2009-08-12 11:57:03

Ora di religione. Mons. Coletti commenta la sentenza del Tar


L’insegnamento della religione è una componente importante della cultura di questo Paese. Così mons. Diego Coletti, presidente della Commissione episcopale per l'educazione cattolica, commenta la sentenza del Tar che ha escluso la partecipazione “a pieno titolo” agli scrutini da parte degli insegnanti di religione cattolica, ritenendo illegittimi i conseguenti crediti scolastici. In sostanza i magistrati amministrativi, accogliendo il ricorso di alcuni studenti, supportati da diverse associazioni laiche e confessioni religiose non cattoliche, hanno annullato le Ordinanze ministeriali emanate dall'allora Ministro della Pubblica Istruzione Giuseppe Fioroni per gli esami di Stato del 2007 e 2008 che prevedevano la valutazione della frequenza dell'insegnamento della religione cattolica o della materia sostitutiva ai fini della determinazione del credito scolastico. Luca Collodi ha raccolto il commento di mons. Diego Coletti:RealAudioMP3

R. – Mi sembra che, tra quello che si è potuto leggere nell’immediato, nelle motivazioni della sentenza, si vada in due direzioni: entrambe, mi sembra, molto discutibili, come motivi per questa sentenza. La prima motivazione sarebbe quella di dire che gli alunni devono essere tutti uguali e, quindi, siccome alcuni non si avvalgono dell’insegnamento scolastico della religione cattolica, questi sarebbero discriminati se questo insegnamento contribuisse a stabilire i crediti o, comunque, il giudizio sull’alunno. La seconda motivazione è ancora più interessante: le cose che riguardano una scelta religiosa individuale non devono entrare nella costruzione di una valutazione generale scolastica, in uno Stato laico. Allora, io prenderei in esame, se posso, brevemente, entrambe queste motivazioni. La prima è chiaramente pretestuosa, perché i crediti e il valore generale del giudizio sull’alunno vengono dati in base alle sue scelte. Il ministro Fioroni ha addirittura citato che c’è la possibilità di avere dei crediti per dei corsi di danza caraibica. Figurarsi che se il 92 per cento delle famiglie italiane scelgono l’insegnamento della religione cattolica, questo non debba entrare nel computo della valutazione dell’alunno. Sarebbe davvero una cosa strana. Tanto più che si tratta di scelte responsabili che devono in qualche modo contribuire a dare una figura generale di valutazione dell’alunno. L’altra motivazione, come dicevo, è ancora più strana, perché non si tratta di un insegnamento che va a sostenere delle scelte religiose individuali, ma si tratta di un insegnamento da tutti riconosciuto come una componente importante di conoscenza della cultura di questo Paese, con buona pace degli irriducibili laicisti e, purtroppo, dobbiamo dire, con buona pace anche di tanti nostri fratelli nella fede di altre confessioni cristiane. Non è colpa di nessuno se la cultura di questo Paese è stata segnata da secoli, e in misura massiccia, dalla presenza della religione cattolica. Per cui entrare in un dialogo fecondo, da qualunque punto di vista e a partire da qualunque religione o cultura, con la cultura italiana, vuol dire conoscere dal punto di vista culturale, non dal punto di vista catechistico strettamente confessionale, la religione cattolica. E questo è il motivo dell’insegnamento per cui eventualmente ciò che è un problema e che va spiegato è l’esenzione, cioè la possibilità di non avvalersi, che credo sia giusto rispetto per chi dovesse sentire un qualche turbamento alle proprie convinzioni religiose, dovendo approfondire il punto di vista della religione cattolica. Ma il corso fatto a scuola, di una scuola laica, di uno Stato laico, è un corso culturale, non è un corso che costruisce scelte religiose.

 
D. – Mons. Coletti, questa decisione del Tar del Lazio, secondo lei, danneggia proprio la laicità dello Stato italiano?

 
R. – Secondo me sì, perché per laicità si intende la giusta neutralità di una comunità civile, che, però, dovrebbe essere preoccupata di valorizzare tutte le identità, ciascuna a seconda del proprio peso e della propria rilevanza culturale, per esempio sul territorio. Perché se per laicità si intende l’esclusione dall’orizzonte culturale, formativo, civile di ogni identità, vuol dire che si è proprio nel più bieco e negativo risvolto dell’Illuminismo; prevede che la pace sociale sia garantita dalla cancellazione delle diversità delle identità. Mentre io credo che uno Stato sanamente laico debba preoccuparsi di far emergere e di rispettare, di mettere in rete casomai e di far crescere tutte le identità, soprattutto quelle di alto profilo etico e culturale.

 
D. – Qualcuno dice che si tratta anche di una scelta ideologica che punta ad estromettere la religione dalla vita delle persone...

 
R. – Io non conosco i giudici del Tar del Lazio, anche se questo Tribunale amministrativo ha una sua lunga storia, che credo molti conoscano. Casomai ci sarà da chiedersi come mai su una questione così delicata, la competenza venga data ad un Tribunale amministrativo regionale; ma io credo che ci sia dietro a queste pretestuose motivazioni qualche atteggiamento pregiudiziale, anche se non del tutto ideologico. C’è un pregiudizio di “doverosa liberazione” dei “poveri” bambini, ragazzi e giovani italiani dal peso schiacciante della religione cattolica. Questo mi sembra piuttosto un equivoco pesante, grave, sul quale varrebbe la pena di aprire un dibattito culturale, di sentire motivazioni pro e contro, senza, a partire da questo pregiudizio, arrivare addirittura a dare delle sentenze che, alla fine, rischiano di incrementare ancora di più quella sorta di diffidenza, di sospetto, in genere, sulla magistratura, che è già fin troppo alto in Italia e che va invece, in tutti i modi, contrastato e ridotto.

 
D. – Fra l’altro, qui c’è il rischio anche di discriminare quel 90 per cento di studenti che scelgono l’ora di religione in Italia e che rischiano di non essere più valutati...

 
R. – Sì, questo è vero. E’ come se si dicesse che una parte del proprio curriculum studentesco, per motivi appunto ideologici e pregiudiziali, venga azzerata. Questa è una sentenza particolarmente pesante per uno Stato che deve rispettare le scelte educative delle famiglie, che sono soprattutto dei genitori, che sono fino alla maggiore età i diretti responsabili dell’educazione dei figli e anche, in qualche misura, soprattutto andando avanti nell’età, le scelte stesse degli studenti che, tranne che in alcune regioni, nella stragrande maggioranza delle regioni del Paese, in larghissima maggioranza, scelgono ancora di avvalersi. Vorrei far notare che la cosa è talmente vera che in molte classi a noi risulta che figli di famiglie addirittura non cristiane o di altre confessioni religiose volentieri si avvalgano dell’insegnamento della religione cattolica appunto come elemento arricchente, culturale, per la conoscenza della cultura italiana.

 
D. – Mons. Coletti, che cosa succederà ora? Lei personalmente pensa ad un ricorso?

 
R. – Non credo che tocchi alla Chiesa come tale fare un ricorso. Tocca a cittadini italiani, più o meno organizzati in partiti o in associazioni culturali, esprimere il loro parere, il loro dissenso, di fronte ad una sentenza così povera di motivazioni. Credo che lo stesso Ministero dovrà fare un ricorso, perché ciò che è stato messo sotto accusa non è un’opinione della Chiesa o dei vescovi, ma è una circolare del Ministero e qualcosa che attiene all’organizzazione della scuola di Stato. Quindi, io credo che siano questi i soggetti che devono muoversi.







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