Nuovi attacchi in Afghanistan in vista delle presidenziali
In Afghanistan cresce la tensione: a poco meno di un mese dalle presidenziali, si
susseguono attacchi ed attentati. 22 i morti nelle ultime ore: tra le vittime 16 talebani,
due soldati afghani e un militare della forza internazionale Isaf. Sotto attacco anche
i soldati italiani nella Regione Ovest, mentre nel distretto di Bala Murghab, a Badghis,
grazie alla mediazione degli anziani e dei capi della provincia è stato stabilito
l'accordo per un cessate il fuoco fino al 20 agosto, data delle elezioni. Massimiliano
Menichetti ha intervistato Andrea Margelletti presidente del Centro Studi
Internazionali:
R. – La decisione
degli insorti di addivenire ad un accordo con il governo centrale è segno che la strategia
del combattimento tout court non è assolutamente pagante. Naturalmente, è altrettanto
importante il fatto che il governo abbia deciso di parlare con la parte avversa, proprio
perché sono attori determinanti nel processo di stabilità dell’Afghanistan.
D.
– I talebani stanno intensificando le violenze in vista delle elezioni del 20 agosto
per impedirle: perché sono così importanti?
R. –
L’importanza è quella che lentamente, in un Paese dove governavano con lucida follia
i talebani, è ripreso un processo di dialogo – mettendo al centro gli anziani delle
tribù, le varie componenti etniche. Ecco, questo è un fatto assolutamente importante.
D. – Ma qual è la situazione dal punto di vista
della sicurezza?
R. – Le azioni del contingente internazionale
della coalizione, insieme alle forze afghane, sono riuscite a indebolire sensibilmente
il dispositivo talebano. Ma non solo talebani: parliamo oramai di insorti, quindi
signori della guerra, trafficanti di armi e droga e quant'altro.
D.
– Lei è da pochi giorni tornato dall’Afghanistan. Come ha trovato questo Paese?
R.
– Ho trovato un Paese dove per sette anni si è parlato tantissimo, si è sparato troppo
e si è ricostruito poco. Questo perché ricostruire vuol dire spendere tanti, tanti
soldi e nessuno ha voglia di farlo: però, è l’unica alternativa. E’ necessaria in
Afghanistan una visione comune, vuol dire che dev’esserci una assoluta concertazione
sui rapporti tra le varie nazioni, regole di ingaggio comuni … C’è ancora molto, molto
da fare!
D. – Nelle ultime settimane sono stati presi
di mira anche i soldati italiani e si discute sulla necessità di rimanere o meno nel
Paese …
R. – Ogni concetto di strategia di uscita
nelle attuali condizioni equivale sostanzialmente a riconsegnare il Paese a chi con
follia l’ha governato con il terrore negli anni passati. Penso che la presenza italiana
in Afghanistan sia assolutamente determinante, perché hanno bisogno di tutto. L’ultima
cosa di cui hanno necessità è vedere un alleato capace e fedele che si allontana.
D.
– Quanto è importante che gli stessi afghani siano gli attori principali del controllo
del Paese?
R. – Non è importante, è determinante.
E’ il loro Paese. Fondamentale è che come stanno facendo gli italiani, li si coinvolga
nell’azione di stabilità di casa loro.