2009-07-04 13:23:02

La Beatificazione domani a Castres, in Francia, di suor Jeanne-Emilie de Villeneuve. Intervista con mons. Angelo Amato


Sarà la cittadina di Castres, vicina ai Pirenei francesi, a ospitare domani pomeriggio la solenne Messa di Beatificazione di Jeanne Emilie de Villeneuve, la religiosa fondatrice della Congregazione dell’Immacolata Concezione, alla quale appartengono le cosiddette "Suore azzurre". Proveniente da una famiglia nobile e vissuta a cavallo della metà dell'Ottocento, "Suor Emilie" - com'era comunemente chiamata - creò un Istituto che volle dedicato con un voto speciale alla santificazione del prossimo. Al microfono di Roberto Piermarini, il prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, l'arcivescovo Angelo Amato, che domani a Castres pronuncerà a nome del Papa la formula di Beatificazione, traccia un profilo della vita e dell'opera di carità della prossima Beata:RealAudioMP3

R. - Jeanne Emilie de Villeneuve - comunemente chiamata Emilie - nacque a Tolosa, il 9 marzo 1811, terza figlia dei conti di Villeneuve Hauterive. La sua vita si svolse prevalentemente nel castello di Hauterive, vicino Castres. Emilie, era una ragazza schiva, riflessiva, lontana dalla vita mondana e con una istintiva ripulsa all’ostentazione propria dei giovani. La sua grande riservatezza e il suo temperamento calmo e metodico celavano in realtà la ricerca di autenticità, che poi sfociò nella scelta della vita religiosa. Vincendo la resistenza paterna, Emilie, l’8 dicembre 1836, a venticinque anni, con altre due compagne, vestì l’abito blu di un nuovo Istituto, assumendo il nome di Suor Marie. La sua fu una scelta coraggiosa perché passò dall’agiatezza e dalla sicurezza del castello paterno alla precarietà di un alloggio povero e inospitale. Nel piccolo laboratorio per cucito le religiose accolsero una trentina di ragazze, alle quali offrivano, oltre alla formazione professionale, anche una istruzione e una catechesi elementare. A poco a poco la loro azione apostolica si allarga anche al servizio della mensa dei prigionieri.

 
D. - Oggi le sue figlie spirituali sono presenti anche in terra di missione. Come ebbe inizio questo apostolato missionario?

 
R. - L’incontro provvidenziale con Padre Libermann, fondatore di sacerdoti consacrati alle missioni estere, aprì a Suor Marie l’orizzonte missionario. Le prime quattro suore partirono per il Senegal nel dicembre del 1847. Il loro apostolato si allargherà poi al Gabon e alla Guinea inglese. Questi inizi non furono facili, soprattutto per le malattie. In un solo anno ben diciotto suore morirono per la malaria. Ma l’entusiasmo missionario non venne meno. Nel 1853 erano già 24 le suore in Africa, distribuite in quattro case. Per la Madre non c’era una missione più alta di quella di far conoscere Gesù e di farlo amare da anime che mai avrebbero avuto questa felicità. Intanto si aprono nuove fondazioni in altre città francesi e la Congregazione viene approvata definitivamente dalla Santa Sede il 30 dicembre 1852.

 
D. - Cosa dire della santità dei Madre Emilie?

 
R. - Con un profondo atto di umiltà, nel 1853 la Madre decise di dimettersi da Superiora Generale, volendo anch’ella esercitare l’obbedienza. Morì improvvisamente, vittima di una epidemia di febbre miliare, il 2 ottobre 1854. Il quarto voto, da lei voluto, esprime al meglio il carisma dell’Istituto: lavorare per la salvezza delle anime e dedicarsi alla santificazione del prossimo. In concreto, l’Istituto si indirizza ai poveri che mancano del necessario per una vita dignitosa; ai bambini e agli adulti senza istruzione religiosa; ai carcerati; alle popolazioni lontane non cristiane. Un’opera che stava particolarmente a cuore alla Madre era la costruzione del “Rifugio” per l’accoglienza delle giovani vittime dell’immoralità, alle quali offrire un aiuto per uscire dal vizio e reinserirsi nella società. Si narra che, quando giungeva una nuova “ospite”, il suono di una campana avvertiva la Madre, che sospendeva immediatamente l’attività del momento, per accogliere la giovane.

