2009-08-19 15:12:53

Prima Giornata mondiale umanitaria


La comunità internazionale si confronta con nuove minacce: cambiamenti climatici, povertà cronica, crisi finanziaria e alimentare, penuria di acqua e energie, migrazioni. E' quanto si legge nel messaggio dell'Onu per la prima “Giornata mondiale umanitaria”, che si celebra oggi. In omaggio a tutti gli operatori e ai membri delle Nazioni Unite che hanno perso la vita in situazioni di conflitto o di calamità naturali, è stato scelto il giorno del bombardamento dell’Ufficio Onu a Baghdad, il 19 agosto 2003, in cui persero la vita Sergio Vieira de Mello, Alto Commissario per i Diritti Umani e Rappresentante Speciale del Segretario Generale per l’Iraq, ed altri 21 operatori umanitari. Sul lavoro silenzioso e quotidiano di chi è impegnato in aree a rischio del mondo a favore delle popolazioni locali, ascoltiamo al microfono di Federico Piana, Francesco Rocca, commissario straordinario della Croce Rossa Italiana:RealAudioMP3

R. – C’è un ruolo quotidiano, silenzioso che migliaia di operatori svolgono in tutto il mondo, in tutte le zone di crisi, in maniera veramente instancabile a favore di chi soffre, di chi ha bisogno. Questo, veramente, non dovremmo mai dimenticarlo, perché questa presenza in tante situazioni aiuta ad alleggerire quelle tensioni che poi spesso, invece, ci ritroviamo a dover gestire in casa nostra. Quindi, veramente il sostegno di operatori umanitari significa sostenere anche il nostro quotidiano.
 
D. – Ricordiamo che questa Giornata è stata indetta dall’Onu dopo il sesto attentato che c’era stato sei anni fa, più o meno, a Baghdad, dove perse la vita anche un Commissario dell’Onu…
 
R. – Quello fu veramente uno dei momenti più tragici. Purtroppo non era la prima volta che gli operatori umanitari venivano attaccati. Questo è un segno di barbarie che, con una cultura condivisa, dovremmo veramente cercare di frenare.
 
D. – Nel 2008 sono stati uccisi 122 operatori umanitari contro i 36 di dieci anni prima: questi sono i dati che l’Onu ha reso noto in questi giorni…
 
R. – Noi come Croce Rossa abbiamo un emblema della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa che è diffuso in tutto il mondo. Ma quello che stiamo segnalando negli ultimi anni, per quello che ci riguarda, è un venir meno anche del rispetto delle Convenzioni internazionali. L’emblema della Croce Rossa è un emblema di protezione per chi soffre, e invece abbiamo visto, negli ultimi anni, che in tante situazioni di conflitto non c’è più rispetto nemmeno per l’emblema protettivo, e questa è una delle cose che più inquieta.
 
D. – L’emblema protettivo diventa a volte proprio motivo di violenza…
 
R. – Assolutamente! C’è un tentativo di isolamento: mentre prima c’era un atteggiamento quasi colonizzatore – in questo senso c’è stata anche una rivisitazione delle politiche umanitarie – adesso si cerca molto di stimolare la realtà locale: ci sono quindi operatori umanitari che partono ma poi stimolano sul territorio la presenza di attori locali che possano interloquire direttamente con la popolazione e la cultura locale. E questo è un aspetto che a chi semina violenza ovviamente fa paura, perché la diffusione della cultura umanitaria in certi Paesi, naturalmente, fa paura!
 
D. – Questo, certamente, mette a rischio gli operatori della Croce Rossa italiana?
 
R. – In questo momento, la situazione è certamente molto delicata: ci sono realtà in cui gli operatori sono a rischio. Però, l’aspetto che maggiormente emoziona è che quando sono andato recentemente a trovarli, proprio pochi giorni fa in Palestina, si respira, invece, serenità nel quotidiano: la percezione del pericolo sfuma davanti al bisogno del prossimo. L’aspetto più emozionante è nel momento in cui si entra in contatto con la loro opera: il bisogno del più piccolo, il bisogno di chi soffre prende il sopravvento e quindi ci si dimentica di se stessi, ci si dimentica dei pericoli anche se, comunque, vengono rispettate una serie di regole di sicurezza che, ovviamente, sono importanti.
 
D. – Secondo lei, come mai l’opinione pubblica si ricorda di queste persone straordinarie solamente quando accade qualcosa di grave?
 
R. – Forse tutti dovremmo fare un po’ di autocritica, a partire dai media. Il dato di fatto, comunque, è questo: oggi i media portano all’attenzione uno scenario quotidiano che, molto spesso, riporta soltanto fatti di violenza e meno fatti sociali. Ci sono dei teatri di guerra che sono veramente dimenticati da tutti: non solo dall’opinione pubblica, ma anche dalle stesse Nazioni Unite!







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