2009-09-21 17:08:20

La Chiesa dinanzi al flagello della corruzione in Africa


“L’egoismo alimenta l’attrattiva del guadagno, la corruzione e l’avarizia, mentre spinge alla sottrazione indebita di beni e ricchezze destinati a intere popolazioni”: è uno dei passi dell’Instrumentum Laboris, il documento sul quale rifletterà il secondo Sinodo dei Vescovi per l’Africa, che si terrà in Vaticano dal 4 al 25 ottobre. La corruzione, infatti, è uno dei mali che attanaglia il continente ed è causato dalla mancanza del senso dello Stato e del bene comune, dalla debolezza delle istituzioni politiche e dalla gestione clientelistica delle risorse economiche. Isabella Piro ne ha parlato con Padre Franco Moretti, direttore della rivista dei comboniani Nigrizia. Ascolta il servizio: RealAudioMP3

D. – Quali sono le cause della corruzione in Africa?

R. – Spesso e volentieri, la classe politica non è degna di questo nome, anche perché spesso i politici raggiungono il potere non attraverso elezioni democratiche, ma attraverso colpi di Stato e imbrogli, e una volta raggiunto il potere, poi, è difficile perderlo. Qualche decennio fa, in Africa circolava una battuta: “Per far perdere le elezioni ad un presidente africano, bisogna sparargli direttamente in testa”. Era un modo crudo per dimostrare quanto è difficile che un politico che assurge al potere, poi, possa accettare di perderlo. Farà di tutto per rimanerci. C’è poi il fatto che la popolazione, la società civile non è ancora ben educata ad un’etica sociale, proprio perché la stragrande maggioranza della gente vive nella miseria, non solo nella povertà. Ecco: quando ci sono intere popolazioni che vivono nella disperazione, il personaggio corrotto non è, di per se stesso, odiato o inviso, ma è quasi invidiato. Spesso e volentieri, chi è nella disperazione sogna di poter arrivare ad una situazione che possa assomigliare, nel suo piccolo, a quella di un “grande” che è corrotto. Il misero, il disperato è pronto a qualunque cosa, anche ad imitare il suo politico corrotto, quindi farà di tutto per poter imbrogliare il suo vicino, non perché lo voglia di per sé, ma perché è disperato, non sa come “sbarcare il lunario”.

D. – Quando si parla di corruzione in Africa, si parla principalmente di compravendita dei posti di potere o anche di gestione pratica del potere stesso?

R. - Bisogna tener presente una cosa: in molti Stati africani, non esiste un sistema fiscale appropriato. Pochi africani pagano le tasse, se non l’IVA che pagano quando comprano un oggetto in città (non è così, però, nei mercati rionali o rurali). Quindi, il politico quasi si sente di poter dire alla gente: “Io non vi chiedo molti soldi, quindi non preoccupatevi di come mi comporto”. Sta di fatto che le nazioni più corrotte in Africa corrispondono a quelle più ricche di risorse naturali, quindi l’Angola, il Ciad, il Congo. I proventi che il governo ottiene attraverso la vendita delle risorse naturali – in particolare, minerali preziosi, greggio e gas – sono proventi quasi avvertiti come proprietà privata da parte del governo stesso. L’esecutivo qualcosa fa, per esempio nella riparazione delle strade, ma la maggior parte di questi soldi viene usata in maniera distorta: una buona parte di essi viene inviata in Occidente, in qualche banca, su conti privati. Ma la gente, proprio perché non ha dato molto al governo, non sente il dovere di dire: “Usa bene questi soldi”. Per esempio, in Italia, in Europa noi diciamo sempre: “Sono soldi dei contribuenti”. In Africa, questa espressione non è ancora molto usata proprio perché il contribuente non contribuisce in modo adeguato allo sviluppo del Paese ed i politici approfittano di questa situazione: sfruttano le risorse naturali, le vendono o le svendono, in modo corrotto spesso, e considerano i proventi un po’ loro proprietà privata e fanno ciò che vogliono con questi soldi. Ci vorrebbe, da parte della gente, un senso di sdegno, più che di rabbia o di invidia. Questa capacità sta crescendo, soprattutto in alcuni gruppi della società civile, ma questo senso di sdegno nei confronti dei politici corrotti non è ancora generalizzato.

D. – Quali sono le conseguenze di tutto questo sulla popolazione africana?

R. – L’Africa sta diventando sempre più povera. Mentre le piccole élites si arricchiscono in maniera sfacciata, la stragrande maggioranza della popolazione giace ancora all’ombra della povertà e peggiora sempre di più. Il sistema sanitario in molti Paesi è allo sfacelo; ricordo che nel ‘63-’64, in Kenya, ad esempio, si arrivava a spendere il 53% del bilancio dello Stato per l’educazione, oggi invece siamo al 3 o 4%. Quindi educazione, sanità, servizi sociali sono tutti settori allo sfascio.

D. – Ci sono comunque degli esempi positivi di buon governo tra i vari Paesi africani?

R. – Sì, per esempio mi viene in mente il Ghana che, anche grazie ad una tradizione di democrazia pluridecennale, ha una certa parvenza di etica sociale e di politica basata sul buon governo. Ma si tratta di casi rari. Potremmo citare il Sudafrica, ma anche qui, pur se la popolazione sta meglio che nel resto del Continente, la corruzione è ad altissimi livelli. È difficile citare un caso, oggi, che possa diventare un esempio di buon governo in Africa.

