2009-08-24 15:37:56

Lo scacchiere geopolitico dell'est europeo a 20 anni dagli sconvolgimenti del 1989. L'opinione di Fabrizio Dragosei


Polonia, Ungheria, Ucraina: sono molti i paesi dell’ex blocco sovietico che celebrano in questi giorni la ritrovata indipendenza e libertà dall’oppressivo regime comunista di Mosca. In molti casi, questi processi politici trovarono il loro apice esattamente 20 anni fa in seguito agli avvenimenti che nel 1989 sconvolsero molti regimi dell’Europa orientale. Un percorso storico-politico che durò diversi anni, ma che nell’era gorbatcheviana trovarono il loro punto di partenza e per molti versi cambiarono il corso della storia d’Europa. Stefano Leszczynski ha intervistato Fabrizio Dragosei, corrispondente del Corriere della Sera:RealAudioMP3

R. - L’’89 segnò una grande accelerazione al processo che Mikail Gorbaciov aveva avviato da quando era diventato segretario generale del Pcus, a metà degli anni ’90, per trasformare il regime comunista. Ricordiamoci che il suo intento non era quello di portare l’Urss e l’impero sovietico alla democrazia, ma quello di razionalizzare, di farlo funzionare meglio, e di renderlo anche più umano. A questo servivano la “perestrojka” e la “glasnost”. Quindi, l’’89 da un lato segna la libertà che prorompe e che non è più contenibile e dall’altra il fallimento del disegno gorbacioviano di trasformare lentamente e con prudenza il sistema comunista per mantenerlo in vita.

 
D. - Molti dei Paesi che hanno ritrovato la libertà e l’indipendenza nel corso di questo ventennio, tuttavia non sono riusciti a trovare una stabilità in tutti questi anni. Come mai?

 
R. - Io penso che, intanto, questo sia dovuto fondamentalmente ad un’idea sbagliata di ciò che poteva essere la democrazia ed era il capitalismo secondo quelli che vivevano nei Paesi dell’est. Il passaggio dal sistema comunista, dirigistico, da un sistema guidato dall’alto ad un sistema capitalistico, come sappiamo, non aveva precedenti nella storia. Fu difficilissimo.

 
D. - Per quanto riguarda i nuovi sistemi politici che emergono da questo sconvolgimento politico nell’Europa orientale, nell’ex Unione Sovietica, si ha l’impressione che molti Stati cercarono di passare dall’essere satelliti sovietici o ex sovietici ad essere satelliti nel blocco occidentale. C’è stata insomma una situazione di satelliti "migranti", per così dire...

 
R. - Assolutamente sì, e questo processo è legato a quello che dicevamo prima del mito dell’Occidente, per cui all’inizio soprattutto si pensava che tutto ciò che veniva dall’Occidente fosse buono. C’è stato un movimento a pendolo. In un primo momento, questi Paesi si sono avvicinati immediatamente molto all’Occidente e poi si sono nuovamente allontanati, quando hanno visto che la trasformazione era dolorosa, tanto che in diversi Paesi sono tornati al potere i comunisti, una cosa che a priori sarebbe sembrata assolutamente impossibile e inspiegabile. Adesso, quello che si è verificato negli ultimissimi anni, da quando Putin ha preso il potere in Russia, è stato invece un nuovo avvicinamento all’Occidente di tutti questi Paesi, perché è rinata la paura dell’”Orso Russo”. Con il pericolo che la Russia ridiventi di nuovo forte e che imponga il suo volere su Paesi abbastanza deboli, ecco che vediamo Ucraina, Georgia e tanti altri Stati riavvicinarsi moltissimo alla Nato, all’Unione Europea: vogliono, cercano protezione da questa parte.

 
D. - E’ un processo non finito ancora quello in Europa orientale?

 
R. - E’ un processo non finito assolutamente, perché sono Paesi ancora estremamente instabili. Ed è un processo che è molto legato, secondo me, all’evoluzione che avrà Mosca, perché da quello potrà dipendere una futura collaborazione tra Mosca e Washington sulla gestione di tutta questa area, che inevitabilmente è di interesse comune. E da questo potrà anche dipendere il futuro della gestione di un’altra area fondamentale, l’Asia centrale, dalla quale dipendiamo tutti per l’energia.







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