Al Festival del Cinema di Venezia il film "Via della Croce" di Serena Nono
Quando l’arte incontra la carità e la fede. Alla 66.ma Mostra del Cinema in corso
a Venezia, un momento di grande intensità si è vissuto con la proiezione di "Via della
Croce", nel qualegli ospiti della Casa dell’Ospitalità di Sant’Alvise a Venezia
diventano i protagonisti di una Via Crucis cinematografica realizzata dalla regista
veneziana, Serena Nono. Il servizio di Luca Pellegrini.
La Casa
dell’Ospitalità si trova a Canareggio. Accoglie ventidue ospiti dalle fedi e nazionalità
diverse. Hanno in comune l’abbandono, la solitudine, il senso perduto della vita.
Serena Nono, regista, pittrice e scultrice, ama Venezia, è attenta
ai poveri, legge il Vangelo, conosce la musica, è figlia di Luigi, le cui musiche
ha utilizzato nel film. Ha portato quei poveri, che di Gesù sono stati i compagni
di strada, nelle calli e nei campi della città, li ha vestiti di poche cose, li ha
fatti recitare la Passione, intercalando la lettura di brani del Vangelo di Giovanni
e Matteo e le loro testimonianze di vita. Li ha posti davanti alla telecamera e li
ha filmati così, in una sorta di neorealismo evangelico. Il processo con Pilato è
nel Campo del SS. Salvatore, la flagellazione dinanzi a una chiesa, spesso l’acqua
fa da sfondo. I temi del giudizio, dell’umiliazione, della solitudine, della morte
e della Risurrezione sono resi attuali da chi nella vita li ha subiti e meditati e
chi, sullo schermo, li recita, trovando forse così un senso nuovo per la propria esistenza.
Incontrando la regista, le abbiamo chiesto quali sono le ragioni di questa scelta
artistica:
“Ho conosciuto gli ospiti della Casa dell’Ospitalità.
In quest’ambiente, che accoglie le persone senza tetto e senza fissa dimora, ho trovato
un’umanità talmente carica e forte, una forza di accoglienza ed anche una saggezza
in queste persone che mi ha fatto venire l’idea di mettere in scena la Passione e
di rappresentare queste stazioni della Croce frapponendole alle loro Vie Crucis personali.
Si tratta di persone dalle provenienze più svariate, che hanno delle storie molto
travagliate e particolari. Quello che soprattutto m’interessava condividere, e che
ho riconosciuto nella loro comunità, è stata quest’enorme umanità e capacità d’accoglienza
- che è poi quello che predicava Gesù“.
Nerio
Comisso, direttore della Casa dell’Ospitalità, che nel film si è ritagliato
giustamente la parte del Cireneo, trova ci sia una forte lettura simbolica in questa
Via Crucis cinematografica:
“C'è la sofferenza dell’uomo,
il disinteresse e l’abbandono che l’uomo opera nei confronti del più povero, che spesso
è quello che ti è più vicino. C’è però anche un atto di fede nella Risurrezione: si
può risorgere da queste sconfitte. L’identificazione della nostra vita con la Passione
di Cristo e con la Sua Risurrezione”.