Regno Unito: no del Movimento della Vita al suicidio assistito
“Una politica immorale e indegna che minaccia seriamente il diritto alla vita”, con
queste parole Paul Tully, segretario generale della “Società per la protezione dei
bambini non nati”, aderente al movimento per la vita, ha commentato al Sir la politica
di depenalizzazione del direttore della Procura generale del Regno Unito, Keir Starmer,
che punta a non processare le famiglie che aiutano i parenti malati in stato terminale
a morire. Un provvedimento che in molti attendevano soprattutto dopo la battaglia
legale vinta da Debbie Purdy, una donna malata di sclerosi multipla che si è rivolta
ai giudici per sapere esattamente quale sarà il destino del marito nel caso in cui
questi dovesse aiutarla ad andare all'estero per un suicidio assistito. “Le anticipazioni
fornite alla stampa da Sturmer - afferma Tully – fanno pensare che ci sia una strategia
sui processi, il direttore della Procura punta ad ammorbidire l’opinione pubblica
sul tema del suicidio assistito prima che le nuove direttive sul suicidio assistito
vengano pubblicate”. Negli ultimi anni 115 cittadini britannici malati terminali sono
morti in cliniche all’estero senza che i parenti, che li hanno assistiti, venissero
incriminati. Assistere il suicidio è punito dalla legge del Regno Unito con una pena
fino a 14 anni di prigione. (R.P.)