I temi della "Caritas in veritate" esposti dal cardinale Tarcisio Bertone davanti
al Senato italiano. Apprezzamenti dalle forze politiche
Il cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, ha illustrato stamani davanti
al Senato della Repubblica italiana l’ultima Enciclica di Benedetto XVI, Caritas
in veritate. “Coloro che hanno la delicata e onorifica responsabilità di rappresentare
il popolo italiano - ha affermato il porporato - possono trovare nelle parole del
Papa un’alta e profonda ispirazione nello svolgimento della loro missione, così da
rispondere adeguatamente alle sfide etiche, culturali e sociali che oggi ci interpellano”.
Il servizio di Amedeo Lomonaco:
Il cardinale
segretario di Stato si è soffermato sulle forze propulsive della verità e della carità.
Solo ancorandosi a questi due criteri fondamentali si può costruire “l’autentico bene”
e rispettare la legge naturale “inscritta nel cuore dell’uomo”. Verità e carità, tra
loro inseparabilmente congiunte, sono anche i cardini della riflessione di Benedetto
XVI sull’attuale realtà socioeconomica. Un importante messaggio dell’Enciclica Caritas
in veritate - ha spiegato il cardinale Tarcisio Bertone - è l’invito a superare
l’ormai obsoleta dicotomia tra la sfera economica e quella sociale:
“L’agire
economico non è qualcosa di staccato e di alieno dai principi cardine della dottrina
sociale della Chiesa che sono: centralità della persona umana, solidarietà, sussidiarietà,
bene comune”.
La Dottrina sociale della Chiesa ci ricorda che una buona
società è frutto certamente del mercato e della libertà. Propone un umanesimo a più
dimensioni, nel quale il mercato non è combattuto o “controllato”, ma è visto come
momento importante della sfera pubblica. Ci sono esigenze riconducibili al principio
di fraternità - ha poi affermato il cardinale Tarcisio Bertone - che non possono essere
eluse, “né rimandate alla sola sfera privata o alla filantropia”:
“La
Caritas in veritate ci aiuta a prendere coscienza che la società
non è capace di futuro se si dissolve il principio di fraternità; non è cioè capace
a progredire se esiste e si sviluppa solamente la logica del dare per avere, oppure
del dare per dovere. Ecco perché, né la visione liberal-individualista del mondo né
la visione statocentrica della società sono guide sicure per farci uscire dalle secche
in cui le nostre società sono oggi impantanate”.
Il cardinale segretario
di Stato ha quindi aggiunto che la Dottrina sociale della Chiesa “non va considerata
una teoria etica ulteriore rispetto alle tante già disponibili in letteratura”, ma
una “grammatica comune” a queste perché fondata su uno specifico punto di vista, quello
del “prendersi cura del bene umano”. Efficienza e giustizia, anche se unite, non bastano
ad assicurare lo sviluppo dell’umanità:
“Il messaggio che la Caritas
in veritate ci lascia è quello di pensare la gratuità, e dunque la fraternità,
come cifra della condizione umana e quindi di vedere nell’esercizio del dono il presupposto
indispensabile affinché Stato e mercato possano funzionare avendo di mira il bene
comune. Senza partiche estese di dono si potrà anche vavere un mercato efficiente
ed uno Stato autorevole (perfino giusto), ma di certo le persone non saranno aiutate
a realizzare la gioia di vivere”.
Il cardinale Tarcisio Bertone si è
soffermato infine su alcuni fattori che hanno portato all’attuale crisi economica.
