Clonati spermatozoi da cellule staminali: interrogativi etici sulla ricerca genetica
mossa soprattutto da interessi economici
La notizia è rimbalzata oggi sulla stampa quotidiana: un gruppo di ricercatori britannici
dell’Università di Newcastle sarebbe riuscito a clonare degli spermatozoi partendo
da cellule staminali embrionali. L’evento ha subito sollevato oltre che dubbi di veridicità
soprattutto interrogativi di natura etica. Roberta Gisotti ha intervistato
il prof. Bruno Dallapiccola, ordinario di Genetica all’Università “La Sapienza”
di Roma e membro del Comitato nazionale di bioetica.
D. - Professore,
può essere credibile questa incredibile notizia, come dire la creazione dell’uomo
in laboratorio? R. - La ritengo credibile perché la rivista
che ha riportato questa notizia è specializzata nella ricerca sulle cellule staminali
e, quindi, ritengo che questo dato sia in linea con qualcosa che da almeno cinque
anni viene fatto, utilizzando soprattutto modelli animali, perché esperimenti sul
topo e anche sul maiale - addirittura si dice dalla pelle del maiale - avevano dimostrato
già negli anni passati che era possibile, con stimoli particolari, trasformare queste
cellule, riprogrammarle, e orientarle in gameti maschili. La domanda che oggi mi faccio
è: quali garanzie - e penso che ne abbiamo in questo momento molto poche - abbiamo
per dimostrare che questo genoma, che è contenuto in questi gameti artificiali, sia
un genoma adatto a partecipare ad una fecondazione umana? D.
- Ecco, professore, falso o non falso, il risultato di questa ricerca, gli scienziati
britannici hanno dichiarato di non puntare alla creazione di vite umane ma piuttosto
ad aiutare i medici a meglio comprendere l’infertilità maschile. Ma si può giustificare
una ricerca così rischiosa per un obiettivo, tutto sommato, molto limitato, che riguarda
una piccolissima parte dell’umanità? R. – Tutta la ricerca che
passa attraverso queste cellule è una ricerca che prioritariamente è finalizzata a
cercare di capire, perché di terapeutico - noi sappiamo - non è venuto ancora fuori
niente dopo più di dieci anni di sperimentazione. Allora, è chiaro che se lei mi fa
la domanda: è eticamente corretto distruggere un embrione umano per fare una ricerca
finalizzata a capire? La mia risposta personale da ricercatore, da genetista, e da
Bruno Dallapiccola che fa il medico, è tassativamente no. Non dimentichiamoci che
dietro questo ci sono dei grandi interessi economici per la risoluzione, se questo
dovesse funzionare, di problemi di infertilità maschile. D.
- Professor Dallapiccola, da persone comuni si capisce che dietro queste ricerche
ci siano interessi economici, ma ci si chiede pure perché questi interessi economici
non siano convogliati su altri tipi di ricerche che possano beneficiare - per motivazioni
anche più serie - una parte più consistente di umanità? R. -
Questo è vero, però - questo glielo dico da medico che dialoga quotidianamente con
le coppie – tenga presente che quel 15 per cento di coppie che abbiamo ormai nei Paesi
cosiddetti sviluppati, quindi anche in Italia, che hanno dei problemi di infertilità
sono coppie che raggiungono il livello della disperazione. Rispetto ad anni passati
dove probabilmente c’era maggiore rassegnazione di fronte a dei limiti che ogni tanto
pone la natura, io vedo che le coppie fanno delle cose impossibili pur di raggiungere
un obiettivo che spesso non si riesce a raggiungere. Anch’io metterei sul piano dei
valori delle cose più importanti dove le risorse sono poche; però le posso dire per
esperienza personale che l’infertilità di coppia viene vissuta come una tragedia dalle
coppie che hanno questo tipo di problema. Non c’è dubbio che il mondo della ricerca,
il mondo del commercio, in particolare, che c’è dietro a questo tipo di ricerche,
è molto stimolato da questa domanda che c’è e viene fuori da queste persone. D.
- Quindi è anche un discorso di cultura, dell’ottenere qualunque cosa a qualunque
costo… R . – Non c’è dubbio che sia un problema di cultura.
L’abuso che viene fatto oggi di certi iter genetici è perché non c’è più la cultura
dell’accettazione di un bambino che può nascere con delle disabilità minime o medie,
nel senso che oggi il profilo che si cerca è il profilo del soggetto perfetto; non
c’è più una cultura che dice che ci possono essere dei limiti e si può costruire una
vita meravigliosa vivendo col limite che ti ha dato la natura, in questo caso un limite
riproduttivo. Purtroppo l’investimento della cultura è un investimento che invece
dovrebbe essere tutto ridisegnato in questo mondo.