2009-09-21 17:07:20

Diritti umani in Africa. L'impegno della Commissione di Giustizia e Pace del Congo Brazzaville


Violenza e ingiustizia hanno caratterizzato la storia dell’Africa e continuano ancora oggi a dilaniare il continente. Da sempre impegnata con le Commissioni di Giustizia e Pace nelle crisi locali, a quindici anni dal primo Sinodo per l’Africa, la Chiesa torna a riflettere sul valore della riconciliazione, della giustizia e della pace, in occasione della seconda Assemblea dei Vescovi africani che si terrà in Vaticano dal 4 al 25 ottobre. Celebre esempio nella storia della testimonianza cattolica nel continente, la Commissione per la Verità e la Riconciliazione sudafricana presieduta nel 1999 dall’arcivescovo Desmond Tutu, ha consentito al Paese di chiudere moralmente con il dramma dell’apartheid e di rinascere all’insegna del perdono. Jean Aimé Brice Mackosso, della Commissione Giustizia e Pace del Congo Brazzaville, ha raccontato a Silvia Koch l’esperienza del suo Paese, ricco di risorse naturali ma afflitto dalla violenza, dalla corruzione e dallo sfruttamento delle multinazionali. Ascolta l'intervista in lingua originale francese: RealAudioMP3

D. - Quali attività svolge la Commissione di Giustizia e Pace in Congo Brazzaville?

R. - Noi lavoriamo sulla formazione dei cristiani, per diffondere una cultura di pace e di non violenza. Cerchiamo inoltre di fare pressione per una migliore gestione delle entrate economiche legate ai combustibili fossili. Il bilancio pubblico del Congo Brazzaville dipende in larga parte dal petrolio; per questo i vescovi nel 2002 hanno lanciato un appello affinché questa risorsa sia utilizzata per ridurre la povertà, nel paese. La Commissione di Giustizia e Pace si occupa inoltre della pastorale e dell’assistenza giuridica nelle prigioni. È impegnata poi con i ragazzi-schiavi, che dall’Africa Occidentale arrivano in Congo, dove lavorano come schiavi nei mercati. Infine, curiamo un corso di “Culture cristiane della pace” nelle scuole e altri programmi educativi in diverse strutture per la gioventù, ad esempio in quella di Kinkala dove si lavora sul reinserimento degli ex-bambini soldato. Ecco dunque i vari settori di intervento della Commissione di Giustizia e Pace, in Congo Brazzaville.

D. - Qual è il contesto nel quale lavorate?

R. - Sono condizioni molto difficili, perché in un Paese che ha conosciuto la guerra non è facile denunciare la corruzione, la cattiva utilizzazione delle finanze pubbliche. Soprattutto dal momento che dietro le attività criminali ci sono spesso le multinazionali, che anche in passato hanno peggiorato la situazione, in diverse occasioni. Dunque, diventa complicato pretendere che le risorse statali siano devolute alla battaglia contro la povertà.

D. - Quali sono i risultati concreti del lavoro sul campo della Commissione di Giustizia e Pace?

R. - Fornirò l’esempio di come si è evoluto il dibattito intorno alle materie prime. In passato i congolesi non ne erano al corrente, non sapevano che la nazione producesse petrolio. Chi si occupava di questi argomenti rischiava di essere arrestato; addirittura un detto popolare diceva: “Il petrolio uccide; colui che ne parla può morire”. Oggi invece la gente ne discute liberamente; gli intellettuali sono informati sulle problematiche e sui benefici legati all’attività estrattiva. I vescovi hanno avuto il merito di portare l’attenzione del dibattito pubblico su tali tematiche. Il petrolio non rappresenta più un “tabù”, e questo io credo sia una delle conquiste più importanti della Commissione di Giustizia e Pace.

D. - Esistono forme di collaborazione tra la Commissione di Giustizia e Pace congolese e il Pontificio Consiglio ‘Giustizia e Pace’?

R. - Tutte le Commissioni africane hanno delle relazioni con il Pontificio Consiglio. Innanzitutto noi inviamo periodicamente al Consiglio un rapporto sulle nostre attività. A livello di Africa Centrale, esiste un coordinamento delle Commissioni di Giustizia e Pace, la SERAC, che si riunisce ogni tre anni per fare una valutazione degli interventi effettuati nei diversi paesi. E il Pontificio Consiglio prende sempre parte ai lavori, nella figura del Cardinale responsabile o di un suo delegato. Per quanto riguarda il nostro Dicastero, posso dire che esiste davvero una collaborazione importante con il Consiglio.

D. - A suo avviso, ci sono degli aspetti da incrementare riguardo a questa collaborazione?

R. - Io credo che il Consiglio faccia già molto. Ad esempio ha realizzato studi settoriali su varie tematiche, tra cui il debito e la corruzione, che sono fondamentali per il nostro lavoro sul campo. Forse sarebbe importante un intervento più incisivo riguardo alla problematica dei combustibili. Possiamo dire che tutti i conflitti africani sono riconducibili, in una maniera o nell’altra, allo sfruttamento delle risorse, dal Sudan alla Repubblica Democratica del Congo, all’Angola…Anche in Congo Brazzaville, si dice che la guerra è stata causata dal petrolio, oppure che se alcune aree, dove si concentra l’attività estrattiva, non sono state devastate dalla violenza armata, è proprio grazie all’oro nero. Possiamo concludere, allora, che il petrolio rappresenta una fonte di male e bene al tempo stesso. Dunque, io ritengo importante che la Chiesa, con la sua autorevolezza universale, si pronunci al riguardo. Le indicazioni della Chiesa e un apposito studio del Pontificio Consiglio sarebbero fondamentali e molto ascoltate dal popolo di Dio.

D. - In alcuni paesi nei quali l’economia del petrolio ha sconvolto l’ecosistema naturale, la Nigeria ad esempio, ci si sta interrogando sulla possibilità di interrompere l’attività petrolifera, lasciare le risorse nel sottosuolo per avviare produzioni alternative ed ecosostenibili, nei siti estrattivi. Cosa pensate di questo tipo di progetti?

R. - Ci sono dei paesi che non possiedono petrolio in Africa, dunque è possibile vivere senza questa risorsa. In generale, nelle economie che non dipendono dallo sfruttamento delle risorse energetiche, si registra addirittura una crescita maggiore, rispetto alle economie petrolifere. Aggiungo che quasi ovunque il petrolio è legato a problematiche di corruzione, di debito, di violenza, di guerra civile. Ricordo un vescovo del Congo che diceva che il nostro petrolio deve diventare “un combustibile per la vita, e non per la morte”. Dunque, se il petrolio non rappresenta una fonte di benessere, ci sono buone ragioni per pensare ad attività alternative a quella estrattiva. Benché per paesi come il Congo Brazzaville, dove l’80% del budget nazionale dipende dal petrolio, non sia facile rinunciare a questa fondamentale entrata, è tuttavia necessario riflettere sulla convenienza di attività produttive alternative. Io penso che in molti luoghi i combustibili fossili non costituiscano una benedizione per le popolazioni locali, ma siano al contrario fonte di grandi difficoltà.








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