Presentato a Roma il libro "Paolo VI, l'audacia di un Papa" di Andrea Tornielli
E' stato presentato ieri il volume "Paolo VI, l'audacia di un Papa" del vaticanista
Andrea Tornielli. All'incontro, che si è svolto all'Ambasciata d'Italia presso la
Santa Sede, sono intervenuti il cardinale Attilio Nicora, il sottosegretario Gianni
Letta e il prof. Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant'Egidio. Il volume,
attraverso documenti inediti e testimonianze di collaboratori di Papa Montini, ne
ricostruisce il percorso umano e le tappe del Pontificato. Rosario Tronnolone
ha chiesto ad Andrea Tornielli perché nel titolo del libro abbia voluto sottolineare
l'aspetto dell’audacia di Paolo VI:
R.
– Perché Paolo VI è stato un grande Papa riformatore che durante il Pontificato ha
applicato delle sensibilità – anche liturgiche – ed una visione della Chiesa che aveva
accumulato in lunghi anni di servizio, prima nella sua formazione bresciana e poi
negli anni di servizio nella Fuci e poi accanto ai Papi Pio XI e Pio XII. Io ho sottolineato
l’aspetto dell’audacia perché è stato il Papa che ha riformato la Chiesa e soprattutto
che è riuscito a condurre in porto un’impresa titanica e difficilissima, cioè quella
del Concilio. Averla portata in porto avendo praticamente i documenti votati all’unanimità
oserei definirlo quasi un miracolo. E questo miracolo lo si deve a Paolo VI.
D.
– Buona parte del libro è dedicata anche agli anni precedenti al Papato, quindi alla
sua vita sacerdotale e di vescovo. Perché ha scelto di dedicare tanto spazio anche
a quest’aspetto?
R. – Perché credo che una biografia
di un Papa dev’essere per metà del Papa che non è ancora Papa, per cercare di capire
poi cosa farà da Papa. Da questo punto di vista, gli anni della formazione bresciana
e la sua formazione da seminarista un po’ atipico – perché per problemi di salute
non può stare in seminario – e poi l’amicizia con padre Bevilacqua, la vicinanza al
movimento liturgico, gli anni della Fuci e gli anni romani, contribuiscono a creare
una chiave di lettura che permette di capire il Pontificato. Per cui, secondo me,
non è importante ma è fondamentale la parte precedente al Pontificato perché senza
quella non capiremmo il Pontificato. Un Pontificato di grandi gesti simbolici: dall'abbraccio
con Atenagora alla decisione di togliere il triregno, ai viaggi internazionali che
inaugurano una nuova stagione. E’ il primo Papa che viaggia.
D.
– Lei ha citato diversi testi di Paolo VI, sia quelli di carattere più meditativo
e personale, sia quelli relativi al Magistero. Mi sembra che in questo modo esca fuori
del Papa non soltanto la circostanza storica nella quale opera, ma anche l’ansia religiosa
e spirituale che lo ha mosso costantemente…
R. –
Certamente. Era un Papa che aveva una grande capacità d’empatia: soffriva con le persone,
non poteva rimanere indifferente agli avvenimenti e alle questioni. E’ un Papa che
ha sofferto molto ed è un Papa che ha sempre avuto come ansia principale quella dell’evangelizzazione.
Per lui la Chiesa era missione, doveva annunciare Gesù Cristo a mondi che erano ormai
diventati impermeabili all’annuncio cristiano. Tutto Paolo VI, dalla riforma liturgica
alla grande enciclica sul dialogo, ai suoi viaggi, è tutto finalizzato a rendere nuovamente
presente, comprensibile il messaggio cristiano nei confronti di mondi o che non l’hanno
ancora conosciuto o che invece ne erano diventati in qualche modo impermeabili per
la secolarizzazione che era già cominciata in quegli anni.
D.
– Di recente Papa Benedetto XVI ha citato la “Populorum progressio”. In che cosa consiste
l’attualità di quell’enciclica?
R. – Consiste nel
mostrare quasi la grande radice spirituale del progresso dei popoli e la necessità
di un approccio approfondito al tema della giustizia sociale. E’ un’enciclica profetica,
molto legata a quel momento storico, che era anche di un certo tipo di ottimismo nei
confronti della possibilità di sviluppo. Se però leggiamo certe pagine della “Populorum
progressio”, vediamo che sono di una straordinaria attualità anche oggi. Allora erano
profetiche, oggi sono straordinariamente attuali perché il Papa spiegava che il progresso
non può essere soltanto di alcuni popoli a scapito degli altri, ma leggeva proprio
nell’interdipendenza tra i popoli il fatto che la sorte di uno è legata a quella dell’altro.
Per cui dobbiamo guardare ai popoli della fame che interpellano i popoli dell’opulenza.
D.
– Qual è secondo lei l’eredità che oggi Paolo VI lascia alla Chiesa?
R.
– Credo che lasci una grande eredità in questa profonda fedeltà alla tradizione e
al tempo stesso nella totale apertura di cuore, d’iniziative per far sì che questa
tradizione sia annunciata, sia viva e colpisca di nuovo il cuore umano. A me ha molto
stupito il fatto che sempre Paolo VI, quando ha visto messo in gioco l’essenziale
di fede – soprattutto negli anni della crisi post-concilio – è intervenuto con mano
ferma. Da questo punto di vista è stato esemplare nel tenere dritta la barra del timone
della Chiesa e, al tempo stesso, questo, unito a un grande slancio di dialogo verso
tutte le categorie di uomini. Certo, ha molto sofferto perché non ha potuto vedere
i frutti di questo straordinario lavoro. I frutti sono quelli che hanno potuto raccogliere
i suoi successori.