2009-09-21 17:07:33

"Africa online, Africa offline". Le difficoltà di fare giornalismo sull'Africa


Educare le popolazioni alla pace e al perdono anche attraverso i media. L’Instrumentum Laboris, documento che raccoglie le linee-guida del secondo Sinodo per l’Africa, che si terrà in Vaticano dal 4 al 25 ottobre, invita a utilizzare le tecnologie dell’informazione per veicolare i messaggi di evangelizzazione. A quindici anni dalla prima Assemblea Speciale per l’Africa, i Vescovi africani tornano a riflettere sui temi della riconciliazione, della giustizia, della pace e su altre problematiche del continente, spesso “dimenticate” o trattate superficialmente dai giornali internazionali. Sui benefici legati alla comunicazione mediatica e sulla difficoltà di fare giornalismo dall’Africa, Silvia Koch ha intervistato Massimo Alberizzi, inviato in Africa per il Corriere della Sera. Ascolta l'intervista: RealAudioMP3

D. - Quali effetti positivi può portare la copertura mediatica in situazioni caratterizzate da limitazioni gravi delle libertà individuali e collettive?

R. - Ci sono regimi politici molto rigidi in Africa, nei quali l’opposizione non ha voce, la stampa è pilotata e i reporter vengono frequentemente imprigionati. Il caso più eclatante è l’Eritrea, ma il diritto di opinione viene continuamente violato anche in altri paesi, come la Guinea Equatoriale, il Ciad, la Nigeria e il Sudan. Tuttavia, ritengo necessario che si parli dei casi di violazione dei diritti umani in qualunque contesto socio-politico, in modo che i politici e l’opinione pubblica siano informati. Diversamente, tali regimi resteranno privilegiati dal punto di vista delle relazioni bilaterali diplomatiche e finanziarie. È quanto avviene, ad esempio, fra l’Italia e l’Eritrea.

D. - Quali limiti e difficoltà incontra un giornalista in Africa?

R. - Il problema principale sono i costi che, specialmente in zone di conflitto, sono molto alti. Ad esempio, per andare in Somalia, sulla “costa dei pirati”, oggi un operatore straniero ha bisogno di circa mille dollari al giorno per la scorta, le automobili, i traduttori... Per i giornalisti locali generalmente queste cifre si riducono, ma incidono in misura addirittura maggiore sui bilanci finanziari delle redazioni, che sono minimi. I costi restano alti anche in aree geografiche relativamente stabili, non colpite da conflitto. È un limite che andrebbe abbattuto, perché questo continente ha bisogno di notizie, di informazioni che circolino sia all’interno dei paesi sia all’esterno, così da arrivare alle opinioni pubbliche mondiali.

D. - Come giudica il livello di articolazione delle società civili africane, anche in relazione alle scelte politiche adottate dai relativi governi?

R. - La società civile africana è, in generale, molto più evoluta dell’establishment istituzionale. Spesso le élites politiche sono limitate nelle scelte perché magari devono fare i conti con eventuali guerriglie, oppure rispondere dei rapporti internazionali e delle alleanze strategiche. Ad esempio in Kenya, in occasione delle contestazioni e delle violenze generate dallo scrutinio del dicembre 2007, molta parte della società civile si è schierata a difesa dei principi della democrazia. Diverse fazioni hanno invocato la tutela delle garanzie costituzionali al di là delle divisioni etniche, che spesso vengono strumentalizzate dalle leaderships per combattersi e per garantirsi il potere. Questo dimostra che determinate espressioni della società africana sono attive, avanzate e possono coinvolgere parte della popolazione, contribuendo, così, allo sviluppo sociale, ideologico e democratico del continente.








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