2009-08-20 15:04:27

La situazione delle carceri italiane: intervista col cappellano di Rebibbia


Sembrano rientrate le proteste che i detenuti di diverse carceri italiane avevano inscenato nei giorni scorsi a causa delle difficili condizioni di vita all’interno delle celle, aggravate dal gran caldo e da un cronico sovraffollamento. A richiamare l’attenzione della politica e dell’opinione pubblica sulla questione anche l’iniziativa “Ferragosto in carcere” che ha visto quasi 200 deputati e senatori in visita in 175 istituti di pena e che ha confermato l’attuale stato di emergenza. “La civiltà di una nazione si misura anche dalla dignità della pena detentiva”, ricorda in un’intervista all’Osservatore Romano del 20 agosto, mons. Giorgio Caniato, ispettore generale dei cappellani carcerari. Adriana Masotti ha sentito don Piersandro Spriano, cappellano al Rebibbia di Roma.RealAudioMP3

R. – Sì, e purtroppo ce ne ricordiamo d’estate, ma la situazione è grave da molto tempo: non grave solo rispetto ai numeri, è grave perché non si prendono decisioni di nessun tipo rispetto alla vita quotidiana ordinaria di queste 64 mila persone. Per cui, si fa finta che non esistano e allora non ci sono i soldi per fare nulla, mancano gli operatori per fare qualche attività di recupero …

 
D. – Si parla tanto, da mesi, ormai, di sicurezza. Ecco, queste condizioni difficili di vita dentro il carcere mi pare contraddicano questa ricerca di sicurezza …

 
R. – “Sicurezza” mi sembra che attualmente significhi mettere il più possibile persone in carcere, tutte quelle che in qualche modo danno fastidio alla società libera. Per cui si sono penalizzate cose che non erano reati prima … Questa non è – dal mio punto di vista – “sicurezza”, se non apparente, perché queste persone poi – perché non ci sono i mezzi, non ci sono le risorse umane – non vengono assolutamente aiutate a ripensare al loro passato e a poter tornare in società! Nessuno si chiede “come” tornano: questa è una falsa “sicurezza”!

 
D. – Nei giorni scorsi, il ministro della Giustizia Alfano ha annunciato un nuovo piano-carceri entro il 15 settembre, e ha chiesto all’Unione Europea fondi per la costruzione di nuovi edifici: una delle misure che potrebbero contrastare questo sovraffollamento, questa vita difficile?

 
R. – Io credo che sia anche questa una misura che non contrasta nulla: per costruire carceri, lo sappiamo tutti, ci vogliono anni e anni; ne abbiamo già costruiti e sono lì, come monumenti inutili, perché poi non ci sono i soldi per riempire le carceri delle strutture necessarie, per riempire le carceri di personale di custodia, di operatori dei trattamenti, eccetera … E quindi, se non si mette mano al Codice penale, alla depenalizzazione dei reati, a non immaginare che tutto debba essere semplicemente “punito” con il carcere, io credo che potremmo costruirne 100 all’anno e non risolveremmo il problema!

 
D. – A proposito di “misure” e di “mettere mano” …

 
R. – Parlavo del Codice penale, per il quale in questi anni si sono fatte mille commissioni ma non si è mai arrivati ad una riforma; parlo del fatto di praticare delle misure alternative che invece diventano sempre più strette: pensi che su Roma abbiamo circa 2.500 detenuti e ne abbiamo 50 in semi-libertà; e poi più del 50% dei detenuti non sono ancora condannati in maniera definitiva, non dovrebbero stare nemmeno in carcere, però stanno lì …

 
D. – A lei, come sacerdote e cappellano in carcere, e agli altri cappellani, cosa chiedono i detenuti quando andate a fare loro visita?

 
R. – La maggior parte dei detenuti attualmente sono in una situazione di apatia perché capiscono che non si vuole andare da nessuna parte se non detenerli e basta. A Rebibbia, si stanno comportando in maniera dignitosa, perché a fronte di innumerevoli privazioni, la vita dentro – nonostante questi numeri esagerati – è una vita accettabile. Non ci sono risse, litigi eccetera. Si chiede che non si pensi a “sicurezza uguale carcere”. E poi, io chiederei a noi cittadini liberi, e poi a noi cristiani, di provare ad aprire la nostra mentalità per accogliere queste persone nel momento in cui – per esempio – escono. La gran parte di quelli che escono automaticamente sono pressoché costretti a tornare in carcere perché non trovano più alcun tipo di accoglienza da parte di nessuno.

 
D. – Vista la presenza di tanti stranieri, quindi anche musulmani, lei sa se c’è nel carcere la presenza di guide spirituali, di assistenti anche di altre religioni, oltre che per i cattolici?

 
R. – Sì, sì: ci sono! Per i cristiani protestanti, per i cristiani ortodossi, per i Testimoni di Geova … Per i musulmani, li aiutiamo noi – cristiani cattolici – a vivere il loro Ramadan, che tra l’altro incomincerà tra qualche giorno, a far la festa finale. In genere, in quell’occasione riusciamo anche ad invitare un Imam che possa far la preghiera. Però, ufficialmente, non avendo i musulmani ministri del culto, non c’è nessuna assistenza per loro, ciascuno prega individualmente.







All the contents on this site are copyrighted ©.