Sri Lanka: timori della Chiesa per gli sfollati nei campi profughi
“Sono molto turbato dalla sofferenza delle persone nei campi di raccolta, in situazioni
di sovraffollamento e con inadeguati servizi medici e alimentari. La stagione dei
monsoni li colpirà presto e potrebbe avere effetti disastrosi su centinaia di migliaia
di persone bloccate lì. Anche durante le ultime piogge, alcune persone hanno perso
quei pochi beni che restavano loro”: così il vescovo di Sheffield, monsignor John
Rawsthorn, ha raccontato all'agenzia Misna cosa ha visto in uno dei campi per rifugiati
nello Sri Lanka, dove si è recato con il vescovo di Westminster, monsignor John Arnold.
I due presuli si sono uniti alla richiesta fatta nei giorni scorsi dall'arcivescovo
di Colombo Malcolm Ranjith, e dal vescovo di Jaffna, Thomas Sauvdraayagam, nel chiedere
il rientro a casa il più presto possibile dei 300.000 profughi tamil trattenuti nei
campi, in maggioranza nella Malik Farm nei pressi di Vavunyia. Le restrizioni all’accesso
nei campi e alla libertà dei rifugiati sono stati criticate da più fonti umanitarie
internazionali. Il governo di Colombo ha promesso il rilascio entro l’anno degli sfollati,
scampati all’ultima massiccia offensiva nei territori controllati dai ribelli; ma
a tre mesi dall’impegno preso sono ancora poche migliaia quelli che sono potuti rientrare.
Cause del ritardo sono sia le operazioni di sminamento non completate nelle ex-zone
di conflitto sia i controlli fatti sui civili alla ricerca di ex-combattenti o persone
coinvolte nella ribellione secessionista tamil. La Chiesa cattolica sta lavorando
con le autorità locali per trovare sistemazioni alternative in attesa del rientro,
hanno detto i vescovi accompagnati dai dirigenti dell’agenzia cattolica britannica
per gli aiuti internazionali, Cafod, che collabora con la Caritas Sri Lanka per aiutare
i profughi. Nonostante le promesse del governo - riferisce l'agenzia AsiaNews - i
profughi di alcuni villaggi nel distretto di Mannar, nel nord dell'isola, tornati
nelle terre che avevano abbandonato nel 2007 a causa degli scontri tra esercito e
Tigri tamil, hanno trovato case ancora diroccate, campi impraticabili e una presenza
massiccia dei militari. Mancano i servizi elementari e la situazione è talmente precaria
che in villaggi come Kokkupadayan gli ottanta bambini della locale scuola elementare
sono ancora costretti a studiare senza senza banchi e seggiole. Con la fine del trentennale
conflitto il governo di Colombo aveva lanciato il mega progetto Uthuru Wasanthaya
(il risveglio del nord). Era la promessa di una nuova vita per gli abitanti di una
delle aree più martoriate dalla guerra, ma nell’area, la popolazione vive una libertà
vigilata. Ai pescatori è concesso di uscire in mare solo dalle 6 di mattina alle 6
di sera. “I 4mila acri di terra che coltivavamo prima di fuggire - spiega un contadino
- ora sono sotto il controllo dei militari”. Padre Seemanpillai Jayabalan, parroco
di Aripputhurai, afferma: “Viviamo come in una prigione a cielo aperto senza nessuna
speranza di sviluppo per la popolazione. La gente ha perso le sue proprietà e molte
case non sono riparabili”. Le Ong non possono accedere alla zona, “ogni aiuto - spiega
il sacerdote - deve passare attraverso la Rehabilitation Task Force del governo”.
(R.P.)