2009-07-06 12:51:05

Mons. Sigalini: l'emergenza educativa, uno stimolo ad approfondire la richiesta di senso dei giovani da parte della comunità cristiana


E' un argomento di estrema attualità quello affrontato nella recente Settimana nazionale di aggiornamento pastorale, che si è tenuta in Italia tra Bari e a Bitonto. Il titolo: “Comunità cristiana e educazione: l’emergenza educativa: problema e vocazione”. La domanda fondamentale al centro dei lavori ha riguardato la risposta alle nuove esigenze educative dei giovani, passando per il coinvolgimento della comunità cristiana e favorendo il senso di appartenenza dei giovani alla comunità stessa. Mons. Domenico Sigalini, vescovo di Palestrina e presidente del Centro di orientamento pastorale promotore della Settimana, ha affrontato la questione dell'emergenza educativa soffermandosi, al microfono di Adriana Masotti, sulla corretta interpretazione da dare alla parola "emergenza":RealAudioMP3

R. - Sì, perché in genere questa parola “emergenza” viene mostrata come un qualcosa che ci sta capitando addosso, alla quale non siamo preparati. Parecchi parlano di emergenza in quanto siamo incapaci di educare, oppure siamo troppo accomodanti. Noi, invece, abbiamo voluto guardare l’emergenza come l’aumentata domanda che c’è da parte, per esempio, del mondo giovanile di avere dei riferimenti. Emergenza vuol dire immergersi più a fondo nell'elemento educativo, perché c’è bisogno di aiutare le persone a gestire una nuova libertà che i tempi moderni consentono.

D. - Una società, quella odierna, più pluralista, con più voci, molto spesso anche contrastanti. L’altra faccia è, spesso, una mancanza di autorevolezza in chi parla. Come è possibile recuperare autorevolezza da parte delle agenzie formative esistenti oggi?
 
R. - Noi ci siamo preoccupati, evidentemente, affinché la comunità cristiana ritrovi autorevolezza. Diamo autorevolezza alla nostra comunità cristiana se tutta l’attività educativa che viene fatta all’interno di tale comunità si prende cura, globalmente, dell’umanità di una persona e non soltanto di alcune schegge.
 
D. - Qualche indicazione per riuscire a raggiungere questo obiettivo?
 
R. - Di concreto, intanto, cominciamo a dire: l’esperienza fondamentale che fa un cristiano è quella di Gesù Cristo e, quindi, bisogna che introduciamo ogni persona, in maniera progressiva e sempre più intima, nella conoscenza di Gesù. Il problema è sempre quello di aiutare a fare una sintesi tra la fede e la vita. Noi possiamo avere dei buoni cristiani dentro la Chiesa e dei pessimi cittadini dentro lo Stato: come mai? Perché l’esperienza liturgica, anche molto frequentata, non è capace di trasformare le persone, rendendole uomini e donne fino in fondo, capaci di assumersi le proprie responsabilità anche a prezzo di sacrificio? Allora occorre un modello educativo che sia capace di tenere assieme fede e vita, pensiero e azione. Riuscire, insomma, a dare a quella pratica religiosa - perché c’è sempre un 15, 20% che partecipa - il senso di appartenenza alla vita della Chiesa, che aiuti a trovare la possibilità di stare da laici dentro la società in modo coerente.
 
D. - Non è dunque una chiamata a farsi educatori rivolta soltanto al sacerdote che guida la comunità parrocchiale, ma anche ai laici…
 
R. - Certamente. Noi abbiamo una comunità, vogliamo che il soggetto educante sia la comunità, non soltanto qualcuno. Vogliamo che gli adulti si prendano questa responsabilità. Poi, non possiamo fare a meno di puntare sulla famiglia. Cominciamo concretamente con delle piccole iniziative...
 
D. - Qualche esempio di percorso educativo possibile?
 
R. - Pensi, per esempio, all’Agesci, all’Azione cattolica, che hanno delle tappe per ciascuna età, perché in questa maniera si "fidelizzano" i ragazzi alla comunità cristiana. Non si fidelizzano, soltanto, con dei corsi preparatori a qualche Sacramento, ma con un’appartenenza viva che permetta loro di tirare fuori tutta la grinta, la vivacità, i problemi che hanno e, quindi, anche le risorse che possono mettere a disposizione.







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