Afghanistan. Dibattito sulla missione italiana dopo la strage di Kabul
Rientreranno domani mattina a Ciampino le salme dei sei paracadutisti della Folgore,
uccisi giovedì a Kabul. Lunedì, giorno di lutto nazionale, verranno celebrati i funerali
di Stato. Nei prossimi giorni saranno in Italia anche i quattro militari rimasti feriti.
Intanto la procura di Roma ha aperto un’inchiesta sulla strage e ordinato l’autopsia
sui corpi dei militari. Continua anche il dibattito politico sul futuro della missione
in Afghanistan. Il presidente della Repubblica Napolitano ribadisce: l’Italia manterrà
gli impegni internazionali. Il servizio di Cecilia Seppia:
Arriveranno
domani alle 9.30 le salme dei 6 paracadutisti della Folgore trucidati due giorni fa
a Kabul. Le bare avvolte nella bandiera tricolore saranno accolte all’aereoporto di
Ciampino dalle massime autorità dello Stato, poi la camera ardente, solo per i familiari
sarà allestita al Celio. Lunedì alle 11 i funerali di Stato presieduti da mons. Pelvi
ordinario militare, nella Basilica di San Paolo fuori le Mura a Roma, la stessa dove
6 anni fa vennero celebrate le esequie per i soldati caduti a Nassirya. Intanto da
Kabul arrivano ulteriori informazioni sulla dinamica dell’attacco: il kamikaze secondo
testimoni oculari avrebbe tallonato con la Toyota bianca i veicoli italiani, per poi
inserirsi tra i due e farsi saltare in aria, mentre subito dopo l’esplosione vi sarebbe
stata una sparatoria durata circa tre minuti. Il numero degli aggressori resta ancora
incerto, quattro forse cinque, appostati lungo la carreggiata, che hanno aperto il
fuoco contro i parà sopravvissuti. A più di 48 ore della strage intanto si amplia
il dibattito politico sulla missione in Afghanistan. Per il presidente Napolitano
non c’è nulla da rivedere. Semmai da rimotivare, ma nessun ripensamento. Il premier
Berlusconi rassicura gli Usa sull’impegno prioritario nel Paese, ma parla di transition
strategy, ossia caricare di maggiore responsabilità il governo afghano e al tempo
stesso diminuire gli organici delle truppe alleate. Mentre il ministro della Difesa
La Russa, precisa che le regole di ingaggio non cambieranno, che non esistono date
certe per il ritiro, se non quella che verrà stabilita da Onu e Nato. La maggioranza
resta comunque divisa, soprattutto dopo le parole del leader della Lega Bossi e il
suo richiamo alla fine della missione. L’opposizione dal canto suo chiede un confronto
urgente con il governo. In Afghanistan intanto resta la paura, secondo il portavoce
della Nato è allarme nella zona di Farah, dove gli insorti sarebbero pronti a colpire
altre basi militari.
L’attentato di giovedì dimostra
una volta di più quanto sia complessa la realtà politica e sociale dell’Afghanistan
e dà la misura delle difficoltà della missione internazionale iniziata 8 anni fa per
liberare il Paese dal potere dei Talebani. Emanuela Campanile ne ha parlato
con Valerio Pelizzari, giornalista ed esperto di Afghanistan:
R. – La prima
cosa che sembrano tutti dimenticare è che Kabul non è mai stata conquistata con una
battaglia, sottratta con una battaglia ai talebani. Kabul fu barattata dal vice ministro
degli Interni talebano, il Mullah Khaksar, con l’alleanza del nord che stava alla
periferia della città e premeva per entrare. L’accordo fu questo, e da lì comincia
l’equivoco. D. – Di fronte allora d uno scenario simile: andarsene
o rimanere?
R. - Andarsene non significa nulla perché
tra l’altro ecciterebbe ulteriormente quello che è lo spirito guerriero afghano e
credo anche che servirebbe a smontare questa ostilità e questa incomprensione ormai
diffusa nel Paese. Il punto è un altro: cosa fare per dare una svolta e dimostrare
che questi alleati occidentali sono in effetti più simili a degli amici che non a
delle truppe occupanti, come avviene oggi.
D. – Si
potrà ancora conquistare dunque il consenso della popolazione afghana?
R.
- Questo è il vero punto che non è solo politico e meno ancora militare ma è veramente
psicologico. L’Afghanistan non deve essere più la lavagna dove l’ultimo che arriva
cancella quello che c’è scritto e dice agli afghani: adesso vi dico io quello che
è importante per voi. Bisogna che finisca questo meccanismo.