L'intervento di mons. Fisichella al festival della Milanesiana
"Tommaso, beati coloro che crederanno senza aver visto...". (Giovanni, 20, 29). Inizia
così l’intervento dell’arcivescovo Rino Fisichella, riportato dall’Osservatore Romano,
al festival di letteratura musica e scienza "La Milanesiana”, quest'anno dedicato
al tema dell'"Invisibile". Mons. Fisichella, presidente della Pontificia Accademia
per la Vita e rettore della Pontificia Università Lateranense, ha evidenziato “il
paradosso della fede: vedere, toccare, sentire”. La fede ha bisogno dei sensi, sono
per lei come un fatto determinante senza il quale mancherebbe qualcosa di fondamentale,
di unico come la possibilità di abbandonare tutto se stessi al mistero che ci viene
incontro. Nel credere senza vedere si è rimandati a qualcosa di straordinariamente
grande eppure semplice. “Invisibile - continua l’arcivescovo Fisichella - non per
questo è impercettibile; ciò che non si vede lo si può toccare, sentire e nella misura
in cui questo avviene si aprono altri occhi ugualmente degni di essere analizzati,
quelli della fede. “Habet namque fides oculos suos diceva giustamente Agostino
– ha continuato - gli occhi della fede che fissano il mistero dell'amore sanno percepire
l'amore come reale e vero, lo vedono all'azione come fecondo e ne consentono di
esprimere in pienezza la realtà”. L’aricvescovo riporta anche l’esempio di un noto
autore francese, Antoine de Saint-Exupéry che sedici secoli dopo Agostino esprimerà
lo stesso concetto nel libro Le pétit Princ: “On ne voit bien qu'avec le coeur.
L'essentiel est invisible pour les yeux. "Si vede bene solo con il cuore..." ma
anche il cuore, comunque, per riprendere il pensiero di Pascal ha des raisons que
la raison ne connait pas”. Si devono trovare pertanto ragioni, sottolinea mons.
Fisichella, che differiscono da quelle che la mente produce per scoprire di quale
natura si tratta e quale logica perseguono. Il cristianesimo si caratterizza all'interno
della storia delle religioni come il superamento di un confine che nessuno prima aveva
osato oltrepassare. In (Giovanni, 1, 18); "Dio mai nessuno lo ha visto, il
Figlio lo ha rivelato", Giovanni aveva vissuto in prima persona il Figlio del Padre
che rendeva visibile il vero volto dell'invisibile Dio. Nel cristianesimo si spezza
l'invisibilità: ora Dio ha un volto e con esso esprime la sua natura e afferma la
sua identità. Gli occhi della fede sono chiamati a cogliere i suoi tratti, le ragioni
del cuore sono provocate a trovare la logica del suo amore che si fa misericordia,
che arriva quindi fino al perdono per l'offesa e il tradimento ricevuto. Eppure, aver
oltrepassato il confine non ha scalfito il mistero, secondo l’arcivescovo. Ciò che gli occhi
vedono dell'Invisibile è un rimandare sempre oltre perché una volta immersi nel mistero
dell'amore diventa arduo esprimerlo in parole. L'Invisibile che viene visto fa sfociare
nel silenzio della contemplazione. “Qui le parole non servono - conclude il presule
- non solo perché ne manca la forza, ma soprattutto perché si scopre il valore del
silenzio come la più espressiva forma del linguaggio personale. Da questo silenzio
scaturisce l'arte, la poesia, la musica e tutto ciò che serve per dare voce a quanto
si è colto per essere stati immersi nella profondità del mistero di un Dio che si
fa uomo, muore e risorge per svelare la grandezza dell'amore con cui chiama alla condivisione”.
(M.P.)