Il Cec condanna la violenza sulle donne in Congo e la legge sulla blasfemia in Pakistan
Basta alla violenza sulle donne nella Repubblica democratica del Congo. Da Ginevra
l’assemblea del comitato centrale del Consiglio ecumenico delle Chiese (Cec) ha condannato
duramente i soprusi continui sulle donne congolesi e ha invitato le Chiese che ne
fanno parte a fare pubblicamente lo stesso. “Nella Repubblica Democratica del Congo
- si legge nel documento conclusivo del Cec, ripreso dall’Osservatore Romano - i crimini
brutali di violenza sessuale nei confronti delle donne sono aumentati considerevolmente
e sono diventati onnipresenti in tutto il Paese, in particolare dall’inizio delle
operazioni militari dello scorso gennaio”. Sono migliaia le donne e le ragazze che
sono state stuprate, trasformate in schiave sessuali e costrette ad arruolarsi nell'esercito.
Nella regione del Sud Kivu, in particolare, le violenze sessuali sono in continuo
aumento. Dal 1996 a oggi, secondo l’Onu, nella Repubblica Democratica del Congo sono
state violentate almeno duecentomila donne. Il comitato centrale ha esortato tutte
le parti coinvolte nel confitto ad abbandonare le armi e a porre immediatamente fine
al massacro e agli atti di violenza. In più il Cec ha chiesto al governo congolese
di mettere fine all’impunità per gli stupri e di elaborare una strategia efficace
di lotta alla violenza sessuale, assicurando gli autori dei crimini alla giustizia.
Il comitato si è occupato anche della legge sulla blasfemia in vigore in Pakistan,
principale causa degli attacchi e delle persecuzioni nei confronti della minoranza
cristiana pachistana, criticandone l’abuso. Secondo il Consiglio questa legge è “diventata
una delle principali fonti di vittimizzazione e di persecuzione delle minoranze religiose
costrette a vivere in uno stato di paura e di terrore”: dal 1988 al 2005 circa seicentocinquanta
persone sono state accusate di aver violato la legge sulla blasfemia, e negli ultimi
tre anni le accuse sono aumentate. Il Consiglio ecumenico delle Chiese ha chiesto
al governo di Islamabad l’abrogazione della legge. (V.F.)