2009-09-21 17:07:57

Divario nord-sud. La cooperazione può generare ricchezza per tutti?


Il 40% della popolazione dell’Africa sub-sahariana vive al di sotto della soglia di povertà. La denuncia arriva dai recenti dati dell’IFAD, il Fondo Internazionale per lo sviluppo agricolo. Un dato che accresce il divario tra ricchi e poveri nel continente africano. La drammatica questione sarà uno dei temi del prossimo Sinodo dei Vescovi per l’Africa, che si terrà in Vaticano dal 4 al 25 ottobre, sulla riconciliazione, la giustizia e la pace. Si tratta della seconda Assemblea Speciale che i Vescovi dedicano a questo continente, dopo la prima del 1994. Sulla possibilità di adottare un modello economico in grado di generare ricchezza per tutti, Silvia Koch ha intervistato Sergio Marelli, Direttore Generale della FOCSIV-Volontari nel mondo. Ascolta un estratto dell'intervista: RealAudioMP3

D. - Quali misure sono necessarie per invertire le tendenze che causano il divario nord-sud?

R. - In Africa c’è un grande bisogno di democrazia. Non di una democrazia imposta dall’esterno e che replichi i nostri modelli occidentali, ma di una politica elaborata dal basso. Uno sviluppo partecipato, che coinvolga le popolazioni locali nella fase decisionale, non solo nei processi esecutivi. Una nuova centralità alla famiglia, alle comunità locali di questo continente. Solo su queste basi le politiche economiche, che pure sono necessarie, potranno avere successo. Altrimenti continuerà a ripetersi quel meccanismo degli “aiuti all’Africa”, che ha caratterizzato la cooperazione degli ultimi cinquanta anni, e che quasi mai è riuscita a sradicare la povertà e a migliorare, in maniera duratura, le condizioni di vita delle popolazioni. Da un punto di vista produttivo, è senza dubbio necessario rilanciare l’agricoltura, che rappresenta l’80% dell’economia africana, coinvolgendo i piccoli produttori, attraverso l’applicazione dello stesso modello partecipato, e sostenendo le economie familiari. Ricordo, a questo proposito, un dato spesso citato dal direttore generale della Fao: alla fine degli anni ottanta i fondi devoluti all’agricoltura africana dai paesi ricchi corrispondevano al 17,8% del totale degli aiuti indirizzati continente; oggi invece questa percentuale si è ridotta a un misero 3%. In generale, poi, le risorse devolute alla cooperazione dalle nazioni economicamente più forti devono essere adeguate. È una vergogna che i paesi donatori siano oggi inadempienti rispetto agli accordi da essi stessi sottoscritti con la Comunità Internazionale in ambito di cooperazione. L’Italia in primis, che quest’anno ha devoluto solo lo 0,1% del proprio PIL all’aiuto allo sviluppo, e che risulta essere il paese più lontano da quello 0,7% del proprio PIL, che le Nazioni Unite avevano richiesto alle nazioni industrializzate per raggiungere i famosi obiettivi si sviluppo del Millennio. Infine, torno a ricordare che un ulteriore criterio da tenere in considerazione per massimizzare i risultati dell’aiuto è la semplificazione dei passaggi attraverso i quali si realizzano le donazioni, cercando di indirizzare i fondi direttamente ai destinatari dell’aiuto e, soprattutto, tenendo presente le loro esigenze e non eventuali tornaconti per i paesi donatori L’impostazione ideale a cui puntare sono i progetti di sviluppo partecipato e sostenibile, condotti dalla società civile locale, magari in partenariato con le Ong del nord del mondo.

D. - Nell’ultima Enciclica, Benedetto XVI ha espresso la sua convinzione che la crisi economica mondiale possa essere arginata proprio attraverso la cooperazione, uno strumento in grado di creare ricchezza per tutti, a livello globale…

R. - Sebbene la solidarietà internazionale sia innanzitutto un dovere morale nei confronti delle nazioni svantaggiate, sono convinto che fare cooperazione sia anche conveniente per il nord del mondo. Questo perché senza lo sviluppo dell’Africa, le economie ricche non potranno mai godere di stabilità. Una prova evidente della necessità di una crescita globale coerente è il fenomeno dell’emigrazione. I milioni di persone costrette a fuggire dalla disperazione e dalla miseria delle nazioni d’origine, si riverseranno sempre più nei nostri paesi ricchi. Quindi è interesse proprio delle nazioni sviluppate attivare politiche di cooperazione efficaci e puntare a riforme strutturali globali, le sole in grado di arginare questo flusso migratorio.

D. - Esistono in Africa determinati modelli culturali, ad esempio nel settore sanitario. Come può la cooperazione inserirsi in tali contesti?

R. - La promozione delle diverse culture dei popoli è il pilastro sul quale fondare qualsiasi modello di sviluppo. Penso che sia necessario cercare di comprendere quali siano i valori etici di riferimento delle comunità che si intende accompagnare nella fase di sviluppo, rafforzare le buone tradizioni locali e centrare su queste, modelli di crescita specifici. La storia è ricca di esempi che dimostrano come sistemi culturali trapiantati, imposti dall’esterno, abbiano portato le più grandi catastrofi. Un atteggiamento di apertura e di confronto verso gli ideali di base delle popolazioni africane, che spesso sono modelli nobili di grande insegnamento, può aiutare lo stesso Occidente sviluppato a recuperare l’essenza della propria etica originaria, oggi spesso eclissata dai modelli culturali dettati dalle necessità materialistiche. (…) La riscoperta dei valori tradizionali, in un’ottica di interdipendenza culturale, può essere la ricetta giusta per la promozione di uno sviluppo sostenibile, a livello globale.








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