"Africa online, Africa offline". Le difficoltà di fare giornalismo sull'Africa
Educare le popolazioni alla pace e al perdono anche attraverso i media. L’Instrumentum
Laboris, documento che raccoglie le linee-guida del secondo Sinodo per l’Africa, che
si terrà in Vaticano dal 4 al 25 ottobre, invita a utilizzare le tecnologie dell’informazione
per veicolare i messaggi di evangelizzazione. A quindici anni dalla prima Assemblea
Speciale per l’Africa, i Vescovi africani tornano a riflettere sui temi della riconciliazione,
della giustizia, della pace e su altre problematiche del continente, spesso “dimenticate”
o trattate superficialmente dai giornali internazionali. Sui benefici legati alla
comunicazione mediatica e sulla difficoltà di fare giornalismo dall’Africa, Silvia
Koch ha intervistato Massimo Alberizzi, inviato in Africa per il Corriere
della Sera. Ascolta l'intervista:
D. - Quali
effetti positivi può portare la copertura mediatica in situazioni caratterizzate da
limitazioni gravi delle libertà individuali e collettive?
R. - Ci sono
regimi politici molto rigidi in Africa, nei quali l’opposizione non ha voce, la stampa
è pilotata e i reporter vengono frequentemente imprigionati. Il caso più eclatante
è l’Eritrea, ma il diritto di opinione viene continuamente violato anche in altri
paesi, come la Guinea Equatoriale, il Ciad, la Nigeria e il Sudan. Tuttavia, ritengo
necessario che si parli dei casi di violazione dei diritti umani in qualunque contesto
socio-politico, in modo che i politici e l’opinione pubblica siano informati. Diversamente,
tali regimi resteranno privilegiati dal punto di vista delle relazioni bilaterali
diplomatiche e finanziarie. È quanto avviene, ad esempio, fra l’Italia e l’Eritrea.
D.
- Quali limiti e difficoltà incontra un giornalista in Africa?
R. -
Il problema principale sono i costi che, specialmente in zone di conflitto, sono molto
alti. Ad esempio, per andare in Somalia, sulla “costa dei pirati”, oggi un operatore
straniero ha bisogno di circa mille dollari al giorno per la scorta, le automobili,
i traduttori... Per i giornalisti locali generalmente queste cifre si riducono, ma
incidono in misura addirittura maggiore sui bilanci finanziari delle redazioni, che
sono minimi. I costi restano alti anche in aree geografiche relativamente stabili,
non colpite da conflitto. È un limite che andrebbe abbattuto, perché questo continente
ha bisogno di notizie, di informazioni che circolino sia all’interno dei paesi sia
all’esterno, così da arrivare alle opinioni pubbliche mondiali.
D. -
Come giudica il livello di articolazione delle società civili africane, anche in relazione
alle scelte politiche adottate dai relativi governi?
R. - La società
civile africana è, in generale, molto più evoluta dell’establishment istituzionale.
Spesso le élites politiche sono limitate nelle scelte perché magari devono fare i
conti con eventuali guerriglie, oppure rispondere dei rapporti internazionali e delle
alleanze strategiche. Ad esempio in Kenya, in occasione delle contestazioni e delle
violenze generate dallo scrutinio del dicembre 2007, molta parte della società civile
si è schierata a difesa dei principi della democrazia. Diverse fazioni hanno invocato
la tutela delle garanzie costituzionali al di là delle divisioni etniche, che spesso
vengono strumentalizzate dalle leaderships per combattersi e per garantirsi il potere.
Questo dimostra che determinate espressioni della società africana sono attive, avanzate
e possono coinvolgere parte della popolazione, contribuendo, così, allo sviluppo sociale,
ideologico e democratico del continente.