In Iran, si complica la crisi politica scoppiata dopo la contestata rielezione del
presidente Ahmadinejad. Oltre alle continue proteste dell’opposizione, che ha chiesto
alle autorità di poter commemorare le vittime delle manifestazioni dei giorni scorsi,
anche all’interno della maggioranza la situazione è tesa. Dopo il suo vice, Ahmadinejad
ha dovuto licenziare altri quattro ministri per volere della guida spirituale, Alì
Khamenei. Che significato dare a questa situazione? Gabriella Ceraso lo ha
chiesto al giornalista iraniano Bijan Zarmandili:
D. - Più
che un cambiamento dei programmi e delle alleanze all’interno, io direi che a questo
punto le dimissioni di questi ultimi ministri seguono in realtà quelle del vice di
Ahmadinejad. Costui è stato costretto a rinunciare al proprio vice e questo per ordine
diretto di Ali Khamenei, la guida della rivoluzione. Ciò significa che si è spostato,
in un certo senso, il conflitto tra l’opposizione e il regime di Ahmadinejad. Si è
spostato all’interno dello stesso regime, nel senso che gli ultraconservatori - quelli
che hanno finora sostenuto la candidatura e la presidenza di Ahmadineajd - pensano
a questo punto che lui sia il personaggio più debole e, quindi, in qualche modo vogliono
ostacolare la sua ulteriore ascesa. D. - Come risponderà il
regime alla richiesta di commemorare le vittime delle proteste? R.
- Probabilmente, cercheranno di non accentuare il conflitto in atto e tuttavia non
possono neppure lasciare che ci siano di nuovo milioni di persone che criticano il
regime. Questo, in realtà, è un dilemma del governo e del regime e di questo dilemma
sta giustamente approfittando anche l’opposizione, nel senso che alla scadenza precisa
chiede di scendere in piazza per mostrare la propria forza.