Matrimonio e convivenze: la riflessione del cardinale Antonelli e del prof. Dalla
Torre dopo una sentenza della Cassazione
“Questa sentenza rappresenta un duro colpo per la famiglia”. Così il giurista Giuseppe
Dalla Torre, rettore dell’Università Lumsa di Roma sulla sentenza della Corte
di Cassazione che risolvendo un caso di furto tra ex conviventi, ha giudicato appropriato
applicare le norme previste per il matrimonio, equiparando di fatto la famiglia alla
mera convivenza. Massimiliano Menichetti lo ha intervistato.
R. – E’ una
sentenza certamente sorprendente. La Corte poteva giungere a conclusioni analoghe
senza doversi necessariamente rifare al modello della famiglia, senza equiparare la
famiglia cosiddetta di fatto alla famiglia vera, quella fondata sul matrimonio, partendo
dalla considerazione della convivenza – che si era protratta nel tempo – e quindi
dei rapporti di fiducia e di affidamento tra i conviventi stessi. E’ grave perché
la Corte di Cassazione prende lo spunto da un caso che non riguarda il diritto di
famiglia per fare un discorso di carattere più generale.
D.
– L’articolo 29 della Costituzione stabilisce che famiglia è quella fondata sul matrimonio…
R.
– C’è una differenza sostanziale, anche dal punto di vista del fatto oltre che dal
punto di vista del diritto: mentre il matrimonio è l’atto di volontà pubblico, formale,
con cui le due parti si assumono i doveri – oltre che i diritti – che durano nel tempo,
nel caso della convivenza di fatto c’è una precarietà che può durare anche per lunghissimo
tempo ma che non impegna nessuna delle due parti.
D.
– La Cassazione ribadisce: il diritto non può non tener conto dell’evoluzione della
società e aggiunge: famiglia e matrimonio hanno un significato diverso rispetto agli
anni passati, in sostanza, quando sono stati inseriti nel codice. Un'affermazione
preoccupante...
R. – Direi assolutamente di sì, per
il fatto che il matrimonio è un istituto – come dice lo stesso articolo 29 della Costituzione
– che ha le sue radici prima del diritto positivo. Quindi, da questo punto di vista,
il diritto positivo non può che modellarsi su quel paradigma e non viceversa. Che
certi fenomeni esistano, lo sappiamo. Che abbiano una qualche consistenza lo sappiamo,
ma che nel sentire comune matrimonio, famiglia o mera convivenza di fatto siano la
stessa cosa, direi che proprio non è.
D. – La Cassazione
orienta il diritto. E' un colpo alla famiglia?
R.
– E’ un grave colpo alla famiglia. Non è la prima volta che la Cassazione ha queste
sbavature nella sua giurisprudenza. Ci sono dei casi nei quali è giuridicamente ed
anche socialmente giusto intervenire in situazioni che nascono da una convivenza di
fatto, ma la via da seguire è quella indicata, a suo tempo, dalla Corte Costituzionale
con molta saggezza: intervenire per riconoscere situazioni singolari e fattispecie
tipiche, senza però un’equiparazione al matrimonio e alla famiglia.
Ma
cosa si può fare per aiutare le famiglie che oggi appaiono sempre più deboli e in
crisi? Luca Collodi lo ha chiesto al cardinale Ennio Antonelli, presidente
del Pontificio Consiglio per la Famiglia:
R. – Oggi
le sofferenze delle persone dovute alle separazioni, ai divorzi e a tutte le forme
di precarietà della coppia, le esigenze dell’educazione dei figli, specialmente considerando
quell’emergenza educativa di cui ha parlato anche il Santo Padre, la coesione sociale
messa a rischio da tanti aspetti della nostra convivenza, mi pare che queste cose
chiederebbero di rafforzare il patto coniugale, il matrimonio e di rendere più forte
ed esplicita la coscienza, la consapevolezza del ruolo pubblico della famiglia. Vedo
quindi con preoccupazione questo slittare progressivamente verso una privatizzazione
ulteriore della famiglia, quasi un’irrilevanza della famiglia per la società.
D.
– Da parte di alcuni spesso si fa leva anche sul fatto che cambiano i tempi e quindi
si può anche interpretare in modo diverso il significato del matrimonio...
R.
– Le indagini sociologiche, anche recenti, in diversi Paesi, mettono in evidenza tutta
una serie di benefici che la famiglia cosiddetta tradizionale porta alla società e,
viceversa, i numerosi danni che le pretese nuove forme di famiglia – come la famiglia
monoparentale e le convivenze di fatto – portano alla società.
D.
– Perché il rapporto del matrimonio è differente da un rapporto di convivenza?
R.
– Direi che contraendo un matrimonio si prende un impegno che è pubblico, non solo
davanti alla Chiesa ma soprattutto davanti alla società. Quindi chi si prepara al
matrimonio si dovrebbe preparare più seriamente, sapendo di andare a prendere un impegno,
di fare un patto pubblico solenne e, una volta che c’è una comunione di vita nata
da questo patto di matrimonio, bisognerebbe sentire una maggiore responsabilità. Credo
che l’opinione pubblica, i media e le pubbliche autorità dovrebbero avere la preoccupazione
e l’attenzione di sostenere il matrimonio proprio in questa prospettiva di un’educazione
alla responsabilità. (Montaggio a cura di Maria Brigini)