Settimana internazionale del clima: domani il vertice all'Onu
E' iniziata ieri la “Settimana del clima”, indetta dall’Onu in concomitanza con il
vertice internazionale sui mutamenti climatici di domani. L’iniziativa intende sensibilizzare
tutti gli Stati a concludere un accordo equo ed efficace sul clima nella prossima
Conferenza di Copenaghen che si terrà a fine novembre. L’aumento della temperatura
globale è, dunque, una delle emergenze del momento, tanto importante, quanto l’economia
e la sicurezza. E’ possibile, su questo tema, che la comunità internazionale assuma
una posizione comune? Giancarlo La Vella lo ha chiesto ad Antonio Ballarin
Denti, docente di Fisica dell’ambiente all’Università Cattolica di Brescia:
R. – In questo
momento l’obiettivo di una posizione comune è reso ancora più facile – per quanto
paradossale – dalla crisi economica. Questo è un momento in cui investimenti necessari
per mitigare il cambiamento climatico e fare le azioni cosiddette “di adattamento”
al cambiamento che è comunque in atto, possono essere resi possibili proprio dalla
necessità d’interventi sostenuti dagli Stati che possano quindi fare da volano alla
luce di una ripresa economica di cui tutti abbiamo bisogno.
D.
– Nella comunità internazionale c’è la consapevolezza che il riscaldamento del pianeta
provoca poi altre gravi emergenze, come ad esempio le emigrazioni incontrollate o
le carenze alimentari?
R. – Ho l’impressione che
su questo la comunità politica internazionale sia un po’ meno attenta. In realtà c’è
una concatenazione tra scenari di cambiamento climatico e conseguenze sul piano sociale,
economico, dei flussi migratori e persino delle stesse tensioni politico-militari.
D.
– Per cambiare rotta sul clima il maggior impegno deve essere chiesto ai Paesi industrializzati
o anche a quelli in via di sviluppo?
R. – Allo stato
attuale Cina ed India contribuiscono al 25 per cento delle emissioni globali. E’ quindi
una percentuale minore rispetto a quella degli Stati Uniti o anche dell’Europa. Il
trend di crescita mostra però che nel 2020 India e Cina insieme saranno i maggiori
responsabili delle emissioni climalteranti. Questo significa che essendo due Stati
che non possiamo più definire Paesi in via di sviluppo, credo che debbano assumersi
fino in fondo le proprie responsabilità e quindi essere coinvolti già fin d’ora in
alcune azioni concrete al fianco di Europa e Stati Uniti.
D.
– Che cosa ci si può aspettare dalla prossima Conferenza internazionale sul clima
di Copenaghen, a questo punto?
R. – Il grosso problema
di Copenaghen è che cosa fare dopo gli accordi di Kyoto, che scadranno nel 2012. Questo
è il vero banco di prova di Copenaghen: riuscire a trovare impegni che leghino non
solamente i Paesi industrializzati ma anche i Paesi emergenti, perlomeno per i prossimi
venti o trent’anni.
D. – C’è anche da fare i conti
con quella parte della comunità scientifica che vede in questi cambiamenti climatici
un normale alternarsi, nel corso dei secoli, dell’ambiente e del pianeta…
R.
– La previsione del clima non è un problema facile, però le probabilità indicate dalla
grande maggioranza della comunità è verso cause di origine antropica. Credo che in
queste situazioni valga sempre un principio cautelativo: quando un evento è ritenuto
comunque probabile, anche se non assolutamente certo, è meglio mettere le mani avanti.