Pressioni internazionali su Israele perché fermi gli insediamenti a Gerusalemme Est
Aumentano le pressioni internazionali su Israele per fermare la presenza ebraica a
Gerusalemme est, la zona della città a maggioranza palestinese. La presa di posizione
è giunta ieri, praticamente all’unanimità, da Unione Europea, Russia, Stati Uniti
e Francia, che ha convocato per chiarimenti l’ambasciatore israeliano a Parigi. Washington
ha anche avanzato l’ipotesi, ma solo in futuro, di sanzioni economiche per convincere
Israele a congelare gli insediamenti. Su questa presa di posizione, Giancarlo La
Vella ha raccolto l’analisi di Marcella Emiliani, esperta di Medio Oriente
e docente all’Università di Bologna:
R. - Non
è la prima volta che gli Stati Uniti minacciano sanzioni economiche ad Israele. Un’eventualità
del genere si era già prefigurata nel 1991, dopo l’operazione “Desert Storm” per liberare
il Kuwait, quando Bush senior volle promuovere la conferenza di Madrid. L’allora primo
ministro, Isaac Shamir, rifiutava la presenza palestinese a questa conferenza. Bush
padre minacciò di non erogare una quota consistente di aiuti ad Israele se si fosse
rifiutata di sedere alla conferenza di Madrid. Non è quindi una novità. Questo è chiaramente
un segnale enorme per Netanyahu, il quale non è sulla stessa lunghezza d’onda di Obama.
Gli Stati Uniti quindi possono, oggi, ricorrere di nuovo ad un’arma che è l’unica
che hanno in mano per fare pressione su Israele. D. - L’atteggiamento
degli Stati Uniti può provocare anche un cambiamento dell’azione diplomatica di tutta
la comunità internazionale? R. - Degli effetti "a cascata" li
può certamente provocare. Gli Stati Uniti, d’altronde, hanno un enorme problema: quello
di riqualificarsi come degli interlocutori e dei mediatori credibili nell’area. Obama
deve riconquistare questa credibilità. Il punto dolente, per quel che riguarda Israele,
sono proprio gli insediamenti. E' proprio su questi che Obama preme. D.
- Quale tra le crisi internazionali è più importante, in questo momento, per Obama? R.
- Lo ha detto chiaramente. La priorità, per lui, è il binomio Afghanistan-Pakistan.
Non dimentichiamoci che sia in Afghanistan sia in Pakistan sono in corso delle guerre.
Proprio in Pakistan, c’è il rischio che lo Stato arrivi totalmente a fallire e questo
sarebbe un disastro. Certamente nessuno - e tantomeno un presidente americano - può
dimenticare che gran parte della matrice dei conflitti in molte parti del mondo è
il conflitto israelo-palestinese.