Il conflitto israelo-palestinese al centro del film "Vietato sognare", vincitore a
Pesaro del Premio Amnesty International
“Vietato sognare” di Barbara Cupisti vince alla Mostra internazionale del Nuovo Cinema
di Pesaro, conclusa ieri sera, il Premio Amnesty International 2009, emozionando gli
spettatori. Nella forza delle immagini e nella testimonianza di due giovani ex-combattenti,
nemici su fronti opposti, il film riconosce l’importanza di dare voce agli israeliani
e ai palestinesi che parlano di pace, di confronto, di rispetto e di dignità umana
in una terra che oggi sta drammaticamente perdendo ogni speranza. Il servizio di Luca
Pellegrini.
Alcuni anni
fa, è nata in Barbara Cupisti l’esigenza di raccontare il dolore di due popoli in
guerra, esattamente quando incominciò ad accorgersi di come l’Occidente, assuefatto
e distratto, si calava in uno sterile commento dei fatti e in un tragico computo dei
morti frutto di una guerra senza fine. Entrò per questo motivo nelle case in Medio
Oriente ove il dolore era di casa, filmando i ritratti viventi di madri che urlano
ancora oggi silenziose la loro angoscia e raccontano di figli scomparsi. A due anni
di distanza, la regista italiana lancia nuovamente un grido con “Vietato sognare”,
che diventa un forte e toccante appello alla speranza: una sorta di seguito della
sua opera precedente, che si concentra questa volta sulla vita e sulle emozioni dei
bambini israeliani e palestinesi e sul coraggio di due giovani soldati dei fronti
opposti che, deposte le armi, sono diventati i paladini del dialogo e i più strenui
assertori di un ideale di pace. Il film - prodotto da Rai Cinema ed inspiegabilmente
e scandalosamente sparito nel nulla come il precedente, senza che alcuno abbia ancora
avuto la possibilità di vederlo e apprezzarlo - è stato chiamato a partecipare ad
alcuni festival, applaudito dal pubblico e dai critici. A Barbara Cupisti
abbiamo chiesto com’è nata l’idea di questo suo ultimo film:
R.
- Mi rendevo conto che il discorso sarebbe stato completo soltanto nel momento in
cui avessi potuto dare la parola anche a due figli ipotetici, ideali, di queste madri
dell’altro film, che avevano perso i figli per i motivi legati al conflitto. Ho trovato
quindi Elik Elhanan, che è un ex soldato israeliano che adesso lavora per la pace
e la non violenza con un’associazione di ex soldati israeliani ed ex soldati palestinesi
impegnati per il dialogo, per la risoluzione non violenta. E ho trovato un altro,
Ali Abu Awwad, che è un ex combattente palestinese, che è stato anche in prigione
per aver partecipato alla prima Intifada. Anche lui è passato ad un percorso non violento:
ha creato una fondazione che si occupa di educazione di bambini alla non violenza
nei Territori palestinesi.
D. - Lei sogna, con entusiasmo,
un mondo senza conflitti e senza guerre; il suo prossimo impegno è ancora una volta
sostenuto da una forte e coraggiosa visione etica…
R.
- Questo progetto esisteva già: è la Marcia mondiale della pace e della non violenza,
che inizierà il 2 ottobre dalla Nuova Zelanda - il 2 ottobre è la data di nascita
di Ghandi - e terminerà il 2 gennaio in Argentina, nella Terra del Fuoco. Questa Marcia
mondiale della pace e della non violenza attraverserà 120 Paesi e 300 città e sono
non soltanto Paesi che supportano questo tipo di attività, ma sono anche Paesi nei
quali ci sono dei conflitti in atto: conflitti che non sono soltanto conflitti armati,
ma sono anche conflitti religiosi, conflitti sociali, conflitti civili, conflitti
economici… Quindi, tutto quello che crea tutte queste guerre, che possono essere palesi
e nascoste, ma che stanno continuando a far soffrire e a far sanguinare il nostro
pianeta e a non dare la possibilità a tante persone di poter portare avanti una vita
normale. Io nel film non racconto la marcia, ma la marcia servirà da filo conduttore
per andare a raccontare delle storie private: focalizzare su come questi conflitti
incidano sul privato e sull’essere umano. (Montaggio a cura di Maria Brigini)