La testimonianza di Clara Rojas, ex ostaggio delle Farc in Colombia
Prigioniera. E’ il titolo del libro di Clara Rojas, l’avvocatessa colombiana rapita
nel febbraio 2002 dalle Farc, le Forze armate rivoluzionarie della Colombia, e rilasciata
sei anni dopo, nel gennaio 2008. Sequestrata assieme ad Ingrid Betancourt, Clara
Rojas è tornata in libertà qualche mese prima dell’ex candidata presidenziale
dei Verdi. Adesso nel libro, appena pubblicato in Italia da Cairo Editore, la Rojas
racconta al mondo la drammatica esperienza nella giungla colombiana. Di quel trascorrere
lento del tempo, la donna non ha dimenticato nulla, soprattutto perché durante la
prigionia ha partorito un figlio. Un libro che vuole essere un passo verso il futuro,
senza lasciarsi alle spalle quei giorni in cui a volte l’unico contatto col resto
del mondo era una piccola radio, dalla quale Clara è riuscita ad ascoltare non solo
la voce di sua madre ma anche la Radio Vaticana. Al microfono di Giada Aquilino,
parla dei suoi anni da prigioniera delle Farc e dice: “credo di non essermi mai abituata
a vivere priva di libertà”.
R. – Realmente
es un bien supremo... La libertà è il bene supremo, è un qualcosa d’intangibile,
è un valore fondamentale nella vita di ogni persona: l’apprezzo soprattutto ora che
l’ho ritrovata. La libertà è fatta anche di cose semplici, come poter scegliere tra
una cosa ed un’altra.
D. – Lei è stata sei anni nelle
mani delle Farc, a contatto con un mondo che noi non possiamo nemmeno immaginare.
Ha parlato di guerriglieri abituati a fare la guerra fin da bambini, di donne soldato
che le hanno fatto anche da infermiere quando ne ha avuto bisogno, di capi guerriglieri
senza scrupoli. Che mondo è?
R. – Un grupo en general
aislado... E’ un gruppo isolato, ben organizzato, ma che purtroppo si dedica
ad attività delinquenziali. Proprio perché questi guerriglieri vivono così isolati
pensano di potersela cavare, vivendo senza Dio. Per questo commettono crimini efferati,
come il sequestro di persona. Sono giovani che magari non hanno mai conosciuto un’alternativa,
che non sono consapevoli di altre possibilità e per questo usano il loro libero arbitrio
per fare danno. Il libero arbitrio va sempre accompagnato da una forma di responsabilità.
D.
– Vista questa situazione così radicata, lei pensa che nel futuro della Colombia le
Farc ci saranno ancora?
R. – Yo creo que en algún
momento... Penso che prima o poi arriverà un momento in cui la situazione
cambierà, forse perché ho una visione sempre positiva ed ottimista del futuro. Magari
ci sarà un cambiamento, anche se non so in quale momento decideranno di abbandonare
le armi e di passare a condurre un’esistenza come la nostra. Ritengo che sarà importante
lanciare un ponte perché possano inserirsi nella vita sociale.
D.
– Si dice che il presidente Uribe punti ad un terzo mandato. Cosa ne pensa?
R.
– Pues digamos que hay dos sentimientos… Come prima impressione ho due sentimenti.
Il presidente gode senz’altro di un grandissimo appoggio ed ha dato anche prova di
grande leadership negli anni del suo mandato. C’è però un secondo aspetto, che è quello
della democrazia. La democrazia comporta l’alternanza al potere e quindi mi piacerebbe
vedere una varietà di candidati, perché penso sia sano un cambiamento di potere. E’
appunto questo cambiamento a garantire il processo democratico.
D.
– Torniamo alla sua prigionia, col lento passare del tempo. C’è un’immagine, c’è un
momento che ricorda particolarmente?
R. – El paso
del tiempo es muy dificil... Sì. Il passare del tempo così lento si sente
moltissimo in un posto tanto isolato, senza risorse. Le ore si fanno pesanti, proprio
perché non c’è modo di riempirle. Il momento più doloroso è stato quello della separazione
da mio figlio: mi ha lasciato addosso un vuoto ed una malinconia davvero profondi.
E’ stata la fede a darmi grande speranza e a permettermi di sopravvivere.
D.
– Parliamo di suo figlio, Emmanuel. Quando lo aspettava, si raccomandò a Dio. Lei
ha scritto: “Io voglio vivere, metto nelle Tue mani la vita del mio bambino e la mia”.
Quanto l’ha aiutata la fede?
R. – Yo creo que casi
al ciento por ciento... Quasi il 100 per cento, direi. Il fatto che io ne
sia uscita viva e che poi sia riuscita a ritrovare mio figlio è stato veramente un
miracolo. E’ stata la fede a darmi la speranza di poter ritrovare il mio bambino.
D.
– Racconta che lì, nella foresta colombiana, era riuscita ad avere una radiolina.
Ed ha così potuto sentire la voce di sua mamma, ma anche la notizia della morte di
Papa Giovanni Paolo II. Quando poi è stata liberata ha letto un libro di Benedetto
XVI. Sono quasi delle tappe nella sua vita…
R. –
Pues, mire... Il fatto di sentire la voce di mia madre lì, nella foresta,
mi ha dato veramente una grandissima forza. Sentivo poi la voce del Papa recitare
il Rosario in latino, perché nella selva arrivano soltanto le onde corte e quindi
riuscivo a sentire la Radio Vaticana, la mattina molto presto. Quando mi svegliavo,
alle 5, mi sintonizzavo sulla radio. Ascoltavo anche la Radio Catolica Mundial. Sentivo
le preghiere e a volte le notizie del Vaticano. Era molto interessante. Anche questo
mi ha dato un’enorme energia. Poi, un giorno, ho sentito la notizia della morte di
Giovanni Paolo II. Mi ha provocato un immenso dolore, come se avessi perso una persona
di famiglia, anche perché era una figura molto carismatica. Sono poi venuta a conoscenza
del fatto che era stato eletto un nuovo Papa e volevo sapere chi fosse. Una volta
liberata mi hanno regalato tanti libri di Benedetto XVI ed ho letto quello sulla preghiera
e la vita di Gesù. All’Udienza generale, mercoledì scorso, ho ricevuto la sua benedizione
ed ho anche avuto l’occasione di ringraziarlo per quello che ha fatto per i prigionieri,
per i sequestrati e per tutte le persone che erano e sono nel mio stesso stato. Ho
chiesto di continuare a pregare per loro, perché la figura del Papa e quello che il
Pontefice può fare è molto importante per la liberazione delle persone sequestrate.
Alla fine di quest’udienza c’erano tantissime persone e, dopo il saluto ai vescovi,
mi è stato permesso di avvicinarmi a lui e di potergli parlare. E’ stato estremamente
stimolante, penso che siano momenti molto significativi nella vita di un credente:
vedere tutto il suo interesse – un interesse rivolto non soltanto ai sequestrati,
ma anche a tutta la Colombia – ti fa sentire come sia veramente vicino al popolo,
agli uomini.