La comunità internazionale si confronta con nuove minacce: cambiamenti climatici,
povertà cronica, crisi finanziaria e alimentare, penuria di acqua e energie, migrazioni.
E' quanto si legge nel messaggio dell'Onu per la prima “Giornata mondiale umanitaria”,
che si celebra oggi. In omaggio a tutti gli operatori e ai membri delle Nazioni Unite
che hanno perso la vita in situazioni di conflitto o di calamità naturali, è stato
scelto il giorno del bombardamento dell’Ufficio Onu a Baghdad, il 19 agosto 2003,
in cui persero la vita Sergio Vieira de Mello, Alto Commissario per i Diritti Umani
e Rappresentante Speciale del Segretario Generale per l’Iraq, ed altri 21 operatori
umanitari. Sul lavoro silenzioso e quotidiano di chi è impegnato in aree a rischio
del mondo a favore delle popolazioni locali, ascoltiamo al microfono di Federico
Piana, Francesco Rocca, commissario straordinario della Croce Rossa Italiana:
R. – C’è
un ruolo quotidiano, silenzioso che migliaia di operatori svolgono in tutto il mondo,
in tutte le zone di crisi, in maniera veramente instancabile a favore di chi soffre,
di chi ha bisogno. Questo, veramente, non dovremmo mai dimenticarlo, perché questa
presenza in tante situazioni aiuta ad alleggerire quelle tensioni che poi spesso,
invece, ci ritroviamo a dover gestire in casa nostra. Quindi, veramente il sostegno
di operatori umanitari significa sostenere anche il nostro quotidiano. D.
– Ricordiamo che questa Giornata è stata indetta dall’Onu dopo il sesto attentato
che c’era stato sei anni fa, più o meno, a Baghdad, dove perse la vita anche un Commissario
dell’Onu… R. – Quello fu veramente uno dei momenti più tragici.
Purtroppo non era la prima volta che gli operatori umanitari venivano attaccati. Questo
è un segno di barbarie che, con una cultura condivisa, dovremmo veramente cercare
di frenare. D. – Nel 2008 sono stati uccisi 122 operatori umanitari
contro i 36 di dieci anni prima: questi sono i dati che l’Onu ha reso noto in questi
giorni… R. – Noi come Croce Rossa abbiamo un emblema della Croce
Rossa e della Mezzaluna Rossa che è diffuso in tutto il mondo. Ma quello che stiamo
segnalando negli ultimi anni, per quello che ci riguarda, è un venir meno anche del
rispetto delle Convenzioni internazionali. L’emblema della Croce Rossa è un emblema
di protezione per chi soffre, e invece abbiamo visto, negli ultimi anni, che in tante
situazioni di conflitto non c’è più rispetto nemmeno per l’emblema protettivo, e questa
è una delle cose che più inquieta. D. – L’emblema protettivo
diventa a volte proprio motivo di violenza… R. – Assolutamente!
C’è un tentativo di isolamento: mentre prima c’era un atteggiamento quasi colonizzatore
– in questo senso c’è stata anche una rivisitazione delle politiche umanitarie – adesso
si cerca molto di stimolare la realtà locale: ci sono quindi operatori umanitari che
partono ma poi stimolano sul territorio la presenza di attori locali che possano interloquire
direttamente con la popolazione e la cultura locale. E questo è un aspetto che a chi
semina violenza ovviamente fa paura, perché la diffusione della cultura umanitaria
in certi Paesi, naturalmente, fa paura! D. – Questo, certamente,
mette a rischio gli operatori della Croce Rossa italiana? R.
– In questo momento, la situazione è certamente molto delicata: ci sono realtà in
cui gli operatori sono a rischio. Però, l’aspetto che maggiormente emoziona è che
quando sono andato recentemente a trovarli, proprio pochi giorni fa in Palestina,
si respira, invece, serenità nel quotidiano: la percezione del pericolo sfuma davanti
al bisogno del prossimo. L’aspetto più emozionante è nel momento in cui si entra in
contatto con la loro opera: il bisogno del più piccolo, il bisogno di chi soffre prende
il sopravvento e quindi ci si dimentica di se stessi, ci si dimentica dei pericoli
anche se, comunque, vengono rispettate una serie di regole di sicurezza che, ovviamente,
sono importanti. D. – Secondo lei, come mai l’opinione pubblica
si ricorda di queste persone straordinarie solamente quando accade qualcosa di grave? R.
– Forse tutti dovremmo fare un po’ di autocritica, a partire dai media. Il dato di
fatto, comunque, è questo: oggi i media portano all’attenzione uno scenario quotidiano
che, molto spesso, riporta soltanto fatti di violenza e meno fatti sociali. Ci sono
dei teatri di guerra che sono veramente dimenticati da tutti: non solo dall’opinione
pubblica, ma anche dalle stesse Nazioni Unite!