Giornata internazionale del ricordo della tratta negriera e della sua abolizione
Era la notte tra il 22 e il 23 agosto 1791: gli schiavi africani organizzavano un’insurrezione
a Santo Domingo dando inizio al lungo processo di abolizione della tratta transatlantica.
Sono trascorsi più di 200 anni da quell’evento e ancora oggi 175 milioni di persone
ogni anno sono vendute, costrette al lavoro forzato o alla prostituzione. Sulla Giornata
internazionale del ricordo della tratta negriera e della sua abolizione sotto l’egida
dell’Onu e dell’Unesco, ascoltiamo al microfono di Mariella Pugliesi, padre
Giulio Albanese, esperto di Africa:
R. – Questo
fenomeno, quello della tratta di tanta umanità dolente, è di grande attualità. Per
certi versi sono cambiate le forme, ma di fatto c’è ancora un vero e proprio schiavismo
nell’animo dei negrieri, di questi personaggi che in una maniera o nell’altra speculano
sulle sofferenze altrui. Basti pensare al fenomeno migratorio, al fatto che ancora
oggi c’è tanta gente che proprio per sopravvivere è costretta addirittura a prostituirsi,
è costretta a vivere in condizioni subumane, a pagare cifre altissime. Poi, il fenomeno
riguarda anche i giovani, i minori: pensiamo all’utilizzo dei baby-soldiers, dei bambini
soldato …
D. – Le donne e i bambini sono le maggiori
vittime, quindi …
R. – Non v’è dubbio! Sono quelle
che, per certi versi, vengono maggiormente penalizzate. C’è da rilevare che in alcuni
contesti sociali vengono praticate forme di sudditanza a livello sociale per cui la
donna ancora oggi è emarginata e vive di fatto in una condizione di sottomissione
che per certi versi ha a che fare con la schiavitù: una schiavitù nella ferialità
della vita che è in flagrante violazione dei diritti umani.
D.
– Nonostante la promulgazione di leggi e convenzioni internazionali, di fatto il traffico
degli esseri umani non è mai scomparso dalla storia dell’umanità. Vi è una mancanza
di volontà di alcuni Stati nel discutere il dramma in corso?
R.
– Certo che c’è! C’è mancanza di volontà politica! Ma purtroppo gli aspetti economici,
i risvolti del cosiddetto business prendono sempre il sopravvento, perché non dimentichiamo
che la matrice della schiavitù, tornando indietro con la moviola della storia, ma
anche in tempi più recenti, è comunque legata sempre all’aspetto mercantile.
D.
– Cosa possiamo fare noi, cittadini e cristiani, per combattere questo fenomeno?
R.
– Innanzitutto, promuovere la società civile: è uno dei compiti che stanno svolgendo
egregiamente tante comunità cristiane nel Sud del mondo, particolarmente in Africa,
a significare che il diritto-dovere di cittadinanza è fondamentale; per certi versi
è parte integrante dell’evangelizzazione, nel momento in cui affermiamo che l’uomo
e la donna sono stati creati a immagine e somiglianza di Dio. Detto questo, l’informazione,
il dare voce a chi non ha voce, gioca un ruolo non indifferente soprattutto qui da
noi. Mi viene in mente quello che diceva uno dei grandi che ha segnato davvero la
storia contro ogni forma di schiavitù e di apartheid: il grande Martin Luther King.
Affermava: “Non bisogna tanto avere paura delle parole dei malvagi, dei cattivi, dei
satrapi, dei prepotenti, quanto piuttosto preoccuparci del silenzio degli onesti”.
In questo senso, credo che ognuno di noi debba fare il proprio esame di coscienza.