Sacerdoti innamorati di Cristo per rispondere alle sfide del relativismo che mortifica
la ragione: così il Papa all'udienza generale dedicata al Curato d'Ars
I sacerdoti siano innamorati di Cristo, messaggeri di speranza, riconciliazione e
pace per tutti: è la preghiera elevata stamani da Benedetto XVI durante l’udienza
generale del mercoledì a Castel Gandolfo, che ha visto la partecipazione di alcune
migliaia di fedeli, alcuni provenienti anche dalla Cina. Un’udienza dedicata a San
Giovanni Maria Vianney, di cui ieri la Chiesa ha celebrato la memoria liturgica. Nella
catechesi il Papa ha sottolineato che razionalismo e relativismo sono due risposte
inadeguate alla legittima domanda dell’uomo di usare a pieno la ragione alla ricerca
della verità dell’esistenza. Infine, il saluto ai partecipanti al Meeting internazionale
giovani verso Assisi. Il servizio di Sergio Centofanti.
Nella sua
catechesi il Papa ha ripercorso brevemente l’esistenza del Santo Curato d’Ars, di
cui ieri ricorreva il 150.mo anniversario della morte o meglio della sua “nascita
al Cielo” - come ha detto il Pontefice – che ha immaginato la “grande festa” che deve
esserci stata in Paradiso “all’ingresso di un così zelante pastore!”. E proprio in
occasione di questo anniversario è stato indetto l’Anno Sacerdotale sul tema “Fedeltà
di Cristo, fedeltà del sacerdote”. Benedetto XVI ha ricordato le povere origini contadine
di questo santo che in gioventù ha lavorato nei campi o pascolato gli animali, sempre
cercando di “conformarsi alla divina volontà anche nelle mansioni più umili”. A diciassette
anni era ancora analfabeta. Il suo desiderio era quello di diventare sacerdote, ma
gli studi erano lo scoglio principale ed ebbe non poche difficoltà, “non pochi insuccessi
e tante lacrime”: “Giunse infatti all’Ordinazione presbiterale
dopo non poche traversìe ed incomprensioni, grazie all’aiuto di sapienti sacerdoti,
che non si fermarono a considerare i suoi limiti umani, ma seppero guardare oltre,
intuendo l’orizzonte di santità che si profilava in quel giovane veramente singolare”. “Nel
servizio pastorale, tanto semplice quanto straordinariamente fecondo – ha rilevato
il Papa - questo anonimo parroco di uno sperduto villaggio del sud della Francia riuscì
talmente ad immedesimarsi col proprio ministero” da conformarsi a Cristo Buon Pastore,
dando la vita per le sue pecore: “La sua esistenza fu una
catechesi vivente, che acquistava un’efficacia particolarissima quando la gente lo
vedeva celebrare la Messa, sostare in adorazione davanti al tabernacolo o trascorrere
molte ore nel confessionale … Riconosceva nella pratica del sacramento della penitenza
il logico e naturale compimento dell’apostolato sacerdotale”. “I
metodi pastorali di San Giovanni Maria Vianney – ha aggiunto il Papa - potrebbero
apparire poco adatti alle attuali condizioni sociali e culturali”: “Come
potrebbe infatti imitarlo un sacerdote oggi, in un mondo tanto cambiato? Se è vero
che mutano i tempi e molti carismi sono tipici della persona, c’è però uno stile di
vita e un anelito di fondo che tutti sono chiamati a coltivare. A ben vedere, ciò
che ha reso santo il Curato d’Ars è l’essere innamorato di Cristo. Il vero segreto
del suo successo pastorale è stato l’amore che nutriva per il Mistero eucaristico
annunciato, celebrato e vissuto, e che è diventato amore delle pecore di Cristo, delle
persone che cercano Dio”. Il Curato d’Ars seppe rispondere
alla sete di verità dell’uomo del suo tempo: un periodo difficile, quello della “Francia
post-rivoluzionaria – ha rilevato il Pontefice - che sperimentava una sorta di ‘dittatura
del razionalismo’ volta a cancellare la presenza stessa dei sacerdoti e della Chiesa
nella società”. In quel contesto, San Giovanni Maria Vianney visse - negli anni della
giovinezza – “un’eroica clandestinità percorrendo chilometri nella notte per partecipare
alla Santa Messa. Poi - da sacerdote testimoniò con la sua vita che “il razionalismo,
allora imperante, era in realtà distante dal soddisfare gli autentici bisogni dell’uomo
e quindi, in definitiva, non vivibile”. Se 150 anni fa c’era
la “dittatura del razionalismo, all’epoca attuale – ha detto il Papa - si registra
in molti ambienti una sorta di ‘dittatura del relativismo’. Entrambe – ha proseguito
- appaiono risposte inadeguate alla giusta domanda dell’uomo di usare a pieno della
propria ragione come elemento distintivo e costitutivo della propria identità. Il
razionalismo fu inadeguato perché non tenne conto dei limiti umani e pretese di elevare
la sola ragione a misura di tutte le cose, trasformandola in una dea; il relativismo
contemporaneo mortifica la ragione, perché di fatto arriva ad affermare che l’essere
umano non può conoscere nulla con certezza al di là del campo scientifico positivo.
Oggi però, come allora – ha spiegato il Papa - l’uomo ‘mendicante di significato e
compimento’ va alla continua ricerca di risposte esaustive alle domande di fondo che
non cessa di porsi”. Così, nonostante il mutare dei tempi, per Benedetto XVI lo stile
del curato d’Ars mantiene intatta la sua “forza profetica” e “continua ad essere un
valido insegnamento per i sacerdoti e per noi tutti”: “I
sacerdoti imitandolo devono coltivare e accrescere giorno dopo giorno un’intima unione
personale con Cristo e devono insegnare a tutti questa unione, questa amicizia intima
con Cristo. Solo se innamorato di Cristo il sacerdote potrà toccare i cuori della
gente ed aprirli all’amore misericordioso del Signore”. Infine,
il Papa ha ricordato, ai saluti, l’odierna memoria liturgica della Dedicazione della
Basilica romana di Santa Maria Maggiore che ci invita a volgere lo sguardo verso la
Madre di Cristo: “Guardate sempre a Lei, cari giovani, imitandola
nel seguire fedelmente la volontà divina; ricorrete a Lei con fiducia, cari ammalati,
per sperimentare nel momento della prova l'efficacia della sua protezione; affidate
a Lei, cari sposi novelli, la vostra famiglia, perché sia sempre sorretta dalla sua
materna intercessione”.