Ora di religione. Mons. Coletti commenta la sentenza del Tar
L’insegnamento della religione è una componente importante della cultura di questo
Paese. Così mons. Diego Coletti, presidente della Commissione episcopale per l'educazione
cattolica, commenta la sentenza del Tar che ha escluso la partecipazione “a pieno
titolo” agli scrutini da parte degli insegnanti di religione cattolica, ritenendo
illegittimi i conseguenti crediti scolastici. In sostanza i magistrati amministrativi,
accogliendo il ricorso di alcuni studenti, supportati da diverse associazioni laiche
e confessioni religiose non cattoliche, hanno annullato le Ordinanze ministeriali
emanate dall'allora Ministro della Pubblica Istruzione Giuseppe Fioroni per gli esami
di Stato del 2007 e 2008 che prevedevano la valutazione della frequenza dell'insegnamento
della religione cattolica o della materia sostitutiva ai fini della determinazione
del credito scolastico. Luca Collodi ha raccolto il commento di mons. Diego
Coletti:
R. – Mi sembra
che, tra quello che si è potuto leggere nell’immediato, nelle motivazioni della sentenza,
si vada in due direzioni: entrambe, mi sembra, molto discutibili, come motivi per
questa sentenza. La prima motivazione sarebbe quella di dire che gli alunni devono
essere tutti uguali e, quindi, siccome alcuni non si avvalgono dell’insegnamento scolastico
della religione cattolica, questi sarebbero discriminati se questo insegnamento contribuisse
a stabilire i crediti o, comunque, il giudizio sull’alunno. La seconda motivazione
è ancora più interessante: le cose che riguardano una scelta religiosa individuale
non devono entrare nella costruzione di una valutazione generale scolastica, in uno
Stato laico. Allora, io prenderei in esame, se posso, brevemente, entrambe queste
motivazioni. La prima è chiaramente pretestuosa, perché i crediti e il valore generale
del giudizio sull’alunno vengono dati in base alle sue scelte. Il ministro Fioroni
ha addirittura citato che c’è la possibilità di avere dei crediti per dei corsi di
danza caraibica. Figurarsi che se il 92 per cento delle famiglie italiane scelgono
l’insegnamento della religione cattolica, questo non debba entrare nel computo della
valutazione dell’alunno. Sarebbe davvero una cosa strana. Tanto più che si tratta
di scelte responsabili che devono in qualche modo contribuire a dare una figura generale
di valutazione dell’alunno. L’altra motivazione, come dicevo, è ancora più strana,
perché non si tratta di un insegnamento che va a sostenere delle scelte religiose
individuali, ma si tratta di un insegnamento da tutti riconosciuto come una componente
importante di conoscenza della cultura di questo Paese, con buona pace degli irriducibili
laicisti e, purtroppo, dobbiamo dire, con buona pace anche di tanti nostri fratelli
nella fede di altre confessioni cristiane. Non è colpa di nessuno se la cultura di
questo Paese è stata segnata da secoli, e in misura massiccia, dalla presenza della
religione cattolica. Per cui entrare in un dialogo fecondo, da qualunque punto di
vista e a partire da qualunque religione o cultura, con la cultura italiana, vuol
dire conoscere dal punto di vista culturale, non dal punto di vista catechistico strettamente
confessionale, la religione cattolica. E questo è il motivo dell’insegnamento per
cui eventualmente ciò che è un problema e che va spiegato è l’esenzione, cioè la possibilità
di non avvalersi, che credo sia giusto rispetto per chi dovesse sentire un qualche
turbamento alle proprie convinzioni religiose, dovendo approfondire il punto di vista
della religione cattolica. Ma il corso fatto a scuola, di una scuola laica, di uno
Stato laico, è un corso culturale, non è un corso che costruisce scelte religiose.
D.
– Mons. Coletti, questa decisione del Tar del Lazio, secondo lei, danneggia proprio
la laicità dello Stato italiano?
