Golpe in Honduras: la condanna della comunità internazionale
È crisi aperta in Honduras, dopo il Colpo di Stato militare che ha destituito il presidente
Manuel Zelaya. Dopodomani Zelaya dovrebbe rientrare in patria. Il golpe intanto è
stato già duramente condannato da Unione Europea, Onu e Stati Uniti. L’Assemblea delle
Nazioni Unite si è riunita ieri con procedura d’urgenza per esaminare la situazione
politica. Per il presidente Obama il reinsediamento di Zelaya è una “priorità immediata”.
Intanto, nella capitale Tegucicalpa, migliaia di sostenitori di Zelaya hanno sfidato
il regime di coprifuoco ordinato dal nuovo presidente, bruciando cassonetti davanti
al palazzo presidenziale. Sentiamo Francesca Ambrogetti:
E
a conclusione dell’assemblea plenaria, i vescovi dell’Honduras hanno espresso forte
preoccupazione per quanto sta avvenendo nel Paese latinoamericano. I presuli auspicano
che le istituzioni democratiche e il rispetto della Costituzione rimangano alla base
dello Stato honduregno. Ma che cosa c’è dietro il golpe? Roberta Rizzo lo ha chiesto
a Luis Badilla, esperto di America Latina: R. - E’ una vicenda
lunga, complessa, con molti elementi tipici del modo di essere centro-americano. Si
è trattato di una terribile polarizzazione politica, più volte denunciata dalla Chiesa:
da un lato c’era l’ex presidente Zelaya, settori del suo partito, una parte rilevante
dell’opinione pubblica e, dall’altro lato, l’intero parlamento, i partiti politici,
incluso quello del governante, la Corte suprema, la Corte dei conti, il procuratore
generale e un’altra parte importante dell’opinione pubblica. Qual è l’oggetto del
contendere? Formalmente, le intenzioni di Zelaya erano di far redigere una nuova carta
costituzionale, tramite la convocazione di un’Assemblea costituente, usando strumenti
al limite della legalità: ecco perché l’opposizione della Corte Suprema. Ma in realtà
la questione di fondo era il timore che il presidente volesse farsi rieleggere, manovrando
e forzando la legalità costituzionale vigente.
D. - Secondo lei,
non è un conflitto insanabile?
R. - No, non lo è per niente. Lo
dicevano già i vescovi dell’Honduras alla fine della loro Assemblea plenaria, ma anche
altre Chiese cristiane. Politici, intellettuali e personalità straniere, organismi
internazionali avevano chiesto un dialogo tra le parti, la ricerca di una soluzione
negoziata. Anche perché se si chiarisse la questione della rielezione - e Zelaya,
il presidente, al riguardo non è stato mai categorico e trasparente - il problema
della riforma costituzionale o di una nuova costituzione non dividerebbe il Paese
radicalmente. Anzi, in Honduras, da più parti si auspica l’ammodernamento della Costituzione,
datata 1982, anno in cui questo Paese ha fatto rientro nella democrazia, dopo un lungo
periodo di golpe militare.
D. - Qual è lo scenario che si prospetta
ora?
R. - Mi auguro che non si registrino fatti di violenza, che
torni la ragionevolezza, perchè penso che la lezione più importante di questi fatti
sia l’uso della ragione nel futuro. Penso che il presidente ad interim, Roberto Micheletti,
dovrebbe mantenere la promessa di tenere l’elezione fra cinque mesi. Ritengo ci sarà
un gran numero di dichiarazioni, di prese di posizione per condannare il golpe, cosa
d’altra parte giustissima, e già sta accadendo. Penso tuttavia che rimarranno soltanto
parole, non cambierà sostanzialmente nulla. Alla fine, sarà il popolo honduregno a
dover risolvere il suo problema da solo. Occorrerebbe a questo punto che la comunità
internazionale non interferisse nelle vicende interne di questo Paese, aiutasse a
ritrovare l’unità nazionale che è necessaria e soprattutto fornisse all’Honduras risorse
e mezzi economici, perché è un Paese al limite del crollo, dal punto di vista economico
e sociale, con una povertà enorme, un’esclusione sociale spaventosa, una violenza
metropolitana fra le più alte al mondo.
D. - E la Chiesa cosa farà?
R.
- Continuerà a fare quello che ha fatto sempre, cioè lavorare per l’unità del Paese,
per la pace basata sulla giustizia, ricordando quello che ha fatto non più di nove
giorni fa: che tutti i problemi si possono risolvere se si tiene presente il bene
comune, al di sopra del bene legittimo delle parti. Ma una nazione deve trovare un
minimo comune denominatore per andare avanti. Penso che la Chiesa continuerà ad esortare
al dialogo, alla ricerca dell’accordo, alla unità e alla pace in questo Paese così
martoriato.