Prorogato il periodo per l'utilizzo della chiesa di Tarso in Turchia come luogo di
culto. Intervista con mons. Luigi Padovese
In Turchia, la chiesa di San Paolo a Tarso, trasformata in museo dallo Stato, continuerà
ad essere utilizzata come luogo di culto. Per la città dell’Apostolo delle Genti si
tratta di un passo importante in attesa di una decisione definitiva da parte delle
autorità turche, come sottolinea al microfono di Amedeo Lomonaco il vicario
apostolico dell’Anatolia e presidente della Conferenza episcopale turca, mons.
Luigi Padovese:
R. - E’ stato
prolungato il periodo in cui potremo utilizzare la chiesa come luogo di culto fin
quando le autorità locali daranno un giudizio definitivo. Comunque, il parere definitivo
da parte delle autorità centrali di Ankara è stato dato. Si attende soltanto questo
consenso popolare perché il passo sia definitivo. Rimane però il fatto - ritengo molto
positivo - che la Chiesa continui ad essere utilizzata come luogo di culto anche dopo
la chiusura dell’Anno Paolino. D. - Tra i frutti positivi quali
benefici può portare, non solo alla comunità cristiana, la presenza di una chiesa
permanente a Tarso? R. - Il fatto è molto evidente: abbiamo
avuto 416 gruppi, in questi mesi, con rappresentanti di almeno 30 Paesi. E’ un fatto
che in Turchia - specialmente a Tarso - si è verificato per la prima volta. Questo
flusso continuo di pellegrini - non di turisti ma appunto di pellegrini - senz’altro
ha fatto crescere anche nella coscienza, sia a livello statale che a livello locale
e regionale, l’urgenza che ai cattolici sia dato un luogo di culto nella città dove
Paolo è nato. D. - Nella situazione attuale, quali passi si
possono compiere per ottenere in futuro la concessione della chiesa di San Paolo a
Tarso? R. - Penso che la cosa importante sia quella di tenere
gli occhi puntati su questa situazione. Non si deve dimenticare che abbiamo ancora
un problema aperto da risolvere: il riconoscimento di un diritto legittimo, quello
della libertà religiosa. D. - Tarso, luogo di pellegrinaggio,
è anche un ponte ideale per il dialogo tra cristiani e musulmani… R.
- Lo è ed il flusso di pellegrini dovrebbe tenere viva la consapevolezza non soltanto
dell’importanza dell’Apostolo. Dovrebbe aiutare in questo modo anche le nostre comunità
cristiane di Turchia. D. - Cosa significa essere cristiani e
testimoniare oggi il Vangelo in Turchia? R. - Innanzitutto,
significa prendere coscienza della propria identità in un Paese che per la stragrande
maggioranza è di fede islamica. In Stati dove è prevalente un’altra religione, il
senso dell’identità deve essere più forte. Credo che questo sia il senso, se non in
tutti ma almeno in molti, che proprio l’Anno Paolino ha potuto risvegliare. D.
- Quale eredità lascia l’Anno Paolino alla Turchia? R. - Credo
lasci uno spiraglio verso una maggiore tolleranza, una maggiore pluralità, anche religiosa,
riportando il Paese a questa dimensione originaria dove popoli di culture e religioni
diverse hanno convissuto per tanti secoli, più o meno pacificamente. Credo che la
strada, ormai, sia questa e che proprio Tarso possa diventare un indicatore di una
convivenza pacifica e rispettosa tra le diverse espressioni religiose.