Tensione in Honduras dopo il golpe militare: Micheletti al posto dell'esautorato Zelaya
L'Honduras e' in regime di coprifuoco, ordinato da Roberto Micheletti Bain, il presidente
della Camera che ha preso il posto del presidente eletto, Manuel Zelaya, deposto ieri
dai militari ed estradato in Costa Rica. Sentiamo Francesca Ambrogetti
Roberta
Rizzo ha parlato della crisi in Honduras con Luis Badilla, esperto di America
Latina:
R. - E’ una
vicenda lunga, complessa, con molti elementi tipici del modo di essere centro-americano.
Si è trattato di una terribile polarizzazione politica, più volte denunciata dalla
Chiesa: da un lato c’era l’ex presidente Zelaya, settori del suo partito, una parte
rilevante dell’opinione pubblica e, dall’altro lato, l’intero parlamento, i partiti
politici, incluso quello del governante, la Corte suprema, la Corte dei conti, il
procuratore generale e un’altra parte importante dell’opinione pubblica. Qual è l’oggetto
del contendere? Formalmente, le intenzioni di Zelaya erano di far redigere una nuova
carta costituzionale, tramite la convocazione di un’Assemblea costituente, usando
strumenti al limite della legalità: ecco perché l’opposizione della Corte Suprema.
Ma in realtà la questione di fondo era il timore che il presidente volesse farsi rieleggere,
manovrando e forzando la legalità costituzionale vigente.
D.
- Secondo lei, non è un conflitto insanabile?
R.
- No, non lo è per niente. Lo dicevano già i vescovi dell’Honduras alla fine della
loro Assemblea plenaria, ma anche altre Chiese cristiane. Politici, intellettuali
e personalità straniere, organismi internazionali avevano chiesto un dialogo tra le
parti, la ricerca di una soluzione negoziata. Anche perché se si chiarisse la questione
della rielezione - e Zelaya, il presidente, al riguardo non è stato mai categorico
e trasparente - il problema della riforma costituzionale o di una nuova costituzione
non dividerebbe il Paese radicalmente. Anzi, in Honduras, da più parti si auspica
l’ammodernamento della Costituzione, datata 1982, anno in cui questo Paese ha fatto
rientro nella democrazia, dopo un lungo periodo di golpe militare.
D.
- Qual è lo scenario che si prospetta ora?
R. - Mi
auguro che non si registrino fatti di violenza, che torni la ragionevolezza, perchè
penso che la lezione più importante di questi fatti sia l’uso della ragione nel futuro.
Penso che il presidente ad interim, Roberto Micheletti, dovrebbe mantenere
la promessa di tenere l’elezione fra cinque mesi. Ritengo ci sarà un gran numero di
dichiarazioni, di prese di posizione per condannare il golpe, cosa d’altra parte giustissima,
e già sta accadendo. Penso tuttavia che rimarranno soltanto parole, non cambierà sostanzialmente
nulla. Alla fine, sarà il popolo honduregno a dover risolvere il suo problema da solo.
Occorrerebbe a questo punto che la comunità internazionale non interferisse nelle
vicende interne di questo Paese, aiutasse a ritrovare l’unità nazionale che è necessaria
e soprattutto fornisse all’Honduras risorse e mezzi economici, perché è un Paese al
limite del crollo, dal punto di vista economico e sociale, con una povertà enorme,
un’esclusione sociale spaventosa, una violenza metropolitana fra le più alte al mondo.
D.
- E la Chiesa cosa farà?
R. - Continuerà a fare quello
che ha fatto sempre, cioè lavorare per l’unità del Paese, per la pace basata sulla
giustizia, ricordando quello che ha fatto non più di nove giorni fa: che tutti i problemi
si possono risolvere se si tiene presente il bene comune, al di sopra del bene legittimo
delle parti. Ma una nazione deve trovare un minimo comune denominatore per andare
avanti. Penso che la Chiesa continuerà ad esortare al dialogo, alla ricerca dell’accordo,
alla unità e alla pace in questo Paese così martoriato.