Il mutamento radicale nel rapporto tra finanza e produzione di beni e servizi ha portato
ad una richiesta persistente di risultati finanziari sempre più brillanti. La diffusione
dell’ethos dell’efficienza come criterio ultimo di giudizio ha poi finito con il legittimare
l’avidità come una sorta di virtù civica. Alle autorità di governo la crisi lancia
un duplice messaggio: la critica allo Stato interventista non può valere a disconoscere
il ruolo centrale dello Stato regolatore. Le autorità pubbliche devono poi consentire
la nascita e il rafforzamento di un mercato finanziario pluralista. L’augurio - ha
detto il cardinale Tarcisio Bertone - è che l’Enciclica Caritas in veritate
possa trovare l’attenzione che merita e portare “frutti positivi e abbondanti per
il bene di ogni persona e di tutta l’umana famiglia, a cominciare dalla cara nazione
italiana”. Il presidente del Senato, Renato Schifani, ha affermato
infine che l’Enciclica Caritas in veritate propone un nuovo "lessico di pace
fondato sulla parola speranza". In questo quadro, ha osservato,è necessario un profondo
cambiamento delle istituzioni internazionali: “L’Enciclica apre
il nuovo millennio dopo un periodo prolungato di crisi ed è anche occasione per ripensare
l’economia del mondo globale, per ricercare nuove regole in una società in profonda
trasformazione”.
Consensi unanimi, stamani al Senato,
alle parole del cardinale Tarcisio Bertone e del presidente dell’assemblea di Palazzo
Madama, Renato Schifani. Alessandro Guarasci ha intervistato il segretario
generale della Cgil Guglielmo Epifani, il sottosegretario al Ministero degli
Interni, Alfredo Mantovano, e il deputato del Pd, Luigi Bobba:
D. - Epifani,
quest’enciclica è un richiamo alto al mondo della finanza…
R.
- E’ un richiamo molto forte e a me convince molto il richiamo al fatto che nel processo
di produzione l’uomo sia considerato come un fine e non come un mezzo. Lo stesso ragionamento
fatto oggi dal cardinale Bertone sulla fraternità richiama proprio ciò e da questo
punto di vista è una cosa che condivido molto.
D.
- Il mondo economico le sembra disposto ad accettare questo messaggio?
R.
- Io vedo il mondo economico un po’ distratto. La crisi l’aveva un po’ imtimorito
e lo aveva anche fatto tornare indietro rispetto a quelle certezze che riteneva infallibili,
come quella dell’autoregolamentazione dei mercati. Non riesco a capire se la lezione
di questa crisi possa mutare in un atteggiamento ed anche in una dottrina, in una
cultura dell’impresa diversa. Avremmo tutti l’interesse che l’impresa riflettesse
sui limiti che ha avuto lo sviluppo in questi anni e riflettesse anche il suo rapporto
con le persone.
D. - Mantovano, la Caritas in
veritate può aiutare ad uscire più velocemente dalla crisi secondo lei?
R.
- Una riflessione sulle conseguenze sociali della Buona novella avrebbe impedito di
entrare nella crisi, collegando l’economia e la vita sociale in generale a principi
di realtà. L’allontanamento, invece, dalla realtà ha provocato questo insieme di costruzioni
finanziarie - in certi casi truffaldine, eteree - che sono uno dei fattori, evidentemente
non l’unico, della crisi. L’altro aspetto è l’emergere, con evidenza - anche dalla
lettura di questa Enciclica, ma anche in tutto il magistero della Chiesa - del collegamento
con la crisi demografica: c’è un nesso strettissimo che viene ben sottolineato dalla
decisione di non fare di figli e gli effetti che ne conseguono: un impoverimento non
soltanto demografico, ma anche economico.
D. - Bobba,
dall'Enciclica viene interpellata anche la classe politica?
R.
- Credo che questa Enciclica interpelli fortemente la politica per due ragioni: da
un lato, perché rimette in tensione il rapporto fra etica ed economia - altrimenti
l’economia impazzisce se perde il parametro del bene comune e dello sviluppo integrale
dell’uomo. Dall’altro, perché c’è una sollecitazione, una spinta, quasi un pungolo
alla politica a pensare di costruire istituzioni di carattere globale, senza le quali
i problemi globali non si riescono ad affrontare e la politica finisce come vagone
di coda dell’economia. Parlo, ad esempio, del tema delle migrazioni, o del tema dell’ambiente.