Diritti umani in Africa. L'impegno della Commissione di Giustizia e Pace del Congo
Brazzaville
Violenza e ingiustizia hanno caratterizzato la storia dell’Africa e continuano ancora
oggi a dilaniare il continente. Da sempre impegnata con le Commissioni di Giustizia
e Pace nelle crisi locali, a quindici anni dal primo Sinodo per l’Africa, la Chiesa
torna a riflettere sul valore della riconciliazione, della giustizia e della pace,
in occasione della seconda Assemblea dei Vescovi africani che si terrà in Vaticano
dal 4 al 25 ottobre. Celebre esempio nella storia della testimonianza cattolica nel
continente, la Commissione per la Verità e la Riconciliazione sudafricana presieduta
nel 1999 dall’arcivescovo Desmond Tutu, ha consentito al Paese di chiudere moralmente
con il dramma dell’apartheid e di rinascere all’insegna del perdono. Jean Aimé
Brice Mackosso, della Commissione Giustizia e Pace del Congo Brazzaville, ha raccontato
a Silvia Koch l’esperienza del suo Paese, ricco di risorse naturali ma afflitto
dalla violenza, dalla corruzione e dallo sfruttamento delle multinazionali. Ascolta
l'intervista in lingua originale francese:
D. - Quali
attività svolge la Commissione di Giustizia e Pace in Congo Brazzaville?
R.
- Noi lavoriamo sulla formazione dei cristiani, per diffondere una cultura di pace
e di non violenza. Cerchiamo inoltre di fare pressione per una migliore gestione delle
entrate economiche legate ai combustibili fossili. Il bilancio pubblico del Congo
Brazzaville dipende in larga parte dal petrolio; per questo i vescovi nel 2002 hanno
lanciato un appello affinché questa risorsa sia utilizzata per ridurre la povertà,
nel paese. La Commissione di Giustizia e Pace si occupa inoltre della pastorale e
dell’assistenza giuridica nelle prigioni. È impegnata poi con i ragazzi-schiavi, che
dall’Africa Occidentale arrivano in Congo, dove lavorano come schiavi nei mercati.
Infine, curiamo un corso di “Culture cristiane della pace” nelle scuole e altri programmi
educativi in diverse strutture per la gioventù, ad esempio in quella di Kinkala dove
si lavora sul reinserimento degli ex-bambini soldato. Ecco dunque i vari settori di
intervento della Commissione di Giustizia e Pace, in Congo Brazzaville.
D.
- Qual è il contesto nel quale lavorate?
R. - Sono condizioni molto
difficili, perché in un Paese che ha conosciuto la guerra non è facile denunciare
la corruzione, la cattiva utilizzazione delle finanze pubbliche. Soprattutto dal momento
che dietro le attività criminali ci sono spesso le multinazionali, che anche in passato
hanno peggiorato la situazione, in diverse occasioni. Dunque, diventa complicato pretendere
che le risorse statali siano devolute alla battaglia contro la povertà.
D.
- Quali sono i risultati concreti del lavoro sul campo della Commissione di Giustizia
e Pace?
R. - Fornirò l’esempio di come si è evoluto il dibattito intorno
alle materie prime. In passato i congolesi non ne erano al corrente, non sapevano
che la nazione producesse petrolio. Chi si occupava di questi argomenti rischiava
di essere arrestato; addirittura un detto popolare diceva: “Il petrolio uccide; colui
che ne parla può morire”. Oggi invece la gente ne discute liberamente; gli intellettuali
sono informati sulle problematiche e sui benefici legati all’attività estrattiva.
I vescovi hanno avuto il merito di portare l’attenzione del dibattito pubblico su
tali tematiche. Il petrolio non rappresenta più un “tabù”, e questo io credo sia una
delle conquiste più importanti della Commissione di Giustizia e Pace.
D.
- Esistono forme di collaborazione tra la Commissione di Giustizia e Pace congolese
e il Pontificio Consiglio ‘Giustizia e Pace’?
R. - Tutte le Commissioni
africane hanno delle relazioni con il Pontificio Consiglio. Innanzitutto noi inviamo
periodicamente al Consiglio un rapporto sulle nostre attività. A livello di Africa
Centrale, esiste un coordinamento delle Commissioni di Giustizia e Pace, la SERAC,
che si riunisce ogni tre anni per fare una valutazione degli interventi effettuati
nei diversi paesi. E il Pontificio Consiglio prende sempre parte ai lavori, nella
figura del Cardinale responsabile o di un suo delegato. Per quanto riguarda il nostro
Dicastero, posso dire che esiste davvero una collaborazione importante con il Consiglio.
D.
- A suo avviso, ci sono degli aspetti da incrementare riguardo a questa collaborazione?
R.
- Io credo che il Consiglio faccia già molto. Ad esempio ha realizzato studi settoriali
su varie tematiche, tra cui il debito e la corruzione, che sono fondamentali per il
nostro lavoro sul campo. Forse sarebbe importante un intervento più incisivo riguardo
alla problematica dei combustibili. Possiamo dire che tutti i conflitti africani sono
riconducibili, in una maniera o nell’altra, allo sfruttamento delle risorse, dal Sudan
alla Repubblica Democratica del Congo, all’Angola…Anche in Congo Brazzaville, si dice
che la guerra è stata causata dal petrolio, oppure che se alcune aree, dove si concentra
l’attività estrattiva, non sono state devastate dalla violenza armata, è proprio grazie
all’oro nero. Possiamo concludere, allora, che il petrolio rappresenta una fonte di
male e bene al tempo stesso. Dunque, io ritengo importante che la Chiesa, con la sua
autorevolezza universale, si pronunci al riguardo. Le indicazioni della Chiesa e un
apposito studio del Pontificio Consiglio sarebbero fondamentali e molto ascoltate
dal popolo di Dio.
D. - In alcuni paesi nei quali l’economia del petrolio
ha sconvolto l’ecosistema naturale, la Nigeria ad esempio, ci si sta interrogando
sulla possibilità di interrompere l’attività petrolifera, lasciare le risorse nel
sottosuolo per avviare produzioni alternative ed ecosostenibili, nei siti estrattivi.
Cosa pensate di questo tipo di progetti?
R. - Ci sono dei paesi che
non possiedono petrolio in Africa, dunque è possibile vivere senza questa risorsa.
In generale, nelle economie che non dipendono dallo sfruttamento delle risorse energetiche,
si registra addirittura una crescita maggiore, rispetto alle economie petrolifere.
Aggiungo che quasi ovunque il petrolio è legato a problematiche di corruzione, di
debito, di violenza, di guerra civile. Ricordo un vescovo del Congo che diceva che
il nostro petrolio deve diventare “un combustibile per la vita, e non per la morte”.
Dunque, se il petrolio non rappresenta una fonte di benessere, ci sono buone ragioni
per pensare ad attività alternative a quella estrattiva. Benché per paesi come il
Congo Brazzaville, dove l’80% del budget nazionale dipende dal petrolio, non sia facile
rinunciare a questa fondamentale entrata, è tuttavia necessario riflettere sulla convenienza
di attività produttive alternative. Io penso che in molti luoghi i combustibili fossili
non costituiscano una benedizione per le popolazioni locali, ma siano al contrario
fonte di grandi difficoltà.