2009-09-09 14:46:56

Iraq: continua l'esodo dei cristiani


E’ sempre drammatica la situazione delle comunità cristiane in Iraq. La recente guerra ha ridotto le presenze da 800 mila a poco più di 500 mila. Per costoro continua la fuga dalle violenze quotidiane, da parte di gruppi delle altre etnie, all’estero o nel nord del Paese del Golfo nel tentativo di ricreare una situazione di pacifica stabilità. Ma anche questo tentativo sta creando nuovi atti di violenza e di intimidazione. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Camille Eid, esperto di Medio Oriente del quotidiano Avvenire:RealAudioMP3

R. – Gli ultimi dati statistici parlano di circa metà dei cristiani iracheni che sono già all’estero, in Europa e in America, ma anche in Paesi circostanti come la Siria, il Libano, la Giordania, in attesa di trasferirsi in America o nel nostro continente. L’altra metà, invece, è soprattutto concentrata nella zona della piana di Ninive, vicino a Mossul. Questa concentrazione porta alcuni cristiani a meditare addirittura la creazione di una zona autonoma sull’esempio di quella che vediamo nel nord dell’Iraq come zona autonoma curda. Alla fine i cristiani si troveranno tra l’incudine e il martello, perché la loro zona si trova proprio sul confine tra la zona curda e la zona che potrebbe diventare lo Stato sunnita. Per questo motivo le autorità ecclesiastiche irachene ritengono che sia pericolosa anche dal punto di vista strategico, perché non è vivibile una zona autonoma, e soprattutto ribadiscono il fatto che i cristiani hanno sempre convissuto con curdi, sciiti, sunniti, turkmeni e con tutte le altre confessioni ed etnie irachene. Si chiedono perché mai debbano accontentarsi di un ghetto. Considerano questa ghettizzazione dei cristiani solamente una tappa verso la loro espulsione completa e definitiva dall’Iraq, un Paese in cui vivono da due millenni.

 
D. – La presenza cristiana è stata ridimensionata anche dal punto di vista politico nei Parlamenti iracheni. Che cosa provoca la mancanza cristiana negli ambienti decisionali dell’Iraq?

 
R. – Provoca anzitutto amarezza perché i cristiani hanno sempre partecipato ai diversi governi. Effettivamente poi la diminuzione del ruolo politico dei cristiani porta ad una rinuncia del ruolo sociale della comunità cristiana; questo ovviamente favorisce solo le emigrazioni.

 
D. - C’è il rischio che il dramma dei cristiani in Iraq venga dimenticato di fronte al dramma altrettanto grande che sta vivendo tuttora il Paese del Golfo?

 
R. – Purtroppo sì. Esiste certamente questo rischio, eppure noi sappiamo che la presenza cristiana in Medio Oriente è sempre stata un seme di pace tra differenti comunità. Gli iracheni sunniti, sciiti e curdi non si rendono conto che eliminare la presenza cristiana vuol dire anche eliminare ogni possibilità di convivenza tra loro stessi.







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