R. – Secondo me
sì, perché per laicità si intende la giusta neutralità di una comunità civile, che,
però, dovrebbe essere preoccupata di valorizzare tutte le identità, ciascuna a seconda
del proprio peso e della propria rilevanza culturale, per esempio sul territorio.
Perché se per laicità si intende l’esclusione dall’orizzonte culturale, formativo,
civile di ogni identità, vuol dire che si è proprio nel più bieco e negativo risvolto
dell’Illuminismo; prevede che la pace sociale sia garantita dalla cancellazione delle
diversità delle identità. Mentre io credo che uno Stato sanamente laico debba preoccuparsi
di far emergere e di rispettare, di mettere in rete casomai e di far crescere tutte
le identità, soprattutto quelle di alto profilo etico e culturale.
D.
– Qualcuno dice che si tratta anche di una scelta ideologica che punta ad estromettere
la religione dalla vita delle persone...
R. – Io
non conosco i giudici del Tar del Lazio, anche se questo Tribunale amministrativo
ha una sua lunga storia, che credo molti conoscano. Casomai ci sarà da chiedersi come
mai su una questione così delicata, la competenza venga data ad un Tribunale amministrativo
regionale; ma io credo che ci sia dietro a queste pretestuose motivazioni qualche
atteggiamento pregiudiziale, anche se non del tutto ideologico. C’è un pregiudizio
di “doverosa liberazione” dei “poveri” bambini, ragazzi e giovani italiani dal peso
schiacciante della religione cattolica. Questo mi sembra piuttosto un equivoco pesante,
grave, sul quale varrebbe la pena di aprire un dibattito culturale, di sentire motivazioni
pro e contro, senza, a partire da questo pregiudizio, arrivare addirittura a dare
delle sentenze che, alla fine, rischiano di incrementare ancora di più quella sorta
di diffidenza, di sospetto, in genere, sulla magistratura, che è già fin troppo alto
in Italia e che va invece, in tutti i modi, contrastato e ridotto.
D.
– Fra l’altro, qui c’è il rischio anche di discriminare quel 90 per cento di studenti
che scelgono l’ora di religione in Italia e che rischiano di non essere più valutati...
R.
– Sì, questo è vero. E’ come se si dicesse che una parte del proprio curriculum studentesco,
per motivi appunto ideologici e pregiudiziali, venga azzerata. Questa è una sentenza
particolarmente pesante per uno Stato che deve rispettare le scelte educative delle
famiglie, che sono soprattutto dei genitori, che sono fino alla maggiore età i diretti
responsabili dell’educazione dei figli e anche, in qualche misura, soprattutto andando
avanti nell’età, le scelte stesse degli studenti che, tranne che in alcune regioni,
nella stragrande maggioranza delle regioni del Paese, in larghissima maggioranza,
scelgono ancora di avvalersi. Vorrei far notare che la cosa è talmente vera che in
molte classi a noi risulta che figli di famiglie addirittura non cristiane o di altre
confessioni religiose volentieri si avvalgano dell’insegnamento della religione cattolica
appunto come elemento arricchente, culturale, per la conoscenza della cultura italiana.
D.
– Mons. Coletti, che cosa succederà ora? Lei personalmente pensa ad un ricorso?
R.
– Non credo che tocchi alla Chiesa come tale fare un ricorso. Tocca a cittadini italiani,
più o meno organizzati in partiti o in associazioni culturali, esprimere il loro parere,
il loro dissenso, di fronte ad una sentenza così povera di motivazioni. Credo che
lo stesso Ministero dovrà fare un ricorso, perché ciò che è stato messo sotto accusa
non è un’opinione della Chiesa o dei vescovi, ma è una circolare del Ministero e qualcosa
che attiene all’organizzazione della scuola di Stato. Quindi, io credo che siano questi
i soggetti che devono muoversi.