2009-08-05 14:07:20

Sacerdoti innamorati di Cristo per rispondere alle sfide del relativismo che mortifica la ragione: così il Papa all'udienza generale dedicata al Curato d'Ars


I sacerdoti siano innamorati di Cristo, messaggeri di speranza, riconciliazione e pace per tutti: è la preghiera elevata stamani da Benedetto XVI durante l’udienza generale del mercoledì a Castel Gandolfo, che ha visto la partecipazione di alcune migliaia di fedeli, alcuni provenienti anche dalla Cina. Un’udienza dedicata a San Giovanni Maria Vianney, di cui ieri la Chiesa ha celebrato la memoria liturgica. Nella catechesi il Papa ha sottolineato che razionalismo e relativismo sono due risposte inadeguate alla legittima domanda dell’uomo di usare a pieno la ragione alla ricerca della verità dell’esistenza. Infine, il saluto ai partecipanti al Meeting internazionale giovani verso Assisi. Il servizio di Sergio Centofanti.RealAudioMP3

Nella sua catechesi il Papa ha ripercorso brevemente l’esistenza del Santo Curato d’Ars, di cui ieri ricorreva il 150.mo anniversario della morte o meglio della sua “nascita al Cielo” - come ha detto il Pontefice – che ha immaginato la “grande festa” che deve esserci stata in Paradiso “all’ingresso di un così zelante pastore!”. E proprio in occasione di questo anniversario è stato indetto l’Anno Sacerdotale sul tema “Fedeltà di Cristo, fedeltà del sacerdote”. Benedetto XVI ha ricordato le povere origini contadine di questo santo che in gioventù ha lavorato nei campi o pascolato gli animali, sempre cercando di “conformarsi alla divina volontà anche nelle mansioni più umili”. A diciassette anni era ancora analfabeta. Il suo desiderio era quello di diventare sacerdote, ma gli studi erano lo scoglio principale ed ebbe non poche difficoltà, “non pochi insuccessi e tante lacrime”:
 
“Giunse infatti all’Ordinazione presbiterale dopo non poche traversìe ed incomprensioni, grazie all’aiuto di sapienti sacerdoti, che non si fermarono a considerare i suoi limiti umani, ma seppero guardare oltre, intuendo l’orizzonte di santità che si profilava in quel giovane veramente singolare”.
 
“Nel servizio pastorale, tanto semplice quanto straordinariamente fecondo – ha rilevato il Papa - questo anonimo parroco di uno sperduto villaggio del sud della Francia riuscì talmente ad immedesimarsi col proprio ministero” da conformarsi a Cristo Buon Pastore, dando la vita per le sue pecore:
 
“La sua esistenza fu una catechesi vivente, che acquistava un’efficacia particolarissima quando la gente lo vedeva celebrare la Messa, sostare in adorazione davanti al tabernacolo o trascorrere molte ore nel confessionale … Riconosceva nella pratica del sacramento della penitenza il logico e naturale compimento dell’apostolato sacerdotale”.
 
“I metodi pastorali di San Giovanni Maria Vianney – ha aggiunto il Papa - potrebbero apparire poco adatti alle attuali condizioni sociali e culturali”:
 
“Come potrebbe infatti imitarlo un sacerdote oggi, in un mondo tanto cambiato? Se è vero che mutano i tempi e molti carismi sono tipici della persona, c’è però uno stile di vita e un anelito di fondo che tutti sono chiamati a coltivare. A ben vedere, ciò che ha reso santo il Curato d’Ars è l’essere innamorato di Cristo. Il vero segreto del suo successo pastorale è stato l’amore che nutriva per il Mistero eucaristico annunciato, celebrato e vissuto, e che è diventato amore delle pecore di Cristo, delle persone che cercano Dio”.
 
Il Curato d’Ars seppe rispondere alla sete di verità dell’uomo del suo tempo: un periodo difficile, quello della “Francia post-rivoluzionaria – ha rilevato il Pontefice - che sperimentava una sorta di ‘dittatura del razionalismo’ volta a cancellare la presenza stessa dei sacerdoti e della Chiesa nella società”. In quel contesto, San Giovanni Maria Vianney visse - negli anni della giovinezza – “un’eroica clandestinità percorrendo chilometri nella notte per partecipare alla Santa Messa. Poi - da sacerdote testimoniò con la sua vita che “il razionalismo, allora imperante, era in realtà distante dal soddisfare gli autentici bisogni dell’uomo e quindi, in definitiva, non vivibile”.
 
Se 150 anni fa c’era la “dittatura del razionalismo, all’epoca attuale – ha detto il Papa - si registra in molti ambienti una sorta di ‘dittatura del relativismo’. Entrambe – ha proseguito - appaiono risposte inadeguate alla giusta domanda dell’uomo di usare a pieno della propria ragione come elemento distintivo e costitutivo della propria identità. Il razionalismo fu inadeguato perché non tenne conto dei limiti umani e pretese di elevare la sola ragione a misura di tutte le cose, trasformandola in una dea; il relativismo contemporaneo mortifica la ragione, perché di fatto arriva ad affermare che l’essere umano non può conoscere nulla con certezza al di là del campo scientifico positivo. Oggi però, come allora – ha spiegato il Papa - l’uomo ‘mendicante di significato e compimento’ va alla continua ricerca di risposte esaustive alle domande di fondo che non cessa di porsi”. Così, nonostante il mutare dei tempi, per Benedetto XVI lo stile del curato d’Ars mantiene intatta la sua “forza profetica” e “continua ad essere un valido insegnamento per i sacerdoti e per noi tutti”:
 
“I sacerdoti imitandolo devono coltivare e accrescere giorno dopo giorno un’intima unione personale con Cristo e devono insegnare a tutti questa unione, questa amicizia intima con Cristo. Solo se innamorato di Cristo il sacerdote potrà toccare i cuori della gente ed aprirli all’amore misericordioso del Signore”.
 
Infine, il Papa ha ricordato, ai saluti, l’odierna memoria liturgica della Dedicazione della Basilica romana di Santa Maria Maggiore che ci invita a volgere lo sguardo verso la Madre di Cristo:
 
“Guardate sempre a Lei, cari giovani, imitandola nel seguire fedelmente la volontà divina; ricorrete a Lei con fiducia, cari ammalati, per sperimentare nel momento della prova l'efficacia della sua protezione; affidate a Lei, cari sposi novelli, la vostra famiglia, perché sia sempre sorretta dalla sua materna intercessione”.







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