Cina, scontri e violenze nello Xinjiang: centinaia di morti e feriti
Centoquaranta morti e ottocento feriti. Questo il tragico bilancio degli scontri che
da ieri stanno insanguinando la provincia cinese dello Xinjiang. Le violenze sono
esplose nella capitale della regione, Urumqi, dopo che centinaia di “uiguri”, un’etnia
musulmana presente nell’area, sono scesi in piazza per manifestare contro l'emarginazione
che subiscono. Più in particolare, avrebbero organizzato proteste per la morte di
due “uiguri” avvenuta nel sud della Cina a fine giugno. Al momento nella città teatro
dei disordini è scattato il coprifuoco con gli agenti che presidiano i quartieri musulmani.
Salvatore Sabatino ne ha parlato con Francesco Sisci, corrispondete
da Pechino del quotidiano "La Stampa":
R. – La
situazione è estremamente seria. La stampa cinese parla di rivolta organizzata e pianificata
dall’estero, parla di negozi ed auto incendiati, di interi quartieri messi a ferro
e a fuoco ad Urumqi, capoluogo della regione, dove peraltro la maggioranza della popolazione
è han, cioè della maggioranza etnica della Cina . D. – Chi sono
gli “uiguri” e cosa rappresentano per il governo cinese? R.
– Sono un minoranza, circa 8 milioni di persone su una popolazione complessiva di
quasi un miliardo e 400 milioni di persone in tutta la Cina; sono di origine turca,
parlano una lingua vicina al turco e sono musulmani. I rapporti etnici sono tesi,
per un misto di questioni sia nazionalistiche – c’è ovvero un gruppo che vorrebbe
l’indipendenza di questa regione – sia religiose, perché dalla metà degli anni Novanta
in poi questi “uiguri” sono sempre più caduti sotto l’influenza del fondamentalismo
religioso musulmano. I due elementi si sono poi combinati con una repressione spesso
indiscriminata delle autorità di Pechino contro questa minoranza; repressione che
invece che porre fine alle proteste le ha aumentate ed allargate, come appare evidente
in queste ore.