Globalizzazione: un pericolo per l’identità africana e per il cristianesimo?
La globalizzazione rappresenta un pericolo per l’identità africana? E come può l’Africa
rinnovarsi, senza lasciarsi travolgere dalla cultura occidentale? Su questi ed altri
interrogativi si concentrerà il secondo Sinodo dei Vescovi per l’Africa, che si terrà
in Vaticano dal 4 al 25 ottobre, sul tema della riconciliazione, della giustizia e
della pace. A quindici anni dalla prima Assemblea Speciale dedicata a questo continente,
il Sinodo dei vescovi torna dunque a riflettere sull’Africa. Sui rischi rappresentati
dalla globalizzazione per l’integrità dell’identità africana, Dulce Araujo
ha chesto a Marguerite Peeters, autrice del libro La Mondializzazione della
Rivoluzione Culturale Occidentale, perché la globalizzazione può rappresentare una
minaccia per le diverse identità dell'Africa. Ascolta l'intervista in lingua originale
francese:
D. - Lei
parla del pericolo che una nuova cultura globalizzata e la sua etica rappresentano
per l’identità culturale africana e anche per il cristianesimo. Perché?
R.
– Per diverse ragioni: la prima è che c’è un deficit democratico nel senso che questi
concetti (prendo l’esempio della “salute riproduttiva” e di “genere” che sono i più
conosciuti) non sono stati sottomessi a dibattito democratico come si fa normalmente.
Quindi, non provengono dalle popolazioni, non rappresentano la volontà dei popoli,
bensì – e questo può essere provato storicamente – da certe minoranze occidentali,
partners di certi organismi dell’ONU che hanno svolto un ruolo determinante nella
formulazione di queste norme mondiali negli anni ‘90. Quindi c’è innanzitutto un problema
democratico, cioè una presa di potere normativo da parte di certe minoranze occidentali.
In secondo luogo, mi preoccupa perché pone un problema per i cristiani, nella misura
in cui chi conosce la storia dell’Occidente sa molto bene che la rivoluzione culturale
del mondo occidentale (e non parlo semplicemente del maggio del 1968) è una lunga
storia di secolarizzazione della civiltà occidentale, e questa rivoluzione culturale
ha avuto come risultato la perdita della fede in Occidente. Costatiamo questo ora
che le chiese sono vuote o frequentate solo da anziani; i giovani prendono le distanze.
È chiaro che c’è un rinnovamento della Chiesa, ma la cultura occidentale, che era
cristiana, ha smesso di esserlo. Io vorrei chiamare l’attenzione delle popolazioni
e delle culture non occidentali che stano passando, artificialmente, per questo stesso
fenomeno di una rivoluzione culturale, come in Africa, dove si parla dappertutto di
“genere”, di “salute riproduttiva” … Come ho detto, si tratta solo di due esempi in
mezzo a tanti altri, ma sono forse i più eloquenti di questa rivoluzione occidentale
che è letteralmente imposta all’Africa non solo attraverso i governi, ma soprattutto
attraverso la cultura (la mondializzazione culturale), internet, media, tv, stili
di vita…
D. - Questo rappresenta quindi una sfida per le culture non
occidentali. Conserveranno le loro culture o si lasceranno occidentalizzare?
R.
- Si tratta anche di una sfida per la fede cristiana perché questi concetti rappresentano
un pericolo, nella misura in cui posso sedurre i cristiani, allontanandoli del Vangelo.
D. - Ma ci sono segnali di speranza che l’Africa non si lascerà travolgere
dalla spirale di questa nuova cultura occidentale e riesca a svilupparsi partendo
dalle sue proprie realtà, dalle sue proprie ricchezze culturali, pur innovando quando
e dove è necessario?
R. - Io penso che Dio ha dato all’Africa alcuni
doni che non ha dato ad altri continenti; che ci sono doni che Dio ha fatto specificamente
all’Africa; che l’Africa ha una missione; che l’ora di questa missione è arrivata.
Per me, personalmente è una grande allegria, un grande regalo cominciare a conoscere
l’Africa, a scoprire innanzitutto quello che è immediatamente percettibile, cioè,
questo senso fondamentale di fraternità: qualsiasi uomo, qualsiasi donna è un fratello,
una sorella, non importa chi sia, conosciuto o sconosciuto. È un fratello, una sorella!
Ed è una fraternità molto diversa dal concetto di fraternità della Rivoluzione francese,
fraternità senza padre. In Africa, al contrario, si tratta di una fraternità filiale.
Cioè, siamo fratelli perché abbiamo lo stesso padre. Questo senso di paternità, di
maternità, di vita, questa gioia di vivere, questo senso del sacro…La natura in Africa
è chiamata “Creato”, questo vuol dire che c’è un Creatore. Ora, nella civiltà caratterizzata
dall’apostasia, cioè dal rifiuto di Dio, non si parla più di Creatore. In Africa la
natura viene da Dio. E penso che questo dono che Dio ha fatto all’Africa è senza pentimento;
cioè, quando Dio ha fatto questo dono all’Africa è stato per sempre. Penso che, con
lo shock della mondializzazione, sta nascendo nel cuore degli africani un desiderio
di conservare la propria identità, stanno prendendo coscienza di quello che sono,
dei doni che hanno ricevuto da Dio…Sono stata di recente in Ouagadougou in Burkina-Faso
e mi è sembrato che le persone sono coscienti di questo rapido, rapidissimo cambiamento
culturale che sta avvenendo e, quindi, questo desiderio di resistere a tutto questo.
Il quadro è comunque abbastanza preoccupante, perché questa nuova cultura avanza in
modo estremamente rapido.