Mons. Sleiman: la violenza in Iraq è più politica che religiosa
Il problema della violenza in Iraq “risponde a cause più politiche che religiose”.
E’ la posizione dell’arcivescovo latino di Baghdad, monsignor Jean Benjamin Sleiman,
espressa in una conferenza stampa svoltasi nei giorni scorsi a Madrid nella sede della
Caritas spagnola. Il presule – riporta l’agenzia Zenit - ha riconosciuto che nell’ultimo
anno si è constatato un progresso importante in questo campo, al punto da registrare
una diminuzione dell’80% delle vittime della violenza. Tuttavia ha anche espresso
il suo timore di fronte alla possibilità che gli attentati degli ultimi giorni contro
varie chiese cattoliche “affondino la speranza che questo calo della violenza aveva
risvegliato nella gente e molti cristiani optino per abbandonare il Paese”. L’arcivescovo
di Baghdad dei latini si è recato in Spagna assieme al direttore di Caritas Iraq,
Nabil Nissan, con l’obiettivo di far presentare a vari interlocutori della Chiesa
e della Caritas spagnola le possibilità che si aprono dopo il ritiro delle forze statunitensi
e quali sono le sfide umanitarie più urgenti alle quali la Caritas irachena sta cercando
di rispondere. Nel suo intervento, monsignor Sleiman ha parlato della sfida della
“riconciliazione nazionale” che non potrà essere affrontata finché continuerà la divisione
sociale e territoriale che dissangua il Paese. Sul versante umanitario Caritas Iraq
svolge un'importante opera nel campo dell'alimentazione infantile, dell'assistenza
medica e della difesa degli handicappati e degli sfollati interni a causa della violenza.
Ed è proprio il settore sanitario quello che in Iraq presenta attualmente più carenze.
Secondo alcune stime della Caritas locale, il Paese ha bisogno di almeno 3.000 nuovi
centri sanitari per poter offrire una copertura sanitaria minima a tutta la popolazione,
che risente anche della mancanza di specializzazione e dell'uscita dal Paese negli
ultimi anni del 40% del personale sanitario. Monsignor Sleiman ha esortato ad agire
per la pace nella regione e a prendere coscienza del fatto che le conseguenze della
violenza in Iraq interessano il Medio Oriente ma anche tutta l'Europa. Quindi il riferimento
al grave problema della persecuzione religiosa alla quale si vedono sottoposte le
minoranze cristiane e che negli ultimi anni ha provocato l’esilio dal Paese di almeno
la metà dei cristiani iracheni. Per monsignor Sleiman, la situazione dei cristiani
in Iraq – una minoranza composta da circa mezzo milione di credenti appartenenti a
una delle 14 Chiese cristiane presenti nel Paese – è più precaria nei luoghi in cui
il fondamentalismo ha più potere. Il sospetto è che gli attacchi contro le chiese,
che si sono verificati in questi giorni sia a Baghdad che a Mossul, intendano favorire
la fuga dei cristiani dal Paese. Younadem Kana, unico deputato cristiano dell’Assirian
democratic mouvement presente nel parlamento iracheno, ha parlato all’agenzia Sir
di “attacchi sistematici e organizzati da gruppi di militanti”. Il politico ha lanciato
un appello al Governo per una maggiore protezione ai luoghi di culto iracheni. Anche
il mondo delle Ong si è mobilitato in questo senso. Kamal Sido, consulente per il
Medio Oriente dell’ong tedesca “Society for Threatened People” (Gfbv), ha chiesto
a tutte le organizzazioni umanitarie di mettere in campo “progetti per sfollati e
rifugiati iracheni cristiani, anche per quelli che si sono rifugiati in Giordania
e Siria”. (E. B.)