La Chiesa dinanzi al flagello della corruzione in Africa
“L’egoismo alimenta l’attrattiva del guadagno, la corruzione e l’avarizia, mentre
spinge alla sottrazione indebita di beni e ricchezze destinati a intere popolazioni”:
è uno dei passi dell’Instrumentum Laboris, il documento sul quale rifletterà il secondo
Sinodo dei Vescovi per l’Africa, che si terrà in Vaticano dal 4 al 25 ottobre. La
corruzione, infatti, è uno dei mali che attanaglia il continente ed è causato dalla
mancanza del senso dello Stato e del bene comune, dalla debolezza delle istituzioni
politiche e dalla gestione clientelistica delle risorse economiche. Isabella Piro
ne ha parlato con Padre Franco Moretti, direttore della rivista dei comboniani
Nigrizia. Ascolta il servizio:
D. – Quali
sono le cause della corruzione in Africa?
R. – Spesso e volentieri,
la classe politica non è degna di questo nome, anche perché spesso i politici raggiungono
il potere non attraverso elezioni democratiche, ma attraverso colpi di Stato e imbrogli,
e una volta raggiunto il potere, poi, è difficile perderlo. Qualche decennio fa, in
Africa circolava una battuta: “Per far perdere le elezioni ad un presidente africano,
bisogna sparargli direttamente in testa”. Era un modo crudo per dimostrare quanto
è difficile che un politico che assurge al potere, poi, possa accettare di perderlo.
Farà di tutto per rimanerci. C’è poi il fatto che la popolazione, la società civile
non è ancora ben educata ad un’etica sociale, proprio perché la stragrande maggioranza
della gente vive nella miseria, non solo nella povertà. Ecco: quando ci sono intere
popolazioni che vivono nella disperazione, il personaggio corrotto non è, di per se
stesso, odiato o inviso, ma è quasi invidiato. Spesso e volentieri, chi è nella disperazione
sogna di poter arrivare ad una situazione che possa assomigliare, nel suo piccolo,
a quella di un “grande” che è corrotto. Il misero, il disperato è pronto a qualunque
cosa, anche ad imitare il suo politico corrotto, quindi farà di tutto per poter imbrogliare
il suo vicino, non perché lo voglia di per sé, ma perché è disperato, non sa come
“sbarcare il lunario”.
D. – Quando si parla di corruzione in Africa,
si parla principalmente di compravendita dei posti di potere o anche di gestione pratica
del potere stesso?
R. - Bisogna tener presente una cosa: in molti Stati
africani, non esiste un sistema fiscale appropriato. Pochi africani pagano le tasse,
se non l’IVA che pagano quando comprano un oggetto in città (non è così, però, nei
mercati rionali o rurali). Quindi, il politico quasi si sente di poter dire alla gente:
“Io non vi chiedo molti soldi, quindi non preoccupatevi di come mi comporto”. Sta
di fatto che le nazioni più corrotte in Africa corrispondono a quelle più ricche di
risorse naturali, quindi l’Angola, il Ciad, il Congo. I proventi che il governo ottiene
attraverso la vendita delle risorse naturali – in particolare, minerali preziosi,
greggio e gas – sono proventi quasi avvertiti come proprietà privata da parte del
governo stesso. L’esecutivo qualcosa fa, per esempio nella riparazione delle strade,
ma la maggior parte di questi soldi viene usata in maniera distorta: una buona parte
di essi viene inviata in Occidente, in qualche banca, su conti privati. Ma la gente,
proprio perché non ha dato molto al governo, non sente il dovere di dire: “Usa bene
questi soldi”. Per esempio, in Italia, in Europa noi diciamo sempre: “Sono soldi dei
contribuenti”. In Africa, questa espressione non è ancora molto usata proprio perché
il contribuente non contribuisce in modo adeguato allo sviluppo del Paese ed i politici
approfittano di questa situazione: sfruttano le risorse naturali, le vendono o le
svendono, in modo corrotto spesso, e considerano i proventi un po’ loro proprietà
privata e fanno ciò che vogliono con questi soldi. Ci vorrebbe, da parte della gente,
un senso di sdegno, più che di rabbia o di invidia. Questa capacità sta crescendo,
soprattutto in alcuni gruppi della società civile, ma questo senso di sdegno nei confronti
dei politici corrotti non è ancora generalizzato.
D. – Quali sono le
conseguenze di tutto questo sulla popolazione africana?
R. – L’Africa
sta diventando sempre più povera. Mentre le piccole élites si arricchiscono in maniera
sfacciata, la stragrande maggioranza della popolazione giace ancora all’ombra della
povertà e peggiora sempre di più. Il sistema sanitario in molti Paesi è allo sfacelo;
ricordo che nel ‘63-’64, in Kenya, ad esempio, si arrivava a spendere il 53% del bilancio
dello Stato per l’educazione, oggi invece siamo al 3 o 4%. Quindi educazione, sanità,
servizi sociali sono tutti settori allo sfascio.
D. – Ci sono comunque
degli esempi positivi di buon governo tra i vari Paesi africani?
R.
– Sì, per esempio mi viene in mente il Ghana che, anche grazie ad una tradizione di
democrazia pluridecennale, ha una certa parvenza di etica sociale e di politica basata
sul buon governo. Ma si tratta di casi rari. Potremmo citare il Sudafrica, ma anche
qui, pur se la popolazione sta meglio che nel resto del Continente, la corruzione
è ad altissimi livelli. È difficile citare un caso, oggi, che possa diventare un esempio
di buon governo in Africa.
D. – Quali sono le possibili soluzioni alla
piaga della corruzione?