D. – Quali sono le possibili soluzioni alla piaga della corruzione?

R. – Ce ne sono tante. Senz’altro, la formazione e l’educazione della società civile così che, quando si arriva al momento di eleggere i leader (politici ndr), si sappiano eleggere persone davvero degne di essere capi di un dicastero, di un governo, di un ufficio ministeriale. Poi, ci vorrebbe – anche da parte del nord del mondo, delle banche mondiali che fanno prestiti a questi Paesi africani – un po’ più di lealtà. È un po’ troppo facile accusare l’Africa di essere così povera a causa della corruzione dei suoi governanti, quando noi accettiamo nelle nostre banche questi soldi, frutto di corruzione, frutto di estorsione. E ce ne facciamo anche vanto. (…) Ultimamente, nel maggio scorso, c’è stato il rapporto della Global Witness, una ONG statunitense, che ha presentato al Congresso degli Stati Uniti un documento in cui si dice che le banche del nord del mondo fanno affari con questi governi corrotti del sud (…). Molte di queste banche sono quelle in cui noi depositiamo i nostri conti, a cui chiediamo prestiti, fingendo di non sapere che queste banche stanno facendo affari corrotti con i politici del sud del mondo. Quindi, è necessaria la pulizia in Africa, la crescita del senso civico in Africa, ma anche la crescita del senso di responsabilità da parte nostra. Molti dei soldi che hanno contribuito a creare questo ingente debito estero del sud del mondo sono stati inviati dalle banche, dalle istituzioni del nord del mondo come aiuti. Poi, però, venivano depositati su conti privati dei presidenti africani, e lo si sapeva, ma si accettava il fatto. Quindi, ci vuole una cooperazione: più serietà da parte loro, ma anche più onestà da parte nostra.

D. – La Chiesa locale, nei differenti Paesi africani, è sempre stata impegnata nella lotta alla corruzione. Secondo Lei, è possibile fare ancora di più?

R. – Senz’altro è possibile fare di più. Io direi che il “momento magico” della Chiesa cattolica in Africa è stato il decennio del 1970, quando in molti Stati africani la Chiesa era davvero l’unico “partito” di opposizione. Uso la parola “partito” in modo improprio, ma la Chiesa era davvero una voce profetica. Poi c’è stato un altro momento in cui la Chiesa cattolica si è dimostrata capace di dire qualcosa di nuovo in Africa ed è stato l’inizio degli anni ’90, durante le famose “primavere democratiche” dell’Africa. Da allora, la voce profetica della Chiesa cattolica in Africa si è un po’ smorzata. (…) Si spera comunque che i pochi buoni esempi vengano imitati e si moltiplichino. Ci sono stati, senz’altro, dei casi in cui le Chiese si sono dimostrate davvero capaci di puntare il dito contro i veri mali e hanno fatto nomi e cognomi. Mi vengono in mente il Kenya, in cui la Chiesa africana non ha taciuto durante i disordini che sono seguiti alle elezioni del 2007, o la Repubblica Democratica del Congo, in cui i vescovi dicono chiaramente cosa sta accadendo in questo Stato, dove tutte le grandi potenze del mondo sono lì per fare affari e fanno questi affari a spese della povera gente. Speriamo che il prossimo Sinodo per l’Africa sia davvero un “altoparlante” potente, che faccia giungere queste voci profetiche a tutto il mondo.

D. – A cosa è dovuto, secondo Lei, l’affievolimento della voce della Chiesa contro la corruzione?

R. – Forse, al fatto che i vescovi e le Conferenze episcopali di oggi sono, in un modo o nell’altro, un po’ più legati ai politici, a livello quasi “partitico”. E lo dice chiaramente anche l’Instrumentum Laboris in cui si legge che alcuni pastori si schierano decisamente con un partito (cfr. IL, II, 53 ndr). (…) Poi, forse, c’è un certo senso di stanchezza nella Chiesa, di delusione: teniamo presente che è da trent’anni che la Chiesa sta cercando, sta dicendo di sforzarsi (nella lotta alla corruzione ndr.) Dopo tanti anni, può venire meno questa speranza, qualche Pastore può, magari, scoraggiarsi o, addirittura, dire: “Non c’è niente da fare”.

D. – Quindi di corruzione si parla nell’Instrumentum Laboris…

R. – Certo! La parola “corruzione” appare ben nove volte nel testo, quindi figura tra i primi posti nella lista delle ombre che oscurano il Continente ed impediscono il suo sviluppo. La parola “corruzione” appare in tutti i contesti: quello civile, quello sociale, quello economico, in quello etico…dappertutto! Ovviamente, l’Instrumentum Laboris non lesina parole di critica per questo malcostume.

D. – Alla luce di tutto quello che abbiamo detto, possiamo comunque dire che l’Africa resta un Continente di grandi speranze e di grandi possibilità?

R. – Vorrei sottolineare il fatto che sia Giovanni Paolo II, sia Benedetto XVI hanno il coraggio di esprimere questa fiducia nel Continente. Sia l’uno che l’altro usano questa espressione: “L’Africa è il Continente della speranza per il futuro del mondo”. (…) A livello prettamente cristiano, non può darsi il fatto che un continente così provato dal dolore non stia maturando in sé i semi del suo futuro migliore (…). Bisogna credere per forza che, prima o poi, il Terzo Giorno per l’Africa ci sarà. Dobbiamo pregare perché ciò avvenga presto, ma anche impegnarci nel fare le cose necessarie. E l’Instrumentum Laboris le indica tutte, punto per punto: educazione, formazione, piccole comunità, riflessione sulla Parola di Dio, grande studio sull’insegnamento sociale della Chiesa. Questi piccoli passi ci sono, ma vanno incrementati.








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