 
D. - Madre Emilie era di famiglia nobile. Come questa sua condizione ha contribuito alla sua santificazione?

 
R. - Lo stemma nobiliare della famiglia de Villeneuve aveva una spada su sfondo rosso sormontata da una corona e con la scritta: Sicut sol emicat ensis (“come il sole brilla la spada”). La vita della nostra Beata ha fatto brillare non la forza della spada, ma la carità del cuore di Dio. Difatti, il motto di Madre Emilie e della sua Congregazione è infatti “Dio solo”. Non mire umane, ma solo pensieri divini. Più che alla nobiltà umana, la Madre aveva in mente solo la lode di Dio e la sua gloria sulla terra. Suor Sylvia, Superiora Generale dal 1921 al 1936, testimonia: "Ella vede Dio in tutto, serve Dio solo, cerca Dio solo, vuole Dio solo, ricorre a Dio solo, non cerca felicità, consolazione o ricompensa che in Dio solo".

 
D. - Ci vuole indicare qualche altro aspetto della sua personalità?

 
R. - Ne indico tre. Anzitutto era fedele al Papa e figlia devotissima dalla Chiesa. In un’epoca ancora pervasa di gallicanesimo, non aveva nessun ritegno ad affermare : «Sono ultramontana», volendo esprimere con ciò la sua incondizionata devozione al Papa. E come figlia amorosa della Santa Madre Chiesa, sceglie per la sua congregazione le grandi devozioni cattoliche: amore all’Eucaristia, al Sacro Cuore, all’Immacolata. Soleva ripetere: "Gettatevi nel cuore di Gesù e non uscitene più". Un secondo aspetto è dato dalla lettura della Sacra Scrittura, come nutrimento quotidiano di santificazione e di apostolato. È dal Vangelo che apprende la dignità del povero. È studiando la vita di Gesù che lo Spirito del divino Maestro si fa strada nel suo cuore. Un ultimo aspetto della sua santità era la percezione delle piccole cose, oggi diremmo l’attenzione al buon comportamento, al galateo: ad esempio, camminare con posatezza, parlare con dolcezza e gravità, amare la pulizia dell’abito, essere puntuali, non sprecare i ritagli di carta o i pezzi di filo. Amava molto la povertà, che considerava il più bell’ornamento di una consacrata.

 
D. - Quale eredità lascia Madre Emilie alle sue Figlie spirituali e a tutta la Chiesa?

 
R. - È anzitutto una eredità di santità, un invito costante alla propria perfezione e santificazione. È anche una eredità di entusiasmo apostolico nel servizio ai più poveri e ai più deboli della società, nell’educazione dei piccoli, nel sostegno agli immigrati, nell’impegno missionario. La Madre insegna l’amore alla vita virtuosa, fatta di fede, speranza e carità. L’eroicità delle sue virtù fu riconosciuta dal Santo Padre Giovanni Paolo II con decreto del 6 luglio 1991.

 
D. - Cosa dire del miracolo per la Beatificazione?

 
R. - Quasi a ricompensare lo spirito missionario della Madre, il miracolo richiesto per la beatificazione ha riguardato la guarigione, avvenuta nel 1995, di una giovane africana musulmana, Binta Diaby, della Sierra Leone. Binta era stata ripudiata dalla famiglia perché incinta. Disperata, tentò il suicidio con l’ingenstione di soda caustica, che le causò una devastante distruzione di organi e di tessuti interni. Era in fase terminale, quando alcune Suore, venute a conoscenza del caso, iniziarono una novena alla “Bonne Mère”. Seguì una inaspettata, decisa e rapida guarigione. È questo un segno dal cielo che la Madre intercede presso il Signore a favore dei bisognosi.







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