R. – Ce ne sono tante. Senz’altro, la formazione
e l’educazione della società civile così che, quando si arriva al momento di eleggere
i leader (politici ndr), si sappiano eleggere persone davvero degne di essere capi
di un dicastero, di un governo, di un ufficio ministeriale. Poi, ci vorrebbe – anche
da parte del nord del mondo, delle banche mondiali che fanno prestiti a questi Paesi
africani – un po’ più di lealtà. È un po’ troppo facile accusare l’Africa di essere
così povera a causa della corruzione dei suoi governanti, quando noi accettiamo nelle
nostre banche questi soldi, frutto di corruzione, frutto di estorsione. E ce ne facciamo
anche vanto. (…) Ultimamente, nel maggio scorso, c’è stato il rapporto della Global
Witness, una ONG statunitense, che ha presentato al Congresso degli Stati Uniti un
documento in cui si dice che le banche del nord del mondo fanno affari con questi
governi corrotti del sud (…). Molte di queste banche sono quelle in cui noi depositiamo
i nostri conti, a cui chiediamo prestiti, fingendo di non sapere che queste banche
stanno facendo affari corrotti con i politici del sud del mondo. Quindi, è necessaria
la pulizia in Africa, la crescita del senso civico in Africa, ma anche la crescita
del senso di responsabilità da parte nostra. Molti dei soldi che hanno contribuito
a creare questo ingente debito estero del sud del mondo sono stati inviati dalle banche,
dalle istituzioni del nord del mondo come aiuti. Poi, però, venivano depositati su
conti privati dei presidenti africani, e lo si sapeva, ma si accettava il fatto. Quindi,
ci vuole una cooperazione: più serietà da parte loro, ma anche più onestà da parte
nostra.
D. – La Chiesa locale, nei differenti Paesi africani, è sempre
stata impegnata nella lotta alla corruzione. Secondo Lei, è possibile fare ancora
di più?
R. – Senz’altro è possibile fare di più. Io direi che il “momento
magico” della Chiesa cattolica in Africa è stato il decennio del 1970, quando in molti
Stati africani la Chiesa era davvero l’unico “partito” di opposizione. Uso la parola
“partito” in modo improprio, ma la Chiesa era davvero una voce profetica. Poi c’è
stato un altro momento in cui la Chiesa cattolica si è dimostrata capace di dire qualcosa
di nuovo in Africa ed è stato l’inizio degli anni ’90, durante le famose “primavere
democratiche” dell’Africa. Da allora, la voce profetica della Chiesa cattolica in
Africa si è un po’ smorzata. (…) Si spera comunque che i pochi buoni esempi vengano
imitati e si moltiplichino. Ci sono stati, senz’altro, dei casi in cui le Chiese si
sono dimostrate davvero capaci di puntare il dito contro i veri mali e hanno fatto
nomi e cognomi. Mi vengono in mente il Kenya, in cui la Chiesa africana non ha taciuto
durante i disordini che sono seguiti alle elezioni del 2007, o la Repubblica Democratica
del Congo, in cui i vescovi dicono chiaramente cosa sta accadendo in questo Stato,
dove tutte le grandi potenze del mondo sono lì per fare affari e fanno questi affari
a spese della povera gente. Speriamo che il prossimo Sinodo per l’Africa sia davvero
un “altoparlante” potente, che faccia giungere queste voci profetiche a tutto il mondo.
D. – A cosa è dovuto, secondo Lei, l’affievolimento della voce della
Chiesa contro la corruzione?
R. – Forse, al fatto che i vescovi e le
Conferenze episcopali di oggi sono, in un modo o nell’altro, un po’ più legati ai
politici, a livello quasi “partitico”. E lo dice chiaramente anche l’Instrumentum
Laboris in cui si legge che alcuni pastori si schierano decisamente con un partito
(cfr. IL, II, 53 ndr). (…) Poi, forse, c’è un certo senso di stanchezza nella Chiesa,
di delusione: teniamo presente che è da trent’anni che la Chiesa sta cercando, sta
dicendo di sforzarsi (nella lotta alla corruzione ndr.) Dopo tanti anni, può venire
meno questa speranza, qualche Pastore può, magari, scoraggiarsi o, addirittura, dire:
“Non c’è niente da fare”.
D. – Quindi di corruzione si parla nell’Instrumentum
Laboris…
R. – Certo! La parola “corruzione” appare ben nove volte nel
testo, quindi figura tra i primi posti nella lista delle ombre che oscurano il Continente
ed impediscono il suo sviluppo. La parola “corruzione” appare in tutti i contesti:
quello civile, quello sociale, quello economico, in quello etico…dappertutto! Ovviamente,
l’Instrumentum Laboris non lesina parole di critica per questo malcostume.
D.
– Alla luce di tutto quello che abbiamo detto, possiamo comunque dire che l’Africa
resta un Continente di grandi speranze e di grandi possibilità?
R. –
Vorrei sottolineare il fatto che sia Giovanni Paolo II, sia Benedetto XVI hanno il
coraggio di esprimere questa fiducia nel Continente. Sia l’uno che l’altro usano questa
espressione: “L’Africa è il Continente della speranza per il futuro del mondo”. (…)
A livello prettamente cristiano, non può darsi il fatto che un continente così provato
dal dolore non stia maturando in sé i semi del suo futuro migliore (…). Bisogna credere
per forza che, prima o poi, il Terzo Giorno per l’Africa ci sarà. Dobbiamo pregare
perché ciò avvenga presto, ma anche impegnarci nel fare le cose necessarie. E l’Instrumentum
Laboris le indica tutte, punto per punto: educazione, formazione, piccole comunità,
riflessione sulla Parola di Dio, grande studio sull’insegnamento sociale della Chiesa.
Questi piccoli passi ci sono, ma vanno incrementati.