Divario nord-sud. La cooperazione può generare ricchezza per tutti?
Il 40% della popolazione dell’Africa sub-sahariana vive al di sotto della soglia di
povertà. La denuncia arriva dai recenti dati dell’IFAD, il Fondo Internazionale per
lo sviluppo agricolo. Un dato che accresce il divario tra ricchi e poveri nel continente
africano. La drammatica questione sarà uno dei temi del prossimo Sinodo dei Vescovi
per l’Africa, che si terrà in Vaticano dal 4 al 25 ottobre, sulla riconciliazione,
la giustizia e la pace. Si tratta della seconda Assemblea Speciale che i Vescovi dedicano
a questo continente, dopo la prima del 1994. Sulla possibilità di adottare un modello
economico in grado di generare ricchezza per tutti, Silvia Koch ha intervistato
Sergio Marelli, Direttore Generale della FOCSIV-Volontari nel mondo. Ascolta
un estratto dell'intervista:
D. - Quali
misure sono necessarie per invertire le tendenze che causano il divario nord-sud?
R.
- In Africa c’è un grande bisogno di democrazia. Non di una democrazia imposta dall’esterno
e che replichi i nostri modelli occidentali, ma di una politica elaborata dal basso.
Uno sviluppo partecipato, che coinvolga le popolazioni locali nella fase decisionale,
non solo nei processi esecutivi. Una nuova centralità alla famiglia, alle comunità
locali di questo continente. Solo su queste basi le politiche economiche, che pure
sono necessarie, potranno avere successo. Altrimenti continuerà a ripetersi quel meccanismo
degli “aiuti all’Africa”, che ha caratterizzato la cooperazione degli ultimi cinquanta
anni, e che quasi mai è riuscita a sradicare la povertà e a migliorare, in maniera
duratura, le condizioni di vita delle popolazioni. Da un punto di vista produttivo,
è senza dubbio necessario rilanciare l’agricoltura, che rappresenta l’80% dell’economia
africana, coinvolgendo i piccoli produttori, attraverso l’applicazione dello stesso
modello partecipato, e sostenendo le economie familiari. Ricordo, a questo proposito,
un dato spesso citato dal direttore generale della Fao: alla fine degli anni ottanta
i fondi devoluti all’agricoltura africana dai paesi ricchi corrispondevano al 17,8%
del totale degli aiuti indirizzati continente; oggi invece questa percentuale si è
ridotta a un misero 3%. In generale, poi, le risorse devolute alla cooperazione dalle
nazioni economicamente più forti devono essere adeguate. È una vergogna che i paesi
donatori siano oggi inadempienti rispetto agli accordi da essi stessi sottoscritti
con la Comunità Internazionale in ambito di cooperazione. L’Italia in primis, che
quest’anno ha devoluto solo lo 0,1% del proprio PIL all’aiuto allo sviluppo, e che
risulta essere il paese più lontano da quello 0,7% del proprio PIL, che le Nazioni
Unite avevano richiesto alle nazioni industrializzate per raggiungere i famosi obiettivi
si sviluppo del Millennio. Infine, torno a ricordare che un ulteriore criterio da
tenere in considerazione per massimizzare i risultati dell’aiuto è la semplificazione
dei passaggi attraverso i quali si realizzano le donazioni, cercando di indirizzare
i fondi direttamente ai destinatari dell’aiuto e, soprattutto, tenendo presente le
loro esigenze e non eventuali tornaconti per i paesi donatori L’impostazione ideale
a cui puntare sono i progetti di sviluppo partecipato e sostenibile, condotti dalla
società civile locale, magari in partenariato con le Ong del nord del mondo.
D.
- Nell’ultima Enciclica, Benedetto XVI ha espresso la sua convinzione che la crisi
economica mondiale possa essere arginata proprio attraverso la cooperazione, uno strumento
in grado di creare ricchezza per tutti, a livello globale…
R. - Sebbene
la solidarietà internazionale sia innanzitutto un dovere morale nei confronti delle
nazioni svantaggiate, sono convinto che fare cooperazione sia anche conveniente per
il nord del mondo. Questo perché senza lo sviluppo dell’Africa, le economie ricche
non potranno mai godere di stabilità. Una prova evidente della necessità di una crescita
globale coerente è il fenomeno dell’emigrazione. I milioni di persone costrette a
fuggire dalla disperazione e dalla miseria delle nazioni d’origine, si riverseranno
sempre più nei nostri paesi ricchi. Quindi è interesse proprio delle nazioni sviluppate
attivare politiche di cooperazione efficaci e puntare a riforme strutturali globali,
le sole in grado di arginare questo flusso migratorio.
D. - Esistono
in Africa determinati modelli culturali, ad esempio nel settore sanitario. Come può
la cooperazione inserirsi in tali contesti?
R. - La promozione delle
diverse culture dei popoli è il pilastro sul quale fondare qualsiasi modello di sviluppo.
Penso che sia necessario cercare di comprendere quali siano i valori etici di riferimento
delle comunità che si intende accompagnare nella fase di sviluppo, rafforzare le buone
tradizioni locali e centrare su queste, modelli di crescita specifici. La storia è
ricca di esempi che dimostrano come sistemi culturali trapiantati, imposti dall’esterno,
abbiano portato le più grandi catastrofi. Un atteggiamento di apertura e di confronto
verso gli ideali di base delle popolazioni africane, che spesso sono modelli nobili
di grande insegnamento, può aiutare lo stesso Occidente sviluppato a recuperare l’essenza
della propria etica originaria, oggi spesso eclissata dai modelli culturali dettati
dalle necessità materialistiche. (…) La riscoperta dei valori tradizionali, in un’ottica
di interdipendenza culturale, può essere la ricetta giusta per la promozione di uno
sviluppo sostenibile, a livello globale.