Lo storico record di Bolt nei 100 metri: i commenti di Berruti e don Lusek
Giornata storica ieri a Berlino per lo sport: ai mondiali di atletica il giamaicano
Usain Bolt ha realizzato un nuovo incredibile record nei 100 metri piani scendendo
a 9 secondi e 58 centesimi. Su questa nuova impresa sportiva ascoltiamo Livio Berruti,
medaglia d’oro nei 200 metri alle Olimpiadi di Roma del 1960. Lo ha intervistato Luca
Collodi:
R. – Penso
che Bolt abbia dato inizio ad una nuova era: di sport fatto non più in maniera drammatica,
come abbiamo visto in questi ultimi decenni, ma in maniera più disinvolta, quasi più
scherzosa, più serena, quasi goliardica. Atteggiamenti che forse gli sono anche serviti
per allentare le tensioni estreme che ha un velocista prima della partenza. Quindi
direi che Bolt ha dato l’impressione di rappresentare bene la parte dello sportivo,
che pratica ancora lo sport con gioia, con piacere, con la curiosità di scoprire fin
dove può arrivare. E questa penso sia la molla psicologica più importante che gli
permetterà ancora di migliorare e di superarsi. D. – Berruti,
quali sono le differenze tra l'atletica di oggi e quella dei suoi tempi? A parte il
terreno di terra battuta e di sintetico, che non è poca cosa... R.
– Ah, certo, una differenza di 3-4 decimi di vantaggio senz’altro! Ma soprattutto,
c’è una diversa pressione psicologica e d’immagine. A quei tempi non c’era ancora
il culto dell’immagine e soprattutto dei risvolti economici e mediatici che avrebbero
avuto dopo lo sport e il campione. Quindi, eravamo molto più tranquilli e meno assillati
dall’interesse abnorme della televisione, dei mezzi di comunicazione, e questo quindi
forse permetteva agli atleti di affrontare le gare con più tranquillità, con l’occhio
meno rivolto all’immagine esterna che si dava. Si era più rilassati, sotto un certo
aspetto, e soprattutto non c’era questo ammasso di impegni che ora gravano sul campione:
il campione oggi non esprime più semplicemente una prestazione atletica, ma è diventato
piuttosto espressione di prestazioni economiche, di immagine e di pubblicità e quindi
diventa un vero centro di potere che da una parte lo spinge di più, d’altra parte
però tende a condizionarlo perché gli toglie quel senso di libertà, di improvvisazione
che forse noi avevamo. E ora, sempre al microfono di Luca Collodi,
il commento di don Mario Lusek, direttore dell’Ufficio nazionale della Cei
per la pastorale del tempo libero, il turismo e lo sport:
R. – Noi
siamo convinti che l’uomo possa fare molto; è capace di grandi imprese. Se poi queste
imprese raggiungono livelli che non erano previsti, erano impensati, la sorpresa è
ancora maggiore ma anche e soprattutto la simpatia verso quello che l’uomo può fare,
può realizzare. Penso che la performance sportiva possa essere anche una metafora
di quello che l’uomo può realizzare quando però non si crede il Padreterno, autosufficiente
e quindi superiore a chissà chi. Questo evento sportivo è avvenuto a Berlino, in uno
stadio che voleva glorificare, nel ’36, la grandezza di una "razza superiore" e invece
c’è stato un uomo di colore che ha demitizzato quel “sogno di gloria”, chiamiamolo
così, per non dire altro. Ieri sera, lo stesso: c’è stata un’impresa incredibile,
bella, meravigliosa, che dice la grandezza dell’uomo ma dice anche il suo limite,
perché chiaramente non è quello il fine ultimo dell’uomo: è tutt’altro! D.
– Il record dà certamente un respiro maggiore alla vittoria, e quindi è qualcosa che
va oltre la semplice vittoria... R. – Sì, sicuramente, questo
record serve per dire: vedi, è stato possibile questo mio mettercela tutta, e adesso
voglio guardare ancora più lontano!, perché io direi che bisogna sempre guardare più
lontano ma non soltanto per “strafare”, ma proprio per essere se stessi fino in fondo,
raggiungere in pienezza le potenzialità dell’uomo. D. – Un’ultima
riflessione: guardando i quotidiani sportivi di oggi, per commentare questa splendida
impresa di Bolt – 9”58”’ nei 100 metri – si usano termini come “mostruoso”, “è un
marziano”, “incredibile” e “pazzesco” e “fantamondiale”. Questi termini, don Lusek,
fanno giustizia per celebrare un evento così bello? R. – No,
perché quando io penso a “mostro” e “mostruoso” penso a qualcosa di orribile, invece
guardando anche il volto di Bolt all’arrivo e subito dopo, quando si è messo a fare
quei passi di danza, non c’era niente di mostruoso ma di molto umano, di profondamente
umano: c’era la gioia incontenibile di aver raggiunto sicuramente vette altissime.
Quindi, io la vedo proprio come un’esperienza profondamente umana e altamente educativa
perché, appunto, ci invita a fare sempre meglio, e a raggiungere anche mete impossibili,
a sognare mete impossibili … apparentemente impossibili …