Inaugurata dal cardinale Dziwisz la statua di Giovanni Paolo II al Policlinico Gemelli.
Intervista con lo scultore Stefano Pierotti
"Non abbiate paura". Ciò che ha rappresentato il motto per una lunga stagione della
Chiesa da ieri è anche il messaggio che accoglie chiunque si rechi al Policlinico
Gemelli di Roma. Un messaggio simboleggiato dalle fattezze di Giovanni Paolo II riprodotte
nella grande statua in marmo collocata nel piazzale dell'ospedale capitolino. La cerimonia
di inaugurazione della scultura è avvenuta nella serata di ieri, alla presenza delle
autorità di Roma e del Policlinico e di un ospite speciale, come riferisce nella sua
cronaca il giornalista del quotidiano Avvenire, Mimmo Muolo:
Da oggi sarà
Giovanni Paolo II ad accogliere coloro che arrivano al Gemelli di Roma. La bianca
statua in marmo del Pontefice è stata infatti inaugurata ieri sul piazzale dell’ingresso
principale del Policlinico dell’Università Cattolica. Alla presenza del cardinale
Stanislaw Dziwisz, attuale arcivescovo di Cracovia e già segretario personale di Papa
Wojtyla, del rettore dell’Università, Lorenzo Ornaghi, e di diverse autorità , tra
le quali il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, secondo il quale “questa statua si trova
nel cuore della capitale, dato l’amore che i romani hanno nutrito per Giovanni Paolo
II”. “Il Papa - ha detto il cardinale Dziwisz - è sicuramente
contento di stare giorno e notte insieme con chi soffre, chi non è certo del suo futuro,
chi spera e chi prega”. “Egli, del resto - ha aggiunto - ha trascorso qui 153 giorni
in nove ricoveri, per 21 volte dalla finestra del decimo piano ha recitato l’Angelus.
Inoltre, la sua prima ed ultima uscita, rispettivamente nel 1978 e nel 2005, dal Palazzo
apostolico, sono state effettuate per recarsi al Gemelli”. Il porporato ha concluso
dicendo che “questo è davvero il Vaticano III”, secondo la celebre definizione coniata
da Papa Wojtyla durante il ricovero del 1996. La statua - che con il basamento è alta
4,60 metri ed è opera dello scultore Pierotti - s’intitola “Non abbiate paura”; il
filo conduttore di tutto un Pontificato che da oggi Giovanni Paolo II ripete idealmente
a tutti coloro che visitano il grande ospedale romano. Qual è stata
la scintilla ispiratrice che ha trasformato un blocco di marmo alto quasi cinque metri
nella figura di un Papa tanto amato e indimenticato? Eliana Astorri lo ha chiesto
allo scultore che l'ha realizzata, il maestro Stefano Pierotti:
R. - Il ricordo
dei funerali di Giovanni Paolo II: mi commossi così tanto che poi volli ricordarlo
con un mio lavoro, lo stesso poi proposto al Policlinico Gemelli. D.
- Quale aspetto di Wojtyla ha voluto esaltare? R. - Quello che
veramente mi ha colpito tanto è la sua umanità, la dimostrazione agli occhi del mondo
della sofferenza vissuta senza nascondersi, oltre certamente al suo modo di comunicare
ai giovani di tutto il mondo alle Giornate mondiali della gioventù - alla quale tra
l’altro partecipai con il Crocifisso “Morto e risorto”. Sono state tante le cose che
mi hanno colpito e che hanno lasciato in me il segno di questa figura incredibile. D.
- Quale materiale ha usato? R. - Il materiale è stato il marmo
bianco di Carrara. Un blocco molto grande, perché la figura alla fine sfiora i cinque
metri. D. - Quanto il tempo utilizzato per questa realizzazione? R.
- Ci sono state due o tre fasi per la lavorazione di una scultura del genere. Prima
si fa un modello sulla creta e una volta che si è soddisfatti di questo modello si
procede con la formatura in gesso, e poi, appunto, si iniziano a riportare questi
punti del modello in gesso sul marmo. La lavorazione del marmo da parte mia ha richiesto
circa sette mesi e, considerando anche il precedente intervento di sbozzatura, l’operazione
in totale è durata quasi un anno. D. - Pierotti, cosa prova
un artista, quando dalle proprie mani crea un’opera dedicata a uomini, che così profondamente
hanno lasciato un’impronta nel cuore della gente? R. - Non è
chiaramente una delle solite sculture che si fanno quotidianamente. Per me, questa
scultura è nata da un forte sentimento, da uno slancio emotivo. Quindi, da lì poi
si sviluppa un’opera, si fanno delle riflessioni, si apportano piccoli cambiamenti
sull’idea originaria. L’emozione, però, è tanta.