L'evangelizzazione al servizio della pace e della giustizia, in Africa
Con oltre 50.000 istituti di educazione, la Chiesa è profondamente impegnata nella
promozione di una cultura di pace e tolleranza in Africa. Per riflettere su come meglio
assolvere la missione di evangelizzazione nel continente, i Padri Sinodali si riuniranno
in Vaticano dal 4 al 25 ottobre, in occasione dell’Assemblea Speciale per l’Africa,
dedicata alla riconciliazione, alla giustizia e alla pace. Si tratta del secondo Sinodo
per l’Africa, a distanza di quindici anni dal primo. Padre Jean-Baptiste Malenge
ha chesto a Mons. Nicolas Djomo, Vescovo di Tshumbe e Presidente della Conferenza
Episcopale Nazionale del Congo, come è possibile trasmettere lo spirito di riconciliazione
ai giovani africani. Ascolta l'intervista:
D. – Come
insegnare i valori della pace ai giovani?
R. - Attraverso la nostra
Commissione Giustizia e Pace abbiamo sviluppato un vasto programma di educazione alla
cultura della pace. Questo programma è stato inserito nel curriculum delle scuole
primarie, secondarie e anche delle superiori. Il futuro del Congo dipende dall'uomo
che formiamo oggi. Nella Conferenza Episcopale Nazionale del Congo ci siamo detti
che uno dei migliori contributi che possiamo dare al futuro di questo Paese è quello
di preparare un uomo nuovo per domani. E questo passa attraverso l'istruzione e in
particolare l’educazione a una cultura della pace. Attualmente abbiamo dei programmi
nelle scuole primarie per parlare ai bambini più piccoli di pace attraverso l'identificazione
con Cristo e dire loro - e questo è elementare - che l’altro sono io e che il male
che non posso fare a me stesso non lo posso fare al prossimo. È un programma che sta
producendo ottimi risultati e lavoriamo insieme ad altre Chiese in modo da raggiungere
tutte le comunità credenti nel nostro Paese, cristiane e non cristiane.
D.
- I media sono accusati talvolta di attizzare e fomentare l’odio in Africa. Qual è
l’impegno della Chiesa per la pace nel nuovo contesto del pluralismo democratico e
dei media?
R. - I mezzi di comunicazione sociale sono uno strumento
per unire le persone e, come è noto, a partire dal Concilio Vaticano II, la Chiesa
ha dato uno spazio importante alla comunicazione della Parola di Dio, ma anche alla
formazione delle coscienze. Ciò significa che per tutti i mezzi di comunicazione sociale
la questione fondamentale è il contenuto. Abbiamo bisogno di media ancorati a un contenuto
di valore che possa formare l'uomo, la sua coscienza, ai valori egualitari della pace,
della giustizia e dei diritti umani. E questo è ciò che dobbiamo fare e che facciamo
nel nostro Paese, in particolare da quando molte delle nostre diocesi si sono dotate
di radio comunitarie diocesane e anche di canali televisivi. Stiamo lavorando intensamente
per fissare contenuti che riflettano la dottrina della Chiesa e che mettano l’uomo
al centro di tutti i valori. (…) È un compito importante.
D. - Come
sono invece i rapporti con le sétte?
R. - I rapporti con le sétte restano
molto difficili, nella misura in cui, in generale, esse si occupano dell’essere umano
in modo pericoloso per il suo benessere spirituale. (…) Il problema, in generale,
è che i leader di questi gruppi religiosi approfittano della miseria materiale che
affligge la popolazione per cercare di offrire soluzioni immediate ai suoi problemi,
come la salute o l’occupazione. Inoltre queste sétte con le illusioni in cui sprofondano
comunità e famiglie, sottraggono queste persone alle loro responsabilità e ai loro
obblighi sociali. Questo, a nostro avviso, è pericoloso ed è il motivo per cui è difficile
per noi lavorare con le sétte, perché esse tendono piuttosto a sfruttare la miseria
materiale del nostro popolo. Di più: chiediamo che i legislatori prendano misure per
proteggere i più deboli, che sono sfruttati da queste sétte. (...)
D.
- In altre parole lottate per il rispetto dei diritti umani, un tema ampio di cui
si parlerà anche al prossimo Sinodo…
R. - Sì. I diritti umani sono
un tema ampio, molto importante e fondamentale. Un paese che si sforza di difendere
i diritti umani è in grado di costruire una società solida nell’interesse di tutti
i soggetti. Questa è la base di tutto ed è per questo che noi, Chiesa cattolica, ci
battiamo per il riconoscimento dei diritti delle persone in questo Paese. Quando abbiamo
lanciato il nostro programma di educazione civica, dove abbiamo insegnato cosa sono
le elezioni, la democrazia, lo Stato di diritto, i diritti umani in un paese dove
la gente ha subito decenni di repressione – (…) abbiamo cominciato spiegando loro
che hanno diritti e che senza il rispetto di questi diritti, non è possibile fondare
una repubblica a beneficio di tutti. Quindi per noi la questione dei diritti umani
è fondamentale e, come ho detto, l’abbiamo inserita tra le materie fondamentali di
insegnamento nelle scuole.
