2009-08-17 15:19:00

Afghanistan: i talebani minacciano chi si recherà a votare


In Afghanistan, il presidente Hamid Karzai ha annunciato di aver disposto, per il 20 agosto, giorno in cui in tutto il Paese si svolgeranno le elezioni presidenziali, il cessate il fuoco per le forze militari nazionali. Ha inoltre invitato i movimenti talebani ad aderirvi. Intanto, nonostante sul terreno continuino le violenze, la gente si prepara al voto in un momento difficile dal punto di vista della sicurezza. I talebani minacciano di tagliare orecchie, naso e dita a chi si recherà a votare. Da Kabul, Barbara Schiavulli:RealAudioMP3

I talebani smentiscono qualsiasi tregua e minacciano di attaccare i seggi elettorali. Chi andrà a votare sarà considerato un alleato del governo e nemico dell’islam. Intanto, nei villaggi i militanti girano casa per casa, ritirando le carte di registrazione al voto e intimando la gente a non uscire di casa. Dal canto suo, il ministro degli Interni, dopo l’attentato di due giorni fa all’ingresso del quartier generale della Nato a Kabul, con sette morti civili e 90 feriti tra i quali una decina di militari stranieri, ha sguinzagliato la polizia in ogni angolo delle strade della capitale, nel tentativo di bloccare l’arrivo di altri kamikaze, in vista del 20 agosto prossimo, quando 17 milioni di afghani andranno a votare, anche se si prevede una bassa affluenza. Intanto, però, si continua a combattere. Sono una trentina i militanti morti a ovest, mentre nel sud, dopo gli ultimi tre soldati inglesi rimasti uccisi durante l’esplosione di ordigni, sale a 204 il bilancio dei soldati della Regina caduti in questi sette anni di inferno.

Nonostante il lungo conflitto condotto dalla Comunità internazionale e dagli Usa in Afghanistan contro il regime dei talebani, in questo periodo estivo ed in particolare a ridosso delle elezioni, aumentano d’intensità gli attacchi e gli attentati nel Paese. Stefano Leszczynski ne ha chiesto il perché ad Andrea Margelletti, presidente del Centro Studi Internazionali:RealAudioMP3

R. – Paradossalmente l’attuale situazione si verifica proprio perché c’è stata, da sempre, una forte offensiva militare ma poca attività di ricostruzione, non soltanto dal punto di vista infrastrutturale, ma anche politico. Gli stessi candidati che vediamo oggi in Afghanistan sono candidati che non hanno seguito particolare tra i molti esponenti dei vari gruppi tribali e, dall’altra parte, la comunità internazionale ha fatto oggettivamente assai poco per garantire migliori condizioni di vita agli afghani.
 
D. – C’è anche chi sostiene che quest’offensiva serva a dare una maggior forza negoziale ai talebani nel dopo-elezioni…
 
R. – Direi di sì. Quello che vediamo non è violenza fine a se stessa, ma è un confronto politico, fatto ovviamente in maniera completamente diversa da quella cui noi siamo abituati.
 
D. – Per quanto riguarda la comunità internazionale, quanto a lungo potrà ancora sostenere un impegno di questo tipo in Afghanistan?
 
R. – Dipende. Se la comunità internazionale decide d’investire in Afghanistan e, ad esempio, cominciare a dare energia elettrica a tutto il Paese, acqua corrente a tutto il Paese, dare condizioni di lavoro, intraprendere un’effettiva lotta alle coltivazioni di oppio, dando contestualmente alternative ai contadini afghani, ovviamente i tempi potranno ridursi. Se così non fosse, siamo destinati a rimanere in Afghanistan sine die.
 
D. – Quanto influisce sull’opinione pubblica afghana tutto quello che sta accadendo in questo momento?
 
R. – La popolazione civile è molto attenta non soltanto agli affari interni ma anche a quello che avviene fuori. Ad esempio, alcune dichiarazioni come: “dall’Afghanistan andiamo via” o “in Afghanistan rimaniamo” e quant’altro, sono lette con attenzione anche da parte dei gruppi degli insorti. A volte si pensa che l’Afghanistan, e prima ancora l’Iraq, siano mondi a sé stanti; in realtà sono Paesi dove c’è grandissima attenzione da sempre a quello che avviene al di fuori dei loro confini, proprio perché gli afghani sanno benissimo di essere parte di un problema regionale e non soltanto nazionale.







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