilfrid Fox Napier, arcivescovo di Durban, ha spiegato
ad Abdul Festus Tarawalie il ruolo della Chiesa nel Sudafrica post-apartheid,
le maggiori conquiste del Primo Sinodo per l’Africa e le nuove problematiche del continente.
Ascolta l'intervista in lingua originale inglese:
D. - Ci
stiamo preparando al Sinodo speciale dei Vescovi per l’Africa il cui tema è «La Chiesa
in Africa al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace. “Voi siete
il sale della terra … Voi siete la luce del mondo” (Mt 5, 13.14)». Che interesse
riveste questo tema per l’Africa oggi?
R. - Penso che la risposta migliore
sia che il tema è stato scelto sulla base delle risposte che le Conferenze episcopali
hanno dato al Consiglio Speciale per l'Africa della Segreteria Generale del Sinodo
dei Vescovi sin dalla sua prima sessione nel 1994. Quindi le questioni indicate nel
tema sono sicuramente questioni che la Chiesa in Africa ha individuato nel corso di
questi ultimi 15 anni.
D. - Questo a causa delle numerose aree critiche
nel continente…
R. - Sì, proprio così: le situazioni rilevate dai vescovi
riflettono innanzitutto il bisogno di riconciliazione nelle aree dove i conflitti
sono stati in qualche modo risolti. C’è un bisogno veramente urgente di passi pratici,
ma anche molto concreti, voglio dire sostenibili, verso la riconciliazione. Penso
a Paesi come il Burundi o il Ruanda, dove c’è stato quel problema in passato e adesso,
in particolare in Burundi, ci si sta muovendo verso la costituzione di una Commissione
per la Verità e la Riconciliazione con l’obiettivo appunto di stabilire la pace e
la riconciliazione.
D. - Quali lezioni possiamo trarre dall’esperienza
sudafricana della riconciliazione? Mi riferisco alla Commissione per la Verità e la
Riconciliazione che è stata istituita dopo la fine del regime dell’apartheid. Quale
è stato il ruolo della Chiesa in questo processo?
R. - Il nostro ruolo
era cominciato parecchio prima della transizione. Già nel 1980 la Chiesa era impegnata
in un processo volto ad individuare quelle aree in cui poteva dare un contributo significativo
al cambiamento e alla costruzione di un nuovo Sudafrica. Abbiamo capito che occorreva
partire dalla costruzione di comunità tra gente che era stata separata e divisa in
passato e che la Chiesa poteva fare qualcosa quando riusciva a riconciliare i suoi
membri e a formare una comunità. Da lì poteva quindi portare questo senso comunitario
al resto della società. Quindi quando ha avuto luogo la transizione ci sono state
molte iniziative: come Chiesa, noi vescovi ci siamo impegnati attivamente con i partiti
politici e le altre Chiese per preparare il terreno alla transizione e quindi aiutare
il Paese durante questo processo.
D. - Cosa si aspetta la Chiesa sudafricana
da questo secondo Sinodo africano?
R. - La prima cosa che cerchiamo
è come promuovere meglio la dimensione dell’essere “luce del mondo e sale della terra”:
se vogliamo avere un impatto sulla società, il Vangelo deve essere il centro della
nostra vita e ogni membro della Chiesa deve essere autenticamente e profondamente
evangelizzato. In altre parole, dobbiamo cercare un’autentica amicizia, una relazione
personale con Cristo. Il nostro auspicio è che il Sinodo ci mostri come la Chiesa
in altri Paesi africani sia riuscita a fare ciò. Dal canto loro, le altre Chiese africane
che ci hanno contattato sono interessate a sapere in che modo noi abbiamo contribuito
alla creazione della Commissione per la Verità e la Riconciliazione, come ha funzionato,
dove è riuscita e dove è fallita. A questo proposito è importante analizzare le ragioni
dei nostri insuccessi, perché altri possano evitarli e forse riuscire a portare il
processo di riconciliazione più avanti di quanto siamo riusciti noi in Sudafrica.
D.
- Che differenze ci sono tra la situazione durante la preparazione del primo Sinodo
del 1994 (penso al Ruanda e al Burundi in quegli anni) e la situazione attuale?
R.
- Nel 1994 avevamo una situazione unica. Da un lato, avevamo la transizione in Sudafrica
che rappresentava il migliore esempio delle cose buone che si possono fare in Africa
quando la gente lavora insieme e mossa da un unico intento: la transizione dall’apartheid
alla democrazia è stata probabilmente la meno sanguinosa di tutte le transizioni in
Africa. Nello stesso momento avevamo i massacri in Ruanda, i peggiori mai avuti in
Africa, in cui l’etnocentrismo ha causato la perdita insensata di tante vite umane.
La vera tragedia era che ciò era potuto accadere in Paesi come il Burundi e il Ruanda,
ma in particolare il Ruanda, con un’alta percentuale di cattolici. Per noi è stato
quindi uno shock: da un lato, avevamo una Chiesa che svolgeva un ruolo importante
nell’aiutare il Sudafrica a uscire da una situazione di oppressione alla libertà e,
dall’altro, membri della Chiesa che causavano la morte di altri. Non sapevamo se
gioire o piangere per quello che stava avvenendo in Africa. Oggi vedo molti più esempi
di Paesi che hanno compiuto una transizione da dittature a forme di governo più democratiche.
Ma ci sono ancora aree dove la popolazione non può godere della pace: penso in particolare
all’area dei Grandi Laghi, al Congo Orientale, al Nord e Sud Kivu, dove la povera
gente è all’esasperazione.
D. - Avete parlato della cupa situazione
durante il primo Sinodo, il cui tema centrale era «La Chiesa in Africa e la sua missione
evangelizzatrice verso l'anno 2000: "Mi sarete testimoni" (At 1, 8)». Quali sono i
principali successi di quel Sinodo?
R. - Il primo Sinodo ha voluto
porre l’attenzione su alcuni temi ai quali la Chiesa doveva dedicarsi per potere essere
una forza evangelizzatrice alla vigilia del Terzo millennio. Quindi il punto centrale
è stata la proclamazione della Parola: abbiamo appreso come la Chiesa stava annunciando
la Parola nei diversi Paesi del Continente. Il secondo punto è stato il dialogo e
ritengo che questo sia particolarmente importante in Africa dove, in genere, c’è un
forte senso comunitario per cui il fatto di appartenere a diverse Chiese o religioni
non significa che non possiamo sentirci comunità. Quindi il dialogo nelle Chiese e
il dialogo tra cristiani e altre religioni è stato un altro tema molto importante
di quel primo Sinodo. C’è poi l’area della giustizia e della pace: lo spazio riservato
a questo tema durante il Sinodo ha attirato l’attenzione dei vescovi africani nel
periodo successivo.