D. - Lei ha parlato più volte della povertà,
dell'uomo che bisogna salvare dalla miseria. È per questo che come vescovi avete istituito
una Commissione ad hoc incaricata di occuparsi della questione dei proventi delle
risorse naturali?
R. - Sì. Il nostro paese ha immense risorse, ma purtroppo,
questa ricchezza, che avrebbe dovuto essere la base della ricchezza della sua popolazione,
è, al contrario all’origine delle sue sventure. È a causa di questa ricchezza che
abbiamo conosciuto le guerre che hanno provocato milioni di morti e che sono guerre
economiche, e (…) oggi i focolai di conflitti o che alimentano i conflitti nel Congo
orientale sono intorno alle miniere, hanno motivazioni economiche. Quello che dobbiamo
fare come congolesi, insieme alla comunità internazionale, è garantire che questa
ricchezza possa essere destinata alla popolazione. (…) Ciò richiede una legislazione
specifica, e noi, vescovi, abbiamo lanciato un’opera di sensibilizzazione delle grandi
potenze, perché vengano varate leggi a livello nazionale e anche a livello internazionale
che tutelino tali risorse naturali in modo che possano beneficiare il popolo congolese
e di conseguenza i paesi vicini e anche il mondo. Ma senza tale legislazione, questa
ricchezza è sprecata, lo Stato non può ricavarne i proventi a cui ha diritto. Insomma
perdono tutti, la popolazione, il Paese. Sono gli altri che sfruttano queste ricchezze
(...). Tra questi le multinazionali che contribuiscono a creare un circolo pericoloso:
le ricchezze minerarie alimentano i conflitti, perché permettono di comprare le armi
che vengono usate contro le popolazioni (...). È quindi molto urgente - e siamo in
contatto con certi ambienti e Paesi stranieri che stanno preparando leggi per vietare
alle loro multinazionali di comprare minerali provenienti dal Congo attraverso un
sistema di certificazioni, al fine di limitare questa dilapidazione di ricchezze sfruttate
in modo selvaggio e che alimentano i conflitti all’origine della miseria del popolo
che è il proprietario di queste ricchezze. Quindi all'interno della CENCO, la Conferenza
episcopale nazionale del Congo, abbiamo una commissione sulle risorse naturali, che
è costantemente al lavoro su questo tema e, tra le soluzioni che abbiamo trovato,
vi è quella di informare il cittadino comune congolese. Abbiamo elaborato un vademecum
che distribuiamo in tutto il Paese, attraverso le nostre parrocchie, per dimostrare
ai congolesi che le ricchezze del sottosuolo appartengono a loro e che è necessario
proteggerle in ogni modo. Occorre sensibilizzare la base della società congolese per
resistere ai predatori nazionali e internazionali.
D. - Come gli altri
vescovi congolesi, Lei si sta preparando al 2° Sinodo Speciale dei Vescovi per l'Africa.
Dopo tutte le questioni che abbiamo affrontato, che ne è dell’inculturazione? Questa
priorità, in Africa e in Congo, è stata dimenticata?
R. - No, non è
stata dimenticata, nella misura in cui l'inculturazione, è la vita stessa. Lo dice
il Santo Padre nel suo recente libro "Gesù di Nazaret", che ci invita a evangelizzare
la cultura e ad inculturare il Vangelo. Si tratta di due facce di una stessa medaglia:
c’è l'incontro di Cristo con l'uomo, l'uomo che riceve la Parola di Dio (…) e, allo
stesso tempo, questo uomo dà al Vangelo che accoglie una parte di sé. E oggi, a livello
di ricerca teologica, un teologo cerca di esaminare la questione da questo punto di
vista. In primo luogo, il Vangelo, che è venuto a trovare il continente africano,
il popolo africano con la sua cultura, sta cercando di trasformarlo in un discepolo
di Cristo con i valori positivi della sua cultura. E poi, oggi, l'uomo africano vive
in un contesto specifico. È molto importante che l'evangelizzazione tenga conto della
situazione concreta dell’uomo da evangelizzare oggi, una situazione in Congo segnata
dalla guerra, dalla povertà, le malattie, l'AIDS e quello che un teologo chiama la
“teologia contestuale” (...) si muove in questa direzione. Quindi è una questione
attuale, è parte di un’evangelizzazione continua. Lo ripeto, è essenziale che prendiamo
in considerazione le situazioni in cui vivono gli africani, i congolesi oggi. Il Vangelo
di Gesù Cristo viene a interpellarli in queste circostanze e noi siamo chiamati a
lavorare in modo che l’uomo integrale, nella sue molteplici dimensioni possa incontrare
Cristo ed essere salvato da Cristo.