Alla guida della Caritas diocesana di Roma, mons. Enrico Feroci, che ai nostri microfoni
ricorda l’emergere di nuove povertà
Ieri pomeriggio, il cardinale vicario, Agostino Vallini, ha presieduto nella basilica
di San Giovanni in Laterano la liturgia per l’ordinazione episcopale di mons. Guerino
Di Tora e di mons. Giuseppe Marciante, vescovi ausiliari eletti di Roma rispettivamente
per il settore Nord ed Est. A mons. Di Tora è subentrato alla guida della Caritas
diocesana di Roma, con nomina in vigore dal prossimo settembre, mons. Enrico Feroci,
finora parroco nella chiesa capitolina di Sant’Ippolito martire. Antonella Palermo
lo ha intervistato.
R. – Innanzitutto,
è stata una sorpresa, perché non me l’aspettavo. Poi, appena il cardinale mi ha consegnato
la nomina, scherzando con le persone, dicevo: “Finalmente sono riuscito ad entrare
nelle stanze del potere”. Allora tutti mi guardavano meravigliati. Ma il potere io
lo intendo, lo intendevo, come quello di cui ci parla Gesù: il potere sono i poveri,
che ci apriranno le porte del Regno. Quindi, stare vicino a loro significa essere
accreditato presso il Signore, perchè ci faccia entrare nel suo Regno.
D.
– Un’eredità importante quella della Caritas di Roma, che è nata con don Luigi Di
Liegro e poi è stata presa in mano da don Guerino Di Tora. Adesso passa a lei. Con
quale stato d’animo si appresta...
R. – Intanto,
con il ringraziamento per quello che hanno fatto. Speriamo che il Signore mi dia la
forza e la grazia. Chiedo sempre alle persone che mi stanno vicino di pregare per
questo: di essere all’altezza, di portare avanti questo impegno, che non è poi un
impegno mio, è un impegno della Chiesa di Roma.
D.
– Roma ha bisogno di energie fresche, per affrontare le emergenze sociali. Di poveri,
lo sappiamo, ce ne sono molti, se pensiamo anche ai cosiddetti ‘nuovi poveri’ e ai
migranti...
R. – Certo. Mi dicevano l’altro ieri
che sei, settemila persone questa sera dormiranno fuori, per la strada. Il che significa
che la coscienza di una città e di una Chiesa deve crescere nel sapere questo. Ho
tanti contatti con persone anziane e se ci mettiamo anche il problema degli immigrati
è ovvio che di lavoro da parte della comunità cristiana ce n’è veramente tanto.
D.
– Da dove vorrebbe cominciare?
R. – Dalla sensibilizzazione
delle comunità parrocchiali, perché io non mi sento il sostituto d’imposta dei cristiani,
ma mi sento solamente l’animatore, il motorino di avviamento delle comunità parrocchiali.
D.
– “Caritas in veritate”: come ha accolto questa enciclica?
R.
– Può immaginarlo. Questo significa che dobbiamo rimettere al centro, vicino alla
verità, soprattutto l’amore. Poi, le tensioni di Paolo: “Guai a me se io non evangelizzo”
oppure “L’amore di Cristo mi spinge”. Questo credo che sia il tema centrale.
D.
– Cosa si impara a stare in mezzo ai poveri?
R. –
E’ la strada per arrivare da nostro Signore. Io credo che dovrò stare a sentire, ad
ascoltare tutti, perché le storie di ogni persona sono le storie di Dio. Allora, vedere
come Dio scrive nella vita di ogni persona è capire e comprendere il pensiero di Dio.