La diffusione della “Caritas in veritate” in Africa
La “Caritas in veritate” in Africa è arrivata in sordina, e, tranne qualche illustre
eccezione, i più importanti mass-media hanno cominciato a dare un po’ di spazio al
documento diversi giorni dopo la sua pubblicazione. Ad ogni modo a tutt’oggi non si
registra un ampio dibattito sulle principali testate. Almeno questa è l’impressione
che si registra osservando la stampa digitale africana. Eppure, come ha detto mons.
Emmanuel Badejo, vescovo di Oyo, Nigeria, in questo continente “le questioni sociali
sono al centro dell'agire della Chiesa e della società civile”. In sostanza non esiste
un solo problema tra quelli focalizzati nell’enciclica che non sia attualissimo e
urgente in tutto il continente. Tuttavia sarebbe un grave errore fermarsi alle apparenze
poiché la “distrazione” descritta prima non corrisponde alla realtà profonda di questi
popoli. È vero che sul web si trova poco sulla “Caritas in veritate” anche se non
mancano i commenti e le prese di posizioni dei vescovi, per esempio del Sudafrica,
della Nigeria, della Tanzania o della Costa d’Avorio. In realtà in Africa non si comunica
com’è ormai abitudine nelle cosiddette società occidentali, in particolare quelle
maggiormente informatizzate. L’Africa è la regione del mondo con la minore quantità
di computer e le più modeste connessioni telefoniche: in tanti luoghi non ci sono
le linee telefoniche, ma neanche l’elettricità. Un buon computer collegato alla rete
può costare anche due anni di stipendio, e certamente nelle società povere, non sono
una priorità del bilancio familiare. In Africa la comunicazione privilegia il racconto
orale e il “passa parola” e perciò l’enciclica, dal giorno della sua pubblicazione,
si è incanalata su questi binari. Gli esperti africani da noi consultati ci confermano:
gli africani stanno facendo i conti con l’enciclica di Benedetto XVI, che tra l’altro
sentono come se fosse un “racconto proprio”, come lo fanno sempre. Il vescovo raduna
i suoi sacerdoti, molti a volte ci mettono diversi giorni per arrivare all’appuntamento,
e con loro studia, analizza e approfondisce il documento. Poi, ciascuno, incoraggiati
anche dal fatto di aver ricevuto strumenti adatti alla lettura e alla spiegazione,
più necessari che mai poiché si tratta di un testo non facile, torna tra i suoi fedeli,
nelle proprie comunità, e comincia il lento ma solido lavoro di diffusione. E così
tocca al parroco questa volta il compito di “ridare” ai diaconi e ai catechisti i
contenuti che si è scelto di affrontare privilegiando sempre la dimensione del “vissuto
locale”, porta d’ingresso per qualsiasi processo di comunicazione che sia capace di
andare oltre l’informazione e diventare condivisione. Per quanto riguarda l’Africa,
dunque, sarebbe fuorviante farsi un’idea del suo rapporto con la “Caritas in veritate”
usando le categorie della comunicazione occidentale. In Africa l’enciclica non è un
fatto mediatico e difficilmente potrà diventarlo. Come è accaduto con tante altre
encicliche, di questo Papa e dei suoi predecessori, la conoscenza e la diffusione
della “Caritas in veritate” sarà lenta, graduale, personale, ma solida perché i suoi
contenuti sono dei semi che aspettano il tempo propizio per spuntare dal fondo della
terra. Alla fine, come si vedrà fra poche settimane con la seconda Assemblea Speciale
del Sinodo per l'Africa (che si terrà in Vaticano dal 4 al 25 ottobre 2009) il cuore
delle riflessioni di decine di vescovi sarà proprio l’enciclica alla luce della quale
i presuli affronteranno il tema scelto dal Papa:“La Chiesa in Africa a servizio della
riconciliazione, della giustizia e della pace ‘Voi siete il sale della terra… Voi
siete la luce del mondo’ (Mt 5, 13.14)”. (